Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Sulla (il)legittimita' del concorso della liquidazione Fallimentare con la vendita disposta dal giudice dell'esecuzione (di Pasqualina Farina, Professore associato di Diritto Processuale Civile e di Diritto della Crisi d’impresa presso l’Università Sapienza di Roma)


Muovendo da una recente ordinanza del Giudice dell’esecuzione di Busto Arsizio, che ha escluso il potere della curatela di liquidare, in via successiva, il bene già sottoposto a pignoramento dal creditore fondiario, lo scritto ripercorre la disciplina in materia di rapporti tra credito fondiario e fallimento e conferma la correttezza – elaborata dalla più recente giurisprudenza di merito – della soluzione proposta, difformemente da quanto sostenuto in passato dalla Suprema Corte.

Moving from a recent judgment, which narrows the rights of the mortgagee creditor according to paragraph 41, subsection 2, of the Italian Consolidated Law on Banking (D.Lgs. 1° September 1993, n. 385) to satisfy his claims, this work examines the relevant provision concerning the right of mortgage bank banks to satisfy their claims notwithstanding bankruptcy proceedings anddistances itself from the conclusions reached in the past by the Supreme Court.

Keywords: bankruptcy order – seizure of debtor’s assets by individual creditors – mortgage creditor – auction – lis pendens.

TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO, ord., 29 novembre 2018 es. dott. S. Passafiume Fallimento – Esecuzione individuale – Effetti sui creditori – Vendita fallimentare – Creditore fondiario – Istanza di vendita – Legittimità della autorizzazione a vendita disposta dal giudice dell’esecuzione. (Artt. 43, 51, 107 L. Fall.; art. 567 c.p.c.; D.Lgs. n. 385/1993, art. 41, 2° comma) Nel caso di esecuzione individuale intrapresa dal creditore fondiario su un immobile del debitore dichiarato fallito, permane il diritto del medesimo creditore di chiedere la vendita forzata al giudice dell’esecuzione e ciò nonostante sia stata disposta la vendita del medesimo bene in sede concorsuale. (Omissis) La (Omissis) Bank Spa ha dato avvio alla presente espropriazione immobiliare su beni immobili di proprietà di (Omissis) Srl in liquidazione, meglio descritti in atti, e ciò in forza di crediti di natura fondiaria.
 La debitrice (Omissis) Srl in liquidazione è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Lecco con sentenza n. 12/2018 e con istanza in data 18.10.2018 il curatore fallimentare, previa autorizzazione del Giudice Delegato, ha chiesto di dichiarare l’impro­cedibilità dell’esecuzione individuale.
All’udienza ex art. 569 c.p.c. del 21.11.2018 il Fallimento ha reiterato la declaratoria d’improcedibilità dell’esecuzio­ne mentre il creditore fondiario ha insistito per la emissione della ordinanza di delega alla vendita.
 Tanto premesso, occorre rilevare che a norma dell’art. 42 del r.d. 16 luglio 1905 n. 646 sul credito fondiario, la cui applicabilità è fatta salva dall’art. 51 l. fall., la sopravvenienza del fallimento del mutuatario non travolge l’esecuzione individuale che l’istituto mutuante fondiario abbia intrapreso sul bene immobile oggetto di garanzia ipotecaria e, quindi, non determina il venir meno del diritto dell’Istituto medesimo di chiederne la vendita.
 Tale diritto, secondo l’assunto del Fallimento (che si riporta a quanto affermato sul punto dalla Cassazione), non escluderebbe il concorrente diritto degli organi concorsuali di procedere alla liquidazione dello stesso bene, in quanto incluso nella massa attiva (Cass. civ., 30.1.85, n. 582; Cass. 8.9.11, 18436).
Sostiene, dunque, il Fallimento che, non potendo trovare applicazione le norme sulla riunione delle procedure sui medesimi beni, giacché tali disposizioni concernono esclusivamente i rapporti tra procedure esecutive individuali (Cass. civ. 28.1.93, n. 1025), il conflitto tra la procedura concorsuale e quella esecutiva individuale in ordine alla liquidazione del medesimo bene debba essere risolto dando prevalenza alla procedura nella quale per prima sia stata disposta la vendita dell’immobile (Cass. civ., 28.1.93, n. 1025). Ritiene, tuttavia, il giudicante che [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso di specie - 2. I motivi posti a fondamento della decisione - 3. Il principio di unicita' delle procedure esecutive. La posizione della dottrina e della giurisprudenza - 4. La (incerta) attuazione del criterio della priorita' temporale - 5. La soluzione proposta: l'illegittimita' della tesi che ammette il concorso delle due procedure espropriative
 - 6. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Il caso di specie

Il creditore aveva intrapreso un’espropriazione forzata su beni immobili della debitrice, in forza di crediti di natura fondiaria.
In seguito al fallimento della debitrice, il curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, ha chiesto al giudice dell’esecuzione la dichiarazione d’improcedibilità dell’esecuzione individuale; dal proprio canto il medesimo giudice, in forza del privilegio processuale che assiste il creditore fondiario, ha disatteso la suddetta istanza. Ed infatti, a norma dell’art. 42, R.D. 16 luglio 1905 n. 646 sul credito fondiario, la cui applicabilità è fatta salva dall’art. 51 L. Fall., la sopravvenienza del fallimento del debitore non travolge l’esecuzione individuale che l’istituto mutuante fondiario abbia intrapreso sul bene immobile oggetto di garanzia ipotecaria e, quindi, non incide sul diritto del creditore di chiederne la vendita.
 Successivamente, nel corso dell’udienza di autorizzazione al vendita ex art. 569 c.p.c., il curatore ha reiterato la declaratoria d’improcedibilità dell’esecuzione. Tale istanza, a dire della curatela, sarebbe fondata sulla sussistenza del potere degli organi concorsuali di liquidare lo stesso bene assoggettato ad esecuzione forzata singolare, in quanto incluso nella massa attiva, così come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità [1].
Ed infatti, in base a questo orientamento, non trovando applicazione le norme sulla riunione delle procedure, in quanto disposizioni che hanno ad oggetto i soli rapporti tra procedure esecutive individuali, il concorso tra la procedura concorsuale e quella individuale in ordine alla liquidazione del medesimo bene andrebbe risolto a favore della procedura che per prima abbia disposto la vendita del bene [2]. La decisione del Giudice dell’esecuzione, in accoglimento della richiesta avanzata dal creditore procedente, è stata nel senso di ordinare la delega delle operazioni di vendita ex art. 591-bis c.p.c., rigettando, al contempo, l’istanza d’improcedibilità del­l’esecuzione avanzata dal curatore.


2. I motivi posti a fondamento della decisione

Molteplici sono le ragioni che fondano la decisione e che possono riassumersi nei seguenti termini. La prima è da individuarsi nel c.d. principio di unicità delle procedure esecutive ex artt. 524 e 561 c.p.c., principio che, come noto, esclude la contemporanea soggezione dello stesso bene all’espropriazione individuale e concorsuale.
In tal senso deve essere letto ed interpretato l’art. 41, 2° comma, TUB che conferisce espressamente al creditore fondiario il potere di procedere in via esecutiva in pendenza di fallimento ed attua – in concreto – il suddetto principio, derogando espressamente alle regole generali della liquidazione concorsuale. La seconda ragione consiste nel fatto che il bene, oggetto di azione esecutiva intrapresa dal creditore fondiario, non può essere liquidato in sede fallimentare, ad eccezione dell’ipotesi di inerzia o disinteresse di tale creditore. Ed infatti, nel nostro ordinamento manca un appiglio normativo che consente, come affermato dalla Cassazione, «di risolvere il conflitto tra l’esecuzione individuale e quella collettiva in base al criterio della prevenzione». Né – si legge nel provvedimento – il creditore fondiario può essere privato della particolare facoltà conferitagli dal TUB e, ribadita dall’art. 51 L. Fall., «in forza del richiamo a un generico principio di “opportunità”, anche in considerazione del fatto che nella fase liquidatoria non vengono in rilievo esigenze di par condicio creditorum». La terza ed ultima ragione è di carattere pratico-applicativo. Anche a voler aderire al principio della prevenzione o della celerità, il curatore non ha prodotto il programma di liquidazione che costituisce il documento fondamentale di tale attività, ma soltanto un provvedimento del giudice delegato dove si precisa che il suddetto giudice «“visti gli art. 104 ter e 107 L. Fall.” ha autorizzato la vendita del bene qui pignorato in sede fallimentare». Eppure – in sede fallimentare – il provvedimento autorizzativo che corrisponde a quello adottato dal giudice dell’esecuzione in forza del­l’art. 569 c.p.c., va individuato nel provvedimento del giudice delegato che «accerta la conformità di tale modalità liquidatoria alle previsioni del programma [continua ..]


3. Il principio di unicita' delle procedure esecutive. La posizione della dottrina e della giurisprudenza

La decisione in commento ci sembra corretta [3]. Per comprenderne appieno la portata – specialmente nella parte in cui prende le distanze dal risalente orientamento della Cassazione – occorre soffermarsi brevemente sui risultati interpretativi raggiunti dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Da sempre la migliore dottrina ha negato che gli organi del fallimento possano legittimamente liquidare il bene oggetto di espropriazione intrapresa o proseguita dal creditore fondiario: l’ordinamento processuale – che si avvale del principio di unicità delle procedure esecutive [4] – non tollera il concorso di più azioni esecutive sullo stesso bene, come dimostrano gli artt. 524 e 561 c.p.c., che disciplinano l’istituto del pignoramento successivo [5] ed attuano il c.d. simultaneus processus [6]. Più in generale è stato affermato che sono precluse più espropriazioni sullo stesso bene nei confronti del medesimo debitore, al fine di evitare: a) inutili duplicazioni di attività processuali, con costi notevoli economici e temporali; b) le difficoltà ed i guasti derivanti dalla pendenza di due procedimenti, tra i quali va annoverato il possibile conflitto tra i provvedimenti adottati dai diversi giudici: si pensi ad esempio al rischio concreto di aggiudicare il bene in capo a soggetti diversi. Non solo. La dottrina più autorevole ha altresì considerato che, se nel processo di cognizione il fenomeno della litispendenza sussiste in caso di coincidenza delle parti, petitum e causa petendi, nell’espropriazione forzata perché si configuri la litispendenza (caratterizzata dalla eadem ratio dell’art. 39 c.p.c.) è sufficiente che risulti identico l’oggetto del pignoramento [7]. Con la precisazione che, in sede di esecuzione singolare, la minaccia alla realizzazione dei principi generali del processo non è costituita dai plurimi pignoramenti, bensì dalle diverse attività liquidative [8]. Quanto alla giurisprudenza occorre segnalare che la Suprema Corte si è pronunciata a favore della tesi della concorrenza delle due procedure liquidatorie. Il principio di unicità, secondo la Cassazione, non potrebbe operare in caso di coesistenza di un’esecuzione individuale e una concorsuale, trattandosi di sistemi [continua ..]


4. La (incerta) attuazione del criterio della priorita' temporale

Ad evitare eventuali conflitti tra le due parallele procedure espropriative, la Suprema Corte ha stabilito che prevale quella che per prima ha disposto la vendita, senza che rilevi il momento del deposito dell’istanza di vendita [10]. Tuttavia, l’attuazione del criterio della priorità temporale non è sempre agevole se solo si considera che: i) l’espropriazione forzata è un processo strutturato per fasi (e tale è la fase di vendita che si apre con il provvedimento autorizzativo di cui al­l’art. 569 c.p.c. e si chiude con la pronuncia del decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c.); e che ii) le rilevanti modifiche normative apportate, a metà degli anni 2000, al Libro III del Codice di procedura civile ed alla L. Fall. hanno giustificato diverse interpretazioni riguardo all’individuazione del momento rilevante per l’attuazione del suddetto criterio. Stando ad un primo, maggioritario orientamento, ove risulti già fissata la vendita in una delle procedure, al secondo giudice rimane preclusa la vendita per scongiurare i rischi di insanabili posizioni di conflitto fra diversi aggiudicatari; sicché il termine ultimo, risolutore del conflitto, andrebbe individuato nel momento di pubblicazione, ovvero del deposito, dell’ordinanza di vendita, provvedimento che segna una sorta di preclusione per la liquidazione (successiva) [11]. Per altri, solo il deposito del decreto di trasferimento segnerebbe l’anteriorità della vendita. Ed infatti, sarebbe questo l’unico provvedimento dal quale desumere in maniera inequivocabile qual è l’esecuzione maggiormente celere: il bene per il quale la vendita sia stata autorizzata prima potrebbe in concreto essere liquidato più velocemente in altra sede (si pensi al fenomeno della vendita che sia andata deserta o per la quale non siano state proposte offerte efficaci, o, ancora, alla ipotesi della decadenza dell’aggiudicatario, per il mancato pagamento del prezzo) [12]. Per una diversa interpretazione l’istanza di autorizzazione proposta al giudice dell’esecuzione forzata ex art. 567 c.p.c. dovrebbe essere disattesa laddove la vendita (del cespite gravato da ipoteca a favore dell’istituto di credito fondiario) sia stata già disposta nel fallimento [13]. Con riferimento alle [continua ..]


5. La soluzione proposta: l'illegittimita' della tesi che ammette il concorso delle due procedure espropriative


Diversi sono gli argomenti di matrice testuale e sistematica che, a nostro parere, conducono a ritenere illegittimo il concorso tra la fase liquidativa dello stesso bene in sede fallimentare ed in sede di espropriazione individuale. Innanzi tutto l’elaborazione prospettata dalla Cassazione svilisce la portata del privilegio processuale espressamente attribuita dal legislatore al creditore fondiario. Ed infatti la legittimità della liquidazione dei beni immobili da parte degli organi fallimentari, nonostante l’esercizio dell’azione esecutiva singolare del creditore fondiario, non trova alcun riconoscimento positivo, né può desumersi dalla mancanza di un espresso divieto normativo in tal senso [16]. In secondo luogo non convince la premessa da cui muove la Suprema Corte, vale a dire che nessun pregiudizio deriverebbe al creditore fondiario in caso di liquidazione in sede fallimentare, stante il diritto di questi a percepire comunque la somma ricavata (cfr. supra, par. 3) [17]. Al riguardo va chiarito che in caso di vendita fallimentare il creditore fondiario non può conseguire direttamente dall’aggiudicatario la parte di prezzo corrispondente alla propria pretesa; sicché ogni volta che il bene è liquidato dagli organi fallimentari, il diritto al soddisfacimento immediato (e quindi il privilegio processuale) del creditore fondiario viene disatteso, dovendo tale creditore attendere l’esito del procedimento di riparto dell’attivo [18]. Questo il senso che ci pare vada individuato nella sintetica considerazione – riportata nell’ordinanza in commento – che il creditore fondiario «non può essere privato della facoltà eccezionale conferitagli dal legislatore in forza del richiamo a un generico principio di “opportunità”, anche in considerazione del fatto che nella fase liquidatoria non vengono in rilievo esigenze di par condicio creditorum».


6. Considerazioni conclusive

Se il legislatore ha previsto una particolare tutela per il creditore fondiario, non sembra trovi giustificazione alcuna l’introduzione – in via pretoria – di un diverso sistema, basato sul principio della celerità, principio che caratterizza tutte le procedure esecutive, singolari e concorsuali; né su altri principi di carattere generale (si pensi, ad esempio, alla possibilità di preferire la vendita più vantaggiosa, conclusa successivamente alla precedente ma per un importo più elevato) che non siano stati previsti espressamente dal legislatore. Al contrario, la conferma della operatività del canone della unicità delle procedure esecutive, anche in caso di concorso tra liquidazione fallimentare ed esecuzione singolare, è poi fornita dalla mancanza di qualsiasi deroga al principio di universalità oggettiva: dalla data della sentenza di fallimento il debitore subisce lo spossessamento dei beni inventariati (per confluire nella massa attiva), senza che si configuri la c.d. «avulsione» dalla massa [19], come riprova l’attuale disciplina dell’art. 52, 3° comma, L. Fall., sulla necessaria e preventiva ammissione al passivo del creditore fondiario. Pertanto, se il bene che garantisce il creditore fondiario non costituisce una massa diversa, sembra più che mai ragionevole affermare l’operatività del principio dell’unitarietà delle procedure esecutive ogni volta che l’istituto di credito abbia iniziato o proseguito l’esecuzione singolare. Resta, inoltre, da dire che la soluzione interpretativa proposta dalla Suprema Corte nei primi anni ’80 e dalla quale inizia a prendere le distanze la giurisprudenza di merito, non è più sostenibile anche alla luce dei nuovi connotati assunti dall’e­spropriazione e dal fallimento dopo le riforme degli ultimi anni. La duplicità delle procedure di liquidazione stride: i) con l’obbligatorietà della delega ai professionisti di cui all’art. 591-bis c.p.c. e, conseguentemente, con i mag­giori costi che sostiene oggi il creditore procedente (ed il fondiario nel caso specifico); e ii) con la circostanza che nella vendita fallimentare il ricavato accresce l’atti­vo incassato dal curatore, importo che costituisce il parametro per la liquidazione dei compensi [20]. In sintesi, se in passato [continua ..]


NOTE