Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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La legittimazione dei pubblici ufficiali ad offrire nei procedimenti di vendita giudiziale e fallimentare (di Rinaldo D’Alonzo, Magistrato)


L’articolo offre un’analisi complessiva dei divieti ad offrire nelle procedure esecutive individuali e concorsuali previsti dalle singole disposizioni dell’ordinamento. Traendo spunto dalle riflessioni svolte da Cass. civ., Sez. III, 13 febbraio 2019 n. 4149, in tema di esecuzione individuale, e cercando di individuare un punto di sintesi tra il riconoscimento del libero esercizio dell’autono­mia negoziale e le esigenze di trasparenza cui deve essere necessariamente ispirata la fase della vendita, ci si interroga intorno ai presupposti in presenza dei quali soggetti estranei al procedimento, e purtuttavia potenzialmente suscettibili di esserne coinvolti, possono formulare offerte di acquisto, con particolare riguardo ai professionisti delegati, ed agli organi di gestione delle procedure previste dal “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”.

The article gives a comprehensive view of the prohibitions to submit offers in the context of enforcement and insolvency proceduresas contemplated by the provisions of Italian lawStarting from the reasonings of the Civil Supreme Court, III section, in the judgement n. 4149 of 13 February 2019, in relation to enforcement proceedings, the article tries to find a point of contact between the freedom to negotiate, on the one side, and the need to make the sale process transparent, on the other side. In particular, the question is in what circumstances individuals who are not party to the proceed­ingsbut may potentially be involved therein, can submit purchase offersexamples are the receivers or other bodies appointed in the context of the procedures provided by the “code of companies’crisis and insolvency” (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza).

Keywords: public official – service provided – judicial sale – bankruptcy sale procedure

SOMMARIO:

1. Premessa. Il divieto di acquisto di cui agli artt. 571 e 579 c.p.c.: eccezione alla regola - 2. Gli altri divieti previsti dalla legge - 3. Il divieto di acquisto di cui all'art. 1471 c.c. e le riflessioni svolte da Cass. civ., Sez. III, 13 febbraio 2019 n. 4149 - 4. Le implicazioni della pronuncia - 5. Le questioni irrisolte - 6. Il divieto di acquisto per i professionisti delegati o 'delegabili' - 7. Il divieto di acquisto per gli organi delle procedure concorsuali - 7.1. Il divieto per gli iscritti all'albo dei soggetti incaricati dall'autorita' giudiziaria delle funzioni di gestione e di controllo nelle procedure di cui al Codice della crisi e dell'insolvenza - 7.2. Il comitato dei creditori - 7.3. Il coadiutore, il delegato e lo stimatore del curatore - NOTE


1. Premessa. Il divieto di acquisto di cui agli artt. 571 e 579 c.p.c.: eccezione alla regola

La partecipazione, in qualità di offerente, ai procedimenti di vendita che si celebrano in seno alle procedure esecutive concorsuali o individuali costituisce uno dei modi in cui si declina la libertà di iniziativa economica (art. 41, 1° comma, Cost.). La giurisprudenza ha ripetutamente scandito in proposito che “l’offerta di acquisto del partecipante alla gara costitui[sce] il presupposto di natura negoziale dell’atto giurisdizionale di vendita” (Cass. 17 febbraio 1995, n. 1730), e che il trasferimento immobiliare in sede esecutiva si perfeziona con “l’incontro della volontà negoziale di una sola parte, cioè dell’acquirente, con una disposizione coattiva emessa dall’organo giurisdizionale che procede alla vendita”, contesto nel quale l’offerta di acquisto è “un atto giuridico unilaterale di natura privata” (Cass. 2 aprile 2014, n. 7708). Questa forma di esercizio dell’autonomia negoziale non viene tuttavia riconosciuta a chicchessia. Diverse (e lo si vedrà nel corso di queste riflessioni) sono le occasioni in cui il legislatore ha ritenuto di inibirla, quante volte la sua spendita è genitrice, (anche solo in potenza) di situazioni di conflitto di interesse oppure è suscettibile di eclissare la trasparenza di cui la procedura deve risplendere [1]. E così che essa è preclusa, in primis, al debitore [2]. L’art. 571 c.p.c., è perentorio in proposito, stabilendo che “ognuno, tranne il debitore” può offrire; stessa previsione si rinviene (a proposito della vendita con incanto) nell’art. 579, il quale dispone che tutti, tranne il debitore, possono domandare di partecipare all’incanto. La ratio del divieto è stata variamente qualificata in dottrina. Taluni [3] ritengono che il debitore non possa presentare offerte di acquisto perché è proprio nei suoi confronti che si agisce [4]; altri [5] sostengono che l’impedimento si ancori al fatto che il debitore non può acquistare la cosa propria, oppure ancora che la partecipazione di costui alla vendita scoraggerebbe potenziali interessati [6] e gli consentirebbe di liberarsi dall’obbligazione con mezzi diversi da quelli stabiliti dalla legge [7]. Quale che sia [continua ..]


2. Gli altri divieti previsti dalla legge

Altre previsioni normative introducono, a vario titolo, ulteriori limitazioni. L’art. 323 c.c., prevede che i genitori esercenti la potestà sui figli non possono, neppure all’asta pubblica (è evidente che l’espressione deve essere riferita al procedimento di vendita globalmente inteso, senza distinzione tra vendita senza e con incanto), rendersi acquirenti direttamente o per interposta persona, dei beni e dei diritti del minore. Si tratta di una species del divieto contenuto nell’art. 1471, n. 3, (posto che per legge i genitori amministrano i beni dei loro figli minori) e, in generale, del divieto di contrattare in conflitto di interessi. Uguale divieto è stabilito: dall’art. 378 c.c. per il tutore, il protutore e l’ammini­stratore di sostegno [11]; dall’art. 396, 2° comma, c.c. per il curatore dell’emancipato. L’art. 1261 c.c., vieta ai magistrati dell’ordine giudiziario, ai funzionari delle cancellerie e segreterie giudiziarie, agli ufficiali giudiziari, agli avvocati ed ai notai di rendersi cessionari di diritti sui quali è sorta contestazione davanti all’autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni, a pena di nullità. La disposizione (che intende garantire il titolare del credito contro possibili abusi nell’amministrazione della giustizia [12] ovvero, secondo altra ricostruzione, evitare che il prestigio e la fiducia di cui godono nella collettività i titolari delle funzioni indicate nella norma possano essere offuscati [13]) pone qualche problema di coordinamento rispetto all’art. 1471, n. 2, c.c. (e di cui si dirà) laddove quest’ultimo prevede analogo divieto per gli “ufficiali pubblici, rispetto ai beni che sono venduti per loro ministero”, e dunque ne vanno chiariti i confini operativi. A questo fine è utile richiamare quanto precisato nella relazione al Codice civile, dalla quale si ricava chiaramente che con la norma in parola il legislatore del ’42 ha inteso riferirsi ai diritti di credito, in guisa che essa non opererebbe rispetto ai “beni”, di cui invece si occupa l’art. 1471. L’assunto, tuttavia, non sembra essere condiviso dalla dottrina che si è occupata dell’argomento, la quale ha invece ritenuto che i divieti coniati dall’art. [continua ..]


3. Il divieto di acquisto di cui all'art. 1471 c.c. e le riflessioni svolte da Cass. civ., Sez. III, 13 febbraio 2019 n. 4149

L’art. 1471 c.c. [20] dispone che “non possono essere compratori nemmeno al­l’asta pubblica, né direttamente né per interposta persona: 1) gli amministratori dei beni dello Stato, dei comuni, delle province o degli altri enti pubblici, rispetto ai beni affidati alla loro cura; 2) gli ufficiali pubblici, rispetto ai beni che sono venduti per loro ministero; 3) coloro che per legge o per atto della pubblica autorità amministrano beni altrui, rispetto ai beni medesimi; 4) i mandatari, rispetto ai beni che sono stati incaricati di vendere, salvo il disposto dell’articolo 1395”. La norma prosegue al 2° comma disponendo che “Nei primi due casi l’acquisto è nullo; negli altri è annullabile”. Come si vede, l’articolo contempla due gruppi di divieti: il primo (ricomprendente i nn. 1 e 2) prevede divieti funzionali alla tutela dell’interesse pubblico; il secondo (composto dai nn. 3 e 4) introduce preclusioni poste ad esclusiva salvaguardia dell’interesse di altri soggetti di diritto privato. Ciò giustifica il differente regime di invalidità che il legislatore ha individuato per ciascuno di essi. Discussa tra gli studiosi è la natura del divieto, qualificata a volte quale forma di incapacità giuridica speciale o relativa [21], altre quale ipotesi di difetto eccezionale di legittimazione [22], altre ancora come generale situazione di incompatibilità. Quale che sia la qualificazione giuridica dell’impedimento, e perimetrando l’a­nalisi alla fattispecie contemplata dal n. 2 dell’art. 1471 c.c., è intuitiva la considerazione per cui essa riguardi in via diretta il giudice dell’esecuzione (e il giudice delegato), il cancelliere, l’ufficiale giudiziario che ha effettuato il pignoramento, il custode, il curatore, il commissario giudiziale, il liquidatore ed il professionista delegato (oltre ai già citati istituto vendite giudiziarie e gestore della vendita) [23], il cui coinvolgimento risulta per tabulas dalla lettura degli atti del fascicolo. Controversa è invece la individuabilità di soggetti diversi da quelli appena indicati, indirettamente o potenzialmente interessati dalla procedura, con particolare riferimento al personale appartenente all’ufficio giudiziario dinanzi al quale essa [continua ..]


4. Le implicazioni della pronuncia

Nell’affermare che la norma è di stretta interpretazione e che tuttavia la sua circonferenza abbraccia “anche quei pubblici ufficiali che, pur non essendo … parti attive [della procedura] … sono però suscettibili per legge – o per altra norma anche solo secondaria (come le tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari) di chiaro tenore, applicabile e nota al momento della vendita, di univoca e precisa identificazione dei soggetti interessati” di esserlo la Corte, a bene vedere, sposta il fuoco dell’indagine, che non interessa più (solo) la norma, ma anche gli strumenti organizzativi interni all’amministrazione giudiziaria, con ciò probabilmente rendendo la questione ancora più brumosa. È evidente infatti che, così impostati gli orizzonti di riferimento, il rischio è che la procedura esecutiva si impregni di tematiche giuslavoristiche eccentriche rispetto allo scrutinio tipico del giudice dell’esecuzione e del giudice delegato, che sarà chiamato ad interrogarsi sulle aporie che tradizionalmente affannano il giudice del lavoro, dovendosi procedere all’analisi degli atti amministrativi e di quelli gestori datoriali (trattandosi, per il personale amministrativo, di pubblico impiego privatizzato) che disciplinano l’organizzazione dell’ufficio giudiziario ed il rapporto di lavoro del personale (per verificare se in essi si annidi una ipotesi di incompatibilità potenziale), ponendo implicitamente il tema della loro validità. Se, ad esempio, l’incompatibilità potenziale deriva da un atto di organizzazione di carattere generale avente natura di atto amministrativo, di cui tuttavia sia eccepita l’illegittimità, è da ritenersi che il giudice dell’esecuzione dinanzi al quale sia impugnata l’aggiudicazione per violazione del divieto di acquisto debba valutare la di­sapplicabilità del provvedimento amministrativo ai sensi degli artt. 4 e 5, L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E [28]. Se invece la eccezione di illegittimità concerna un atto gestorio paritetico del rapporto di lavoro posto in essere dalla parte datoriale, occorrerà incidentalmente sindacarne la nullità (e dunque la incapacità dell’atto di produrre effetti ab origine) ovvero l’annullabilità. Vero [continua ..]


5. Le questioni irrisolte

La pronuncia lascia inoltre irrisolte alcune questioni di carattere processuale che sono rimaste alla porta in quanto eccentriche rispetto al caso sottopostole. Il pensiero corre, in primo luogo, alla possibilità che il giudice (e prima di lui il professionista delegato o il curatore) possa rilevare d’ufficio l’esistenza di un difetto di legittimazione negoziale a prescindere da una eccezione sollevata in tal senso dalla parte interessata attraverso la proposizione di una opposizione agli atti esecutivi o di un reclamo ex art. 591-ter c.p.c. o 36 L. Fall. (cui corrisponde l’art. 133 c.c.i.) La dottrina che si è occupata dell’argomento ha offerto più d’una opinione. Taluno ha ritenuto che il divieto debba essere contestato attraverso l’esperimento del rimedio oppositivo [29], sulla base del rilievo che le fattispecie di invalidità di cui al­l’art. 1471 vadano incastonate nella disciplina del processo esecutivo. Altri autori [30], muovendo dal presupposto che si tratterebbe di un vizio di legittimazione (e non di errore di forma), hanno optato per la rilevabilità d’ufficio della nullità dell’offerta, riconoscendo al giudice il potere di rifiutare l’adozione del decreto di trasferimento in favore dell’aggiudicatario. Quest’ultima impostazione pare da preferirsi. Invero, se il diverso orientamento correttamente imbriglia la deduzione della nullità nelle regole di governo del processo in cui si inserisce [31], sicché ad esempio non potrebbe costituire l’oggetto di un autonomo giudizio di accertamento, non è possibile argomentare convintamente in ordine alla inesistenza, in capo al giudice, di un potere di rilievo officioso dell’im­pedimento negoziale. In primo luogo è lo stesso art. 1471 c.c. a prevedere nell’ultimo comma che “l’acquisto è nullo” quando compiuto dal pubblico ufficiale in violazione del divieto impostogli, così rendendo incoerente una ricostruzione che, nel consentire la rilevabilità d’ufficio al giudice della cognizione, la precluderebbe al giudice dell’esecuzione o al giudice delegato, che al contrario dovrebbe perfezionare un acquisto nullo ove detta nullità non fosse stata tempestivamente eccepita in sede di opposizione ex art. 617 c.p.c., di reclamo [continua ..]


6. Il divieto di acquisto per i professionisti delegati o 'delegabili'

Alcune ulteriori riflessioni di sistema si impongono a proposito dei professionisti delegati alle operazioni di vendita ex art. 591-bis c.p.c. La Corte nella citata sentenza n. 4149/2019 precisa che il divieto interessa anche il professionista delegato, “anch’esso ormai tendenzialmente indefettibile per il carattere di normalità della delega delle operazioni di vendita; ma comunque, quando nominato, esercente funzioni lato sensu di c.d. giurisdizione esecutiva e qualificabile come ausiliario sui generis, se non proprio, come in dottrina è stato avanzato, alla stregua di un quasi alter ego dell’ufficio del giudice dell’esecu­zione, espletando attività di giudice e cancelliere al tempo stesso”. Resta allora da verificare se, conducendo alle estreme conseguenze l’affermazio­ne per cui l’art. 1471 c.c. deve intendersi esteso anche ai soggetti solo “potenzialmente” coinvolti, risulti essere inibita la possibilità di partecipare alla vendita a tutti i professionisti delegati iscritti nell’elenco di cui all’art. 179-ter disp. att. c.p.c., e dun­que non solo a quel professionista che sia stato delegato nella singola procedura, giacché ogni professionista iscritto nel citato elenco, essendo in tesi delegabile (eventualmente in sostituzione di un delegato cui l’incarico venga successivamente revocato, o che rinunci sua sponte), è potenzialmente coinvolto nella procedura. Ad avviso di chi scrive non pare che la sola iscrizione nell’elenco (e dunque la mera delegabilità) sia condizione sufficiente per sancire l’esistenza del divieto di cui all’art. 1471 c.c. Un primo argomento in questa direzione si ricava dalla stessa pronuncia della Corte, secondo la quale il coinvolgimento del pubblico ufficiale, per quanto potenziale, deve risultare da norme che consentano la “univoca e precisa identificazione dei soggetti interessati”. Orbene, nel caso del professionista iscritto negli elenchi di cui al­l’art. 179-ter questo requisito sembra mancare, posto che è da escludersi che costui, per il solo fatto di risultare nell’elenco, sia univocamente individuabile come potenzialmente coinvolto nella procedura; non è infatti detto che quel professionista, verificandosi la decadenza di quello già nominato, sarà [continua ..]


7. Il divieto di acquisto per gli organi delle procedure concorsuali

Anche in seno alle altre procedure concorsuali si pongono identici problemi di individuazione dei soggetti nei confronti dei quali è chiamato a spiegare i propri effetti il divieto di cui all’art. 1471 c.c. Non sembra revocabile in dubbio che la preclusione operi per il curatore, il commissario giudiziale ed il liquidatore, la cui natura di pubblici ufficiali a ministero dei quali si liquidano i beni della procedura risulta di intuitiva evidenza.


7.1. Il divieto per gli iscritti all'albo dei soggetti incaricati dall'autorita' giudiziaria delle funzioni di gestione e di controllo nelle procedure di cui al Codice della crisi e dell'insolvenza

Problemi di fattezza analoga a quelli precedentemente trattati a proposito dei professionisti delegati si pongono, a seguito delle novità introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, per i soggetti legittimati a ricoprire l’ufficio di curatore, commissario giudiziale o liquidatore. Invero, l’art. 356, in attuazione dell’art. 2 della legge delega n. 155/2017, istituisce l’albo dei soggetti incaricati della gestione e del controllo delle procedure previste dal Codice, la cui disciplina di dettaglio il legislatore riserva, con l’art. 357, ad apposito decreto ministeriale, da adottarsi entro il 31 marzo 2020. All’albo saranno iscritti i soggetti, costituiti anche in forma societaria, legittimati a svolgere le funzioni di curatore, commissario giudiziale, liquidatore concordatario, del professionista indipendente incaricato nell’ambito di una delle procedure di regolazione della crisi di impresa, ma anche dei componente gli Organismi di composizione e regolazione della crisi (c.d. “OCRI”). Per accedere all’albo [37] la norma impone, oltre al possesso dei requisiti di cui all’art. 4, 5° comma, lett. a), D.M. Giustizia 24 settembre 2014, n. 202 (conseguimento di laurea magistrale o di titolo equipollente in materie economiche o giuridiche) l’assolvimento degli obblighi di formazione indicati dalle lettere b) e c), D.M. giustizia 24 settembre 2014, n. 202 (specifica formazione in tema di crisi di impresa e sovraindebitamento, acquisita attraverso corsi di perfezionamento universitari conformi all’art. 16, d.P.R. 10 marzo 1982 n. 162, di durata non inferiore a duecento ore; svolgimento, per almeno sei mesi di un periodo di tirocinio nelle funzioni di curatore fallimentare, commissario giudiziale, professionista indipendente). Per consentire il primo popolamento dell’albo la norma riconosce l’iscrizione anche a coloro che, oltre ad aver assolto agli obblighi formativi appena ricordati, documentino di essere stati nominati, alla data di entrata in vigore della disposizione (16 marzo 2019, per effetto di quanto previsto dall’art. 389, 2° comma), in almeno quattro procedure negli ultimi quattro anni, curatori fallimentari, com­missari o liquidatori giudiziali. Infine, quale condizione del mantenimento dell’iscrizione la stessa disposizione richiede il rispetto, da parte degli [continua ..]


7.2. Il comitato dei creditori

Di minore immediata percezione è invece l’estensione del divieto per i membri del comitato dei creditori e per il comitato di sorveglianza (che svolge, nella liquida­zione coatta amministrativa, le stesse funzioni del comitato dei creditori.). A questo proposito, per rispondere all’interrogativo, occorre preliminarmente scandagliare quale sia il paniere delle funzioni assegnate a quest’organo, ed inferire da esse la relativa natura, onde stabilire se i beni venduti nelle procedure concorsuali possano ritenersi liquidanti (anche) per il tramite del suo ministero [38]. A norma dell’art. 138 c.c.i. (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) il comitato dei creditori è nominato dal giudice delegato entro trenta giorni dalla sentenza che ha aperto la liquidazione giudiziale, sentito il curatore e tenuto conto della disponibilità ad assumere l’incarico e delle altre indicazioni eventualmente date dai creditori con la domanda di ammissione al passivo o precedentemente [39]. Esso deve essere composto da tre o cinque membri scelti tra i creditori, in modo da rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei crediti, e si considera costituito con l’accet­tazione (espressa o risultante per facta concludentia) della nomina da parte dei suoi componenti, comunicata al curatore che ne informa immediatamente il giudice delegato. L’organo delibera a maggioranza dei suoi membri, e deve astenersi il componente che versi in conflitto di interessi. A mente dell’art. 139 la nomina dei componenti del comitato dei creditori può essere indicata dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi, ed il giudice provvede alla nomina dei soggetti designati, verificato il rispetto dei criteri di composizione prescritti dall’art. 138, 1° e 2° comma. Le funzioni dei membri del comitato dei creditori possono essere retribuite, con decisione assunta dal giudice delegato, in misura non superiore al dieci per cento di quanto liquidato al curatore. Dispone l’art. 140, 1° comma, che “il comitato dei creditori vigila sull’operato del curatore, ne autorizza gli atti ed esprime pareri nei casi previsti dalla legge, ovvero su richiesta del tribunale o del giudice delegato, succintamente motivando le proprie deliberazioni”, ed in caso di [continua ..]


7.3. Il coadiutore, il delegato e lo stimatore del curatore

Altre tre figure che meritano di essere scandagliate sono certamente quelle del delegato, del coadiutore e dello stimatore del curatore. Si tratta di soggetti previsti dall’art. 129 c.c.i. (che corrisponde all’art. 32 L. Fall.) i cui tratti differenziali non sono del tutto nitidi, o comunque tali non appaiono ad una prima analisi. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, nel ribadire il dogma per cui il curatore esercita personalmente le funzioni sue proprie, conferma la possibilità per costui di delegare ad altri specifiche operazioni e di farsi coadiuvare da tecnici nella sua attività. In particolare, il delegato svolge funzioni proprie del curatore in luogo del medesimo (ad esempio: operazioni di inventario da svolgersi in luoghi lontani), tranne che non si tratti di operazioni di particolare rilievo: formazione degli elenchi dei creditori e dei titolari di diritti immobiliari e mobiliari e redazione del bilancio (art. 198); comunicazione dell’avviso ai creditori e agli altri interessati delle notizie relative alla formazione dello stato passivo (art. 200); formazione del progetto di stato passivo (art. 203); comunicazione dell’esito del procedimento di accertamento del passivo (art. 209); redazione del programma di liquidazione (art. 213). Il compenso del delegato è liquidato dal giudice delegato e viene detratto da quello del curatore. Diversamente il coadiutore, come si legge anche nella relazione illustrativa al c.c.i., “è invece un soggetto che affianca il curatore nell’esercizio delle sue funzioni quando è richiesto l’apporto di conoscenze che il curatore non è tenuto ad avere (ad esempio: assistenza in operazioni di inventario concernenti cose la cui utilità in vista delle liquidazione è apprezzabile solo da tecnici)”, ed il relativo ruolo può essere conferito non solo a tecnici, ma anche a chiunque sia in grado coadiuvare il curatore nell’adempimento del suo incarico (si pensi ad un dipendente di cui avvalersi per la ricostruzione di contabilità aziendale). Egli non svolge attività non autonoma, ma semplicemente propedeutica e preparatoria per le successive e finali determinazioni del curatore. Scarna è invece la disciplina dedicata allo stimatore, a proposito del quale l’art. 195 c.c.i. (identicamente a quanto previsto dall’art. 87 L. Fall.) si [continua ..]


NOTE