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Concordato con continuità e concordato liquidatorio: oltre le etichette

Andrea Zorzi, Professore associato di Diritto commerciale nell’Università di Firenze

La nuova disciplina del concordato preventivo detta requisiti stringenti sia per il concordato con continuità aziendale, sia per il concordato che il Codice della crisi d’impresa e dell’insolven­za definisce «liquidatorio». Nell’articolo si sostiene che tra i due tipi di concordato vi sia spazio per un concordato con continuità aziendale “atipico”, che non soddisfa appieno i requisiti del concordato con continuità aziendale come definito dalla legge. L’articolo esamina poi la disciplina applicabile a questa forma di concordato.

L’articolo si basa sulla relazione al Convegno Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, orga­nizzato dal Tribunale di Treviso e dal Consiglio dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Treviso, tenutosi a Treviso il 12 aprile 2019 e ha potuto beneficiare della tavola rotonda con il dott. Francesco Pedoja, Danilo Galletti e Lorenzo Stanghellini: i miei ringraziamenti a tutt’e tre. Ringrazio, inoltre, per alcune interessanti osservazioni il dott. Andrea Zuliani, Niccolò Usai e Iacopo Donati.

The new ‘Code of business crisis and of insolvency’ sets very tight rules on how the plan in a judicial composition with creditors (concordato preventivo) must be drafted, with different rules for plans based on continuation of business and for liquidation plans. The article argues that it is possible to construe the law in order for it to allow also ‘atypical’ continuation plans that do not comply with all requirements set for continuation plans as defined by the law. The article then investigates the law applicable to this kind of plan.

Keywords: restructuring frameworks – judicial composition with creditors – business continuity – external finance – Italian insolvency law reform

Sommario:

1. Concordato preventivo con continuità aziendale e concordato liquidatorio - 2. La configurabilità di un terzo tipo di concordato e le possibili opzioni - 3. Il concordato atipico: la tecnica normativa del Codice della crisi - 4. La seconda funzione della regola della prevalenza: il favore per l’occu­pazione - 5. Le conseguenze della qualificazione del concordato - 6. In particolare: il liquidatore giudiziale e l’azione di responsabilità - 7. Concordato liquidatorio: le soglie da soddisfare e l’apporto di risorse esterne - 8. La misura dell’apporto di risorse esterne - NOTE


1. Concordato preventivo con continuità aziendale e concordato liquidatorio

Si afferma comunemente che vi è nella riforma un favore verso la continuità aziendale, nonostante l’eliminazione, rispetto allo schema di decreto delegato consegnato il 22 dicembre 2017 dal presidente della commissione, Renato Rordorf, al ministro [2], dell’art. 3 sugli obiettivi delle procedure di regolazione della crisi e del­l’insolvenza, che espressamente menzionava l’intento della legge di favorire il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale [3]. In realtà, il concordato con continuità aziendale, così come definito dall’art. 84, 1°, 2° e 3° comma, c.c.i.i. (ma vedremo subito che non è una vera e propria definizione, a differenza di quanto accadeva con l’art. 186-bis L. Fall.) è stretto tra numerosi paletti e si può dubitare del fatto che sia davvero favorito dalla riforma [4]; forse lo è solo in termini comparati [continua ..]

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2. La configurabilità di un terzo tipo di concordato e le possibili opzioni

Nella legge fallimentare, dunque, il concordato che viene talvolta definito “misto” è un concordato con continuità che prevede la dismissione di beni; circostanza, questa, frequentissima e del tutto fisiologica. D’altronde, una volta che il debitore decida di ristrutturare l’impresa anche dal punto di vista industriale, è nella logica del sistema che le operazioni di dismissione avvengano nel quadro della procedura – con i presidi a tutela della corretta formazione del prezzo e della corretta selezione dell’acquirente (cfr. art. 163-bis L. Fall., ora art. 91 c.c.i.i.), da un lato, e dall’altro a tutela dei terzi acquirenti – e non, invece, anteriormente alla medesima, come dovrebbe accadere se la continuità dovesse essere “pura”. Il Codice della crisi, viceversa, prevede da un lato delle soglie che definiscono la continuità (prevalenza dei flussi, impiego minimo di [continua ..]

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3. Il concordato atipico: la tecnica normativa del Codice della crisi

Il Codice della crisi adotta una tecnica normativa diversa da quella della legge fallimentare, come novellata nel 2012 e poi nel 2015. Nel Codice della crisi, il 1°, 2° e 3° comma, secondo periodo dell’art. 84 si riferiscono rispettivamente alla «continuità aziendale» e alla «continuità» («diretta» o «indiretta»; «ricavi attesi dalla continuità»), mentre gli artt. 84, 3° comma (là dove si riferisce alla prevalenza), 87, 3° comma (in materia di attestazione) [25] e 86 (moratoria per creditori prelatizi) si riferiscono espressamente al «concordato in continuità» (nell’art. 86 il riferimento è nella rubrica). Alla «continuità aziendale» si riferisce anche l’art. 87, 1° comma, lett. f) (il piano deve esporre le ragioni per cui questa è conveniente per i creditori). Gli artt. 99 e [continua ..]

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4. La seconda funzione della regola della prevalenza: il favore per l’occu­pazione

Si è visto che la principale funzione della regola della prevalenza è quella di evitare abusi. La norma prevede però anche una definizione “alternativa” di prevalenza che dipende dal numero di occupati che ha una funzione, per così dire, social-demo­cratica, o filo-lavoratori, nella seconda parte. La norma, infatti, incentiva gli imprenditori, quando non c’è prevalenza o quando comunque vi siano dei dubbi, a continuare a conservare un certo livello di occupazione per due anni per evitare di dover sottostare al giudizio di prevalenza [28]. In termini più generali, è una norma dichiaratamente politica con funzioni distributive, in controtendenza rispetto alla prospettiva, propria dell’analisi economica del diritto, secondo cui le norme di diritto privato dovrebbero occuparsi solo dell’efficienza, lasciando alle politiche fiscali e sociali la funzione distributiva [29]; e sembra che sia una [continua ..]

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5. Le conseguenze della qualificazione del concordato

Secondo lo schema della legge, le conseguenze della qualificazione del concordato come con continuità aziendale o come liquidatorio dovrebbero essere quelle che seguono, che si riassumono per chiarezza [34]. Solo nel «concordato liquidatorio» (così verbatim appellato dalla legge) si applica la soglia minima di soddisfazione dei creditori chirografari ed è necessario l’ap­porto di risorse esterne (art. 84, 4° comma, c.c.i.i.). Non è più prevista, invece, la minor soglia per impedire proposte concorrenti contemplata dall’art. 163, 5° comma, L. Fall. (nel caso del concordato con continuità aziendale secondo la legge fallimentare, le proposte concorrenti non sono ammissibili se la proposta assicura il pagamento di almeno il trenta per cento dei crediti chirografari, contro il quaranta per cento previsto come soglia generale). Solo nel concordato “in continuità” si prevede [continua ..]

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6. In particolare: il liquidatore giudiziale e l’azione di responsabilità

Non è invece certo che cosa accada per quanto riguarda la nomina del liquidatore giudiziale. La soluzione più immediata e coerente con la lettura del «liquidatorio» di cui all’art. 84, 4° comma, c.c.i.i. come figura residuale di concordato – soluzione però molto probabilmente errata – sarebbe quella di ritenere che si debba sempre e comunque nominare un liquidatore giudiziale quando non si rientri nella fattispecie del concordato con continuità aziendale atipico, al fine della liquidazione dei beni non funzionali all’esercizio dell’attività d’impresa. Occorre, tuttavia, considerare che la nomina del liquidatore giudiziale è prevista per il concordato «che consiste nella cessione dei beni» (art. 114, 1° comma, c.c.i.i.); e il concordato “con cessione dei beni” non è, in realtà, sinonimo di “liquidatorio”. La relazione [continua ..]

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7. Concordato liquidatorio: le soglie da soddisfare e l’apporto di risorse esterne

Se, dunque, il concordato non rientra tra quelli con continuità aziendale “tipici”, allora occorre che siano rispettate le soglie di cui all’art. 84, 4° comma, c.c.i.i.: una soddisfazione minima del 20% per i creditori chirografari, e un incremento del 10% della soddisfazione dei medesimi creditori chirografari, mediante l’apporto di risorse esterne, rispetto a ciò che sarebbe stato disponibile per i chirografari nella liquidazione giudiziale [41]. La ratio di tale norma consisterebbe, secondo la relazione illustrativa, nel fatto che il concordato liquidatorio di per sé darebbe luogo a costi maggiori della liquidazione giudiziale: «si precisano» – recita la relazione – «le condizioni alle quali è ammissibile una domanda di concordato esclusivamente liquidatorio, la cui sopravvivenza nel sistema – a fronte dell’alternativa, in genere meno costosa, costituita dalla liquidazione [continua ..]

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8. La misura dell’apporto di risorse esterne

L’impatto della riforma è, peraltro, molto diverso a seconda di come si interpreti il requisito dell’apporto di risorse esterne che «deve incrementare di almeno il dieci per cento, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, il soddisfacimento dei creditori chirografari». Prima di verificare che cosa si debba intendere per «increment[o] di almeno il dieci per cento» della soddisfazione per i creditori chirografari, vale la pena interrogarsi su come si computi questo incremento. In primo luogo, c’è da domandarsi se la soddisfazione ritraibile dalla liquidazione giudiziale si calcoli al valore nominale, o al valore attuale. Immaginando che vi sia un delta temporale tra soddisfazione concordataria e soddisfazione nella liquidazione giudiziale, secondo l’id quod plerumque accidit, è possibile riportare ai valori attuali (o, meglio ai valori al tempo della realizzazione stimata) gli importi previsti [continua ..]

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NOTE

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