Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Il credito da rettifica della detrazione iva nel fallimento (di Franco Benassi, Avvocato in Mantova Paola Castagnoli, Dottore commercialista in Reggio Emilia)


Il lavoro analizza il caso, assai frequente, del credito che sorge a favore della Amministrazione finanziaria per effetto della rettifica della detrazione IVA e propone una soluzione per il trattamento di detto credito nell’ambito delle procedure di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa. In particolare, lo scritto individua il momento genetico del credito e, affrontando il tema della prededucibilità, evidenzia come la soluzione proposta sia compatibile con la Direttiva IVA, la giurisprudenza della Corte UE e della Corte di Cassazione ed altresì in armonia con i principi che caratterizzano il sistema concorsuale italiano.

The work analyzes the very frequent case of the credit that arises in favor of the Financial Administration due to the adjustment of the VAT deduction and proposes a solution for the treatment of said credit in the context of bankruptcy or compulsory winding-up procedures. In particular, the paper identifies the genetic moment of the credit and, addressing the issue of preferential creditors, highlights how the proposed solution is compatible with the VAT Directive, the jurisprudence of the EU Court and the Court of Cassation and also in harmony with the principles that characterize the Italian bankruptcy system.

Keywords: VAT deduction adjustment – bankruptcy prodedure

SOMMARIO:

1. La rettifica del credito IVA di cui agli artt. 19 e 19-bis, D.P.R. n. 633/1972 - 2. I principi enunciati dalla Cassazione in tema di procedura fallimentare e IVA - 3. La rettifica della detrazione IVA in caso di cessazione dell’attività e di fallimento del contribuente - 4. La collocazione nel passivo della procedura del credito dell’Erario generato dalla rettifica della detrazione IVA. Prededuzione? - 5. Conclusioni - NOTE


1. La rettifica del credito IVA di cui agli artt. 19 e 19-bis, D.P.R. n. 633/1972

La disciplina contenuta nell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972 consente al contribuente che sia soggetto IVA – e che effettui operazioni imponibili IVA – di portare subito in detrazione l’imposta assolta a seguito di transazioni ad essa sottoposte, non­ché di mantenere il credito corrispondente all’imposta per poi compensarlo con pro­pri debiti nei confronti dell’erario, siano essi per IVA (ad es. quella applicata alle vendite) o di altra natura (ritenute, IRPEF, IRES ecc.) [1]. Vi sono tuttavia soggetti che pongono in essere sia operazioni imponibili ai fini IVA o assimilate (con diritto dunque alla detrazione), sia operazioni esenti (che non danno diritto alla detrazione). Ebbene, questi contribuenti detraggono l’impo­sta con la particolare modalità prescritta dal 5° comma del citato art. 19, ossia applicando agli acquisti una percentuale di detrazione determinata dal rapporto tra l’ammontare delle operazioni effettuate nell’anno che dà diritto alla detrazione e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti [2]. In tal modo (ed attraverso i criteri di cui agli artt. 19-bis e 19-bis.1), si compie la prima fase del meccanismo della detrazione IVA, nella quale il contribuente che esegue operazioni imponibili e operazioni esenti detrae l’IVA nella misura determinata dai criteri generali di detrazione. La seconda fase è prevista dal successivo art. 19-bis.2 del citato D.P.R. ed è quella che comporta la rettifica della detrazione. Essa, nel caso di acquisto di determinati beni, è caratterizzata dalla osservazione delle singole operazioni poste in essere dal contribuente negli anni successivi e che rientrano nel c.d. periodo di tutela fiscale [3]. Il verificarsi di determinati fattori (fra i quali, ancora una volta, il rapporto tra operazioni imponibili e non imponibili o il cambio di destinazione dei beni o la loro cessione) può, infatti, comportare la rettifica della detrazione dell’imposta calcolata inizialmente ovvero al momento dell’acquisto dei beni (o dei servizi), ed il conseguente eventuale insorgere di un debito IVA nei confronti dell’erario per effetto di un meccanismo di correzione a posteriori [4]. Quando si avverano i presupposti per la rettifica della detrazione, varia pertanto il quantum della detrazione stessa inizialmente operata, la quale, in linea teorica, po­trebbe [continua ..]


2. I principi enunciati dalla Cassazione in tema di procedura fallimentare e IVA

Una recente decisione della Cassazione, dando continuità all’indirizzo oramai consolidato della Corte, ha ribadito la distinzione tra i periodi di imposta anteriori al fallimento e i periodi successivi, negando, in particolare, che il curatore possa compensare il credito IVA maturato prima del fallimento con il debito sorto successivamente [7]. La posizione IVA relativa al periodo anteriore all’apertura della procedura è, infatti, differente dalla posizione successiva e questa diversità è dimostrata dal fatto che – afferma la S.C. – all’atto della dichiarazione di fallimento il curatore compila il modello IVA 74-bis [8]. Questo modello, da redigersi entro quattro mesi dalla nomina, ha ad oggetto le operazioni compiute dal fallito dal 1° gennaio dell’anno del fallimento sino alla sua dichiarazione [9] e ha lo scopo di rilevare la posizione IVA al­la data di inizio della procedura, consentendo all’Amministrazione finanziaria di co­noscere il proprio eventuale credito del quale potrà chiedere l’ammissione al passivo. Il curatore procederà poi, nei termini ordinari, a compilare la dichiarazione annuale (ordinaria) composta da due moduli: il primo che riporta l’esatto contenuto del modello IVA 74-bis ed il secondo che comprende, invece, le sole operazioni poste in essere dal curatore dopo l’avvio del fallimento; questa dichiarazione è poi seguita da altre dichiarazioni ordinarie per ogni annualità di durata del procedimento [10]. La distinzione tra i due tipi di dichiarazioni compilate dal curatore non è un elemento puramente formale, ma corrisponde ai due ruoli, tra loro distinti, che riveste il gestore della procedura. Questi, infatti, allorché predispone la dichiarazione relativa ai mesi che precedono il fallimento, assume la veste di avente causa dal fallito [11]. Con riferimento al periodo successivo all’inizio del fallimento, egli assume invece la funzione di gestore di patrimonio altrui, ovvero di quel patrimonio che ha il compito di liquidare per distribuire il ricavato ai creditori ammessi al passivo che ne avranno diritto. La dichiarazione IVA prefallimentare che, come detto, è volta ad evidenziare eventuali crediti o debiti dell’imposta rinvenuti nel patrimonio del fallito, riguarda dunque solamente le operazioni compiute dall’imprenditore prima del [continua ..]


3. La rettifica della detrazione IVA in caso di cessazione dell’attività e di fallimento del contribuente

L’affermazione secondo la quale il fallimento corrisponde alla cessazione del­l’attività assume particolare rilievo ai fini della nostra indagine. Fatta salva l’ipotesi dell’esercizio provvisorio, la dichiarazione di fallimento decreta, infatti, la cessazione dell’attività dell’impresa del debitore [13]. Questa è la ragione per la quale non è possibile ravvisare alcuna continuità fra la gestione dell’imprenditore prima dell’apertura della procedura e l’amministrazione dei beni residui operata dal curatore, perché diversi sono, nei due casi, non solo lo scopo perseguito (l’esercizio dell’impresa prima, la liquidazione dei beni poi), ma soprattutto – anche ai fini fiscali – il contribuente ed il soggetto passivo della gestione [14]. Se è dunque la dichiarazione di fallimento che accerta e decreta la cessazione dell’attività di impresa [15], è il modello 74-bis compilato dall’organo della liquidazione che informa l’Erario della posizione IVA, comunicando il momento in cui si verifica l’evento di carattere straordinario che chiude l’intero rapporto tributario IVA an­tecedente. Detta dichiarazione pertanto, da un lato, consente all’erario di insinuare al passivo eventuali crediti maturati e, dall’altro, chiarisce che il curatore gestirà il patrimonio residuo agendo come soggetto distinto dall’imprenditore [16] e che, come tale, avrà facoltà di chiedere, via via che se ne verificheranno i presupposti, il rimborso dei versamenti IVA effettuati in eccedenza nel corso della sua gestione ai sensi dell’art. 30, D.P.R. n. 633/1972 [17]. Ricordato che il fallimento comporta la cessazione dell’attività e che l’apertura del concorso traccia il confine tra due distinte situazioni anche ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (quella che precede la dichiarazione di fallimento e quella che la segue), possiamo ora accostarci alla disciplina dettata dall’art. 19-bis.2, D.P.R. n. 633/1972, il quale detta le regole della variazione della detrazione IVA operata a monte, al verificarsi delle diverse fattispecie indicate nei vari commi del citato articolo. A ben vedere, la norma non contempla espressamente la fattispecie della cessazione dell’attività. Essa si limita, al 6° comma, a [continua ..]


4. La collocazione nel passivo della procedura del credito dell’Erario generato dalla rettifica della detrazione IVA. Prededuzione?

L’Agenzia delle Entrate ha affermato che il debito del contribuente determinato dalla rettifica della detrazione sorge nel momento in cui si verificano i presupposti che danno luogo alla rettifica stessa [24]. Diciamo subito che questo enunciato può in astratto essere condivisibile nel­l’ambito del rapporto contribuente-amministrazione finanziaria, in quanto i presupposti per la rettifica sono indissolubilmente legati all’evento che la genera, nel contesto di un meccanismo pensato per realizzare la finalità principale delle norme sull’IVA, le quali, come ha affermato la Corte UE, tendono ad assicurare l’effettività della regola della neutralità dell’imposta e ad evitare che, in determinate circostanze (quali ad es. l’autoconsumo o la cessazione dell’attività) essa non venga pagata [25]. Appare però evidente che, se si vuole affrontare il tema del momento genetico del credito da variazione della detrazione dell’imposta operata a monte, si deve aver riguardo all’intera vicenda del rapporto che intercorre tra il contribuente e l’Erario, valutando in ispecie il fatto che la stessa ha in realtà inizio con la detrazione iniziale IVA, alla quale si collegano i fatti successivi che danno luogo alla variazione. E questo profilo “complesso” del rapporto fiscale di cui parliamo diviene un aspetto fondamentale della fattispecie quando se ne debbono verificare i punti di contatto con il sistema concorsuale. Occorre quindi molta cautela prima di affermare che il criterio suggerito dall’A­genzia delle Entrate per individuare il momento della nascita del debito da rettifica possa essere applicato sic et sempliciter anche nell’ambito della procedura concorsuale coattiva del contribuente che abbia già beneficiato della detrazione. Se, infatti, non si dovessero tenere ben presenti gli effetti del fallimento sulla situazione IVA, così come li abbiamo descritti nei paragrafi che precedono, potremmo essere portati ad affermare che, anche in pendenza di fallimento, il momento della nascita del debito IVA in questione coincide con quello in cui il curatore effettua le vendite per liquidare l’attivo. E, procedendo oltre nel ragionamento, saremmo indotti a ritenere che a tale credito debba essere riconosciuta natura prededotta ai sensi dell’art. 111 L. Fall. Applicando in modo acritico i [continua ..]


5. Conclusioni

La soluzione offerta in questa riflessione, di applicare e considerare il fallimento come evento straordinario assimilato alla cessazione dell’attività e di calcolare la rettifica della detrazione IVA originariamente effettuata dal fallito come se si fosse in presenza di una cessione a titolo oneroso del bene (6° comma dell’art. 19-bis.2) si pone come proposta logicamente coerente con la speciale disciplina che regola la fattispecie, con la Direttiva IVA e con l’interpretazione data dalla sentenza UE 16 giugno 2015. La prospettiva offerta si rivela anche armonica nel contesto del sistema della concorsualità e della procedura fallimentare, in particolare con il principio della parità di trattamento dei creditori, il quale si estrinseca in molte norme, non ultima quella contenuta nell’art. 55 L. Fall. che codifica la regola della scadenza, alla data del fallimento e limitatamente ai fini del concorso, delle obbligazioni pecuniarie [33].


NOTE