Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Durata della liquidazione controllata: tre (anni) è il numero perfetto (di Marina Spiotta, Professoressa associata di Diritto commerciale e dei contratti di impresa e di Diritto fallimentare nell’Università degli Studi del Piemonte Orientale)


Il commento cerca di offrire una lettura “a tutto tondo” della pronuncia della Consulta, importante non solo perché è la prima ad essere intervenuta sul nuovo ordito codicistico e per quanto espressamente statuito, ma anche perché indirettamente consente di dissipare alcuni nodi interpretativi già sorti sotto il vigore dell’abrogata disciplina.

Duration of the over-indebtedness procedure (liquidazione controllata): three (years) is the perfect number

This paper attempts to offer an “all-round” reading of the ruling of the Constitutional Court, which is important not only because it is the first to have intervened on the new code structure or as what expressly established, but also because it indirectly allows us to dispel some interpretative doubts already arising in accordance with the previous law.

MASSIMA: Liquidazione controllata – Beni sopravvenuti nel corso della procedura – Disciplina – Applicazione analogica dell’art. 142, comma 2, c.c.i.i. – Necessità – Esclusione (Artt. 142 e 268, comma 4, lett. b, c.c.i.i.; art. 2740 c.c.; artt. 3 e 24 Cost.) Per ricomprendere nella liquidazione controllata «anche i beni che pervengono al debitore durante la procedura, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi» non è necessario applicare, in via analogica, l’art. 142, comma 2, c.c.i.i., ma è sufficiente un’esegesi a contrario dell’art. 268, comma 4, lett. b), c.c.i.i. e valorizzare la regola generale sulla responsabilità patrimoniale dettata dall’art. 2740 c.c. che menziona anche i beni futuri (1). Liquidazione controllata – Termine di durata massimo e minimo – Coincidenza (Artt. 272, comma 2, e 278 c.c.i.i.; artt. 14-quinquies, comma 4, e 14-novies, comma 5, L. n. 3/2012; art. 2740 c.c.; artt. 3 e 24 Cost.) Il triennio, ricavabile dalla disciplina dell’esdebitazione, rappresenta un limite temporale massimo all’apprensione dei beni sopravvenuti del debitore, ma, in presenza di crediti concorsuali non ancora soddisfatti, esso finisce per operare anche quale termine minimo. Ove, infatti, per adempiere ai debiti relativi ai crediti concorsuali e a quelli concernenti le spese della procedura sia necessario acquisire i beni sopravvenuti del debitore (compresi i crediti futuri o non ancora esigibili), i liquidatori sono tenuti a prevedere un programma di liquidazione che sfrutti tutto il tempo antecedente all’esdebitazione e che, dunque, sia di durata non inferiore al triennio. Di conseguenza, ben potrebbe il giudice delegato sindacare in sede di approvazione, ai sensi dell’art. 272, comma 2, c.c.i.i., un programma di liquidazione che stabilisca un termine di acquisizione dei beni sopravvenuti di durata inferiore a tre anni ove tale termine lasci parzialmente insoddisfatte le ragioni dei creditori concorsuali (2). PROVVEDIMENTO: (Omissis). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con quattro distinte ordinanze, riguardanti altrettanti procedimenti di liquidazione controllata del sovraindebitato e iscritte ai numeri 48, 49, 117 e 126 del registro ordinanze 2023, il Tribunale di Arezzo ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 142, comma 2, c.c.i.i., in quanto applicabile alla liquidazione controllata del sovraindebitato, nella parte in cui non prevede un limite temporale minimo all’acquisizione dei beni sopravvenuti all’apertura della procedura concorsuale. 1.1.– I rimettenti riferiscono che, nel corso di alcune procedure di liquidazione controllata, i liquidatori hanno depositato programmi concernenti l’acquisizione di beni sopravvenuti all’apertura delle procedure. [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il vuoto legislativo apertosi nel passaggio dalla L. n. 3/2012 al D.Lgs. n. 14/2019 - 3. Le q.l.c. sollevate dal Giudice a quo - 4. Le eccezioni dell’Avvocatura generale dello Stato - 5. Dictum della Consulta e sintesi della motivazione - 6. Sottintesi – e corollari – interpretativi - 7. Cosa farà il decreto correttivo? - NOTE


1. Premessa

Si suole dire che “Il tempo è denaro” e l’antico adagio, come ci ha insegnato un autorevole compianto fallimentarista [1], vale “anche nelle procedure concorsuali”. A volte, però, per “fare cassa” occorre “non avere fretta” di chiudere la procedura (e non prendere decisioni affrettate) perché, come si è avuto modo di osservare in altra sede [2], non sempre “presto e bene stanno insieme”. È questo il principio desumibile dalla pronuncia della Consulta [3] e sintetizzato nella seconda massima, che potrebbe anticipare il prossimo decreto correttivo o essere superato da una diversa scelta del Legislatore. Per comodità dei Lettori, prima di ricordare le questioni di legittimità costituzionale (q.l.c.) e di ripercorrere i passaggi salienti dell’articolata e dotta motivazione, giova sinteticamente ricordare il vuoto normativo venutosi a creare nel passaggio dalla vecchia L. n. 3/2012 al nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (in parte qua, ancora più ermetico e laconico). Gli operatori del settore avevano cercato di colmarlo chiedendo direttamente al tribunale di fissare la durata massima della procedura di liquidazione controllata (l.c.), istanza (allora) dichiarata «inammissibile non essendovi alcuna disposizione normativa che lo consenta» [4] e che oggi (dopo l’intervento della Consulta) potrebbe invece essere ritenuta «ultronea» esattamente com’era già accaduto in ordine alla predeterminazione, da parte dello stesso istante, della durata della procedura [5].


2. Il vuoto legislativo apertosi nel passaggio dalla L. n. 3/2012 al D.Lgs. n. 14/2019

Le questioni che hanno portato ad investire la Consulta scaturiscono dalla mancata riproposizione nel D.Lgs. n. 14/2019 (breviter, c.c.i.i.) dell’art. 14-undecis della L. n. 3/2012 [1] che, oltre a consentire di apprendere all’attivo anche i beni sopravvenuti (dedotte le passività incontrate per il loro acquisto/conservazione), prevedeva una durata minima (e massima), pari a quattro anni, della liquidazione del patrimonio (oggi ribattezzata liquidazione controllata). Coerentemente: – l’art. 14-quinquies, comma 4, disponeva che la «procedura rimane[sse] aperta sino alla completa esecuzione del programma di liquidazione e, in ogni caso, ai fini di cui all’art. 14-undecies» (corrispondente all’art. 42 L. Fall.), «per i quattro anni successivi al deposito della domanda» [2]; – l’art. 14-novies, comma 2 [3], attribuiva al liquidatore, dominus della procedura, l’amministrazione dei beni rientranti nel patrimonio di liquidazione e la possibilità di cedere i crediti, anche se oggetto di contestazione, «dei quali non [era] probabile l’incasso nei quattro anni successivi al deposito della domanda», mentre il comma 5 stabiliva che, «[a]ccertata la completa esecuzione del programma di liquidazione e, comunque, non prima del decorso del termine di quattro anni dal deposito della domanda, il giudice dispone[sse], con decreto, la chiusura della procedura»; – l’art. 14-terdecies, comma 1, lett. e) [4], prevedeva, fra le condizioni per ottenere l’esdebitazione, che il sovraindebitato avesse svolto, «nei quattro anni di cui all’art. 14-undecies, un’attività produttiva di reddito adeguata rispetto alle proprie competenze e alla situazione di mercato» o, in ogni caso, avesse cercato un’occupazione e non avesse rifiutato, senza giustificato motivo, proposte di impiego. In sintesi: il numero perfetto, in base all’abrogata legge antisuicidi, era quattro (anni) e l’impianto normativo era dotato di un’intrinseca coerenza, anche se (non a torto) era stata definita «stravagante» [5] la disposizione che imponeva di tenere aperta la procedura per una durata minima di quattro anni anche nell’ipotesi in cui il programma di liquidazione fosse stato interamente realizzato prima. Nel nuovo Codice della crisi il numero perfetto è tre, ma il [continua ..]


3. Le q.l.c. sollevate dal Giudice a quo

Le questioni di legittimità costituzionale, dichiarate infondate dalla Consulta, erano state sollevate dal Tribunale di Arezzo con quattro ordinanze [1]. Per la precisione, il giudice a quo aveva censurato l’art. 142, comma 2, c.c.i.i., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede un limite temporale minimo all’acquisizione dei beni sopravvenuti all’apertura della procedura di liquidazione controllata. L’occasio che ha portato i giudici aretini ad investire la Consulta (e che potrebbe farla quasi apparire un commodus discessus) era il disagio di dover approvare dei programmi di liquidazione che, muovendo dal postulato dell’applicabilità alla l.c. dell’art. 142, comma 2, c.c.i.i., prevedevano l’acquisizione di beni sopravvenuti al­l’apertura della l.c. entro un quadriennio, termine però depennato nel nuovo “ordito normativo”, che consentirebbe unicamente d’individuare un “limite temporale massimo” di apprensione dei beni sopravvenuti pari (secondo i giudici a quibus) al “tempo strettamente necessario alla copertura delle spese della procedura”, ma non più una durata minima. In difetto di un tratto di penna volto a rimediare alla suddetta lacuna, l’art. 142, comma 2, c.c.i.i. si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza e il diritto di difesa, in quanto: – presterebbe “il fianco ad abusi da parte del debitore, il quale avrebbe gioco facile a sottrarsi all’esecuzione presso terzi intentata nei suoi confronti dai creditori, con conseguente e ingiustificabile compressione del diritto di agire di questi ultimi”; – determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento rispetto al previgente art. 14-undecies della L. n. 3/2012 che assicurava ai creditori la certezza che la procedura rimanesse aperta (almeno) per un quadriennio al fine dell’acquisizione dei beni del debitore sopravvenuti. Il Tribunale di Arezzo, oltre ad argomentare gli evidenziati profili d’inco­stitu­zionalità, si era permesso di suggerire un intervento additivo (non “creativo”, ma) “a rime obbligate”, indicando, quale termine minimo per l’apprensione dei beni del debitore sopravvenuti all’apertura della procedura liquidatoria, quello quadriennale contemplato dalla disciplina previgente. Questa è la prima [continua ..]


4. Le eccezioni dell’Avvocatura generale dello Stato

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, aveva sollevato due eccezioni di inammissibilità, entrambe rigettate sulla scorta della consolidata giurisprudenza costituzionale richiamata nella dotta motivazione. In primo luogo, la difesa statale aveva contestato il carattere eccessivamente manipolativo dell’intervento richiesto alla Consulta, rilevando che, a fronte della pluralità di soluzioni ipotizzabili, quella prospettata dai rimettenti andrebbe ad invadere la sfera di discrezionalità legislativa. Detta eccezione è però stata respinta giacché, una volta accertato un vulnus a un principio o a un diritto riconosciuti dalla Costituzione, l’assenza di una soluzione necessitata (ovvero la presenza di una pluralità di soluzioni astrattamente praticabili) non è ex se preclusiva dell’esame nel merito delle censure (senza contare che, nella fattispecie, gli stessi giudici rimettenti si erano premurati d’individuare, sulla falsariga della pregressa disciplina, un parametro temporale di riferimento). In secondo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato aveva eccepito la percorribilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata in quanto l’orizzonte temporale potrebbe essere fatto coincidere con il termine indicato dalla legge per ottenere l’esdebitazione. Anche nel giudizio di autorizzazione alla chiusura della procedura dovrebbe «ritenersi consentita al giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, una valutazione comparativa della consistenza dei riparti parziali dei debiti esistenti rispetto a quanto complessivamente dovuto» e compito dell’interprete è «proprio quello di stabilire il termine idoneo, nella fattispecie concreta, a consentire da una parte l’assolvimento dell’esigenza del debitore di reinserirsi nel sistema economico […], dall’altra di evitare uno sbilanciamento del sistema in danno dei creditori». Anche quest’obiezione è stata rigettata poiché, in effetti, il giudice a quo aveva ottemperato, sia pure invano, a tale onere, sforzandosi di offrire un’esegesi conforme alla Costituzione. In sintesi, il Tribunale di Arezzo, con argomenti giudicati dalla Corte “non implausibili”, aveva escluso che un limite temporale minimo potesse [continua ..]


5. Dictum della Consulta e sintesi della motivazione

Nel merito, la Corte Costituzionale – precisato che la possibilità di acquisire beni futuri anche nella l.c. è ricavabile da una lettura a contrariis del già ricordato art. 268, comma 4, lett. b), c.c.i.i., senza necessità d’invocare un’applicazione analogica del capoverso dell’art. 142 c.c.i.i. (v. prima massima) [1] – ha dichiarato infondate le q.l.c. smontando, uno ad uno, i diversi passaggi argomentativi sviluppati dai giudici rimettenti (pars destruens) ed individuando in positivo il corretto parametro temporale (pars costruens) ricavandolo direttamente dalle finalità della procedura: soddisfare i crediti concorsuali e non soltanto coprire le spese della procedura. Il rischio che, in ossequio al suddetto criterio, i liquidatori (nei casi d’inap­plicabilità dello sbarramento temporale derivante dall’esdebitazione) predispongano un programma di liquidazione di “durata biblica”, determinando l’effetto di consentire ai creditori, avvantaggiati dal protrarsi della l.c., di poter anche conseguire l’in­dennizzo per irragionevole durata della procedura stessa, è scongiurato dallo stesso art. 272, comma 3, c.c.i.i., ai sensi del quale detto programma deve assicurare la «ra­gionevole durata della procedura», la cui chiusura (salvi gli effetti del discharge) comporta il riacquisto in capo ai creditori del diritto di agire uti singuli, laddove la sua apertura, introducendo il concorso, inibisce ogni azione individuale, esecutiva o cautelare (cfr. l’art. 151 c.c.i.i., richiamato dall’art. 270, comma 5, c.c.i.i.). Il suddetto parametro temporale va poi coordinato sia con l’istituto del discharge (delle cui origini e disciplina la motivazione fornisce un’efficace sintesi) che con l’esigenza, derivante dal divieto di autotutela sopra ricordato, di porre un limite alla durata della procedura concorsuale, che indirettamente si riverbera sulla durata del meccanismo acquisitivo. La conclusione del ragionamento è che la durata minima della l.c. coinciderebbe con la sua durata massima. Nel passaggio saliente della motivazione, si legge che «se l’esdebitazione pone un limite temporale massimo alla apprensione dei beni sopravvenuti del debitore, poiché incide sulle stesse ragioni creditorie, d’altro canto, in presenza di crediti concorsuali non ancora soddisfatti prima [continua ..]


6. Sottintesi – e corollari – interpretativi

La pronuncia annotata è importante non solo perché è la prima (ma non sarà certo l’ultima) [1] ad essere intervenuta sul nuovo ordito codicistico e per i principi di diritto espressamente enunciati, ma anche (e ancor più) per quanto sembra presupporre (a monte) e per le sue ricadute sistematiche (a valle). È proprio vero che, parafrasando Julius von Kirchmann, basta un “numero aggiunto” per mandare al macero intere biblioteche: nella fattispecie per dirimere delicate questioni interpretative già sorte sotto il vigore dell’abrogata disciplina e che si annodano come fili intorno alla questione di fondo: quale è la finalità delle procedure concorsuali e, per quel che qui rileva, della l.c.? Interrogativo che si potrebbe risolvere individuando come: scopo-mezzo la liquidazione (intesa in senso lato, in modo da ricomprendere anche l’attività di riscossione dei crediti [2]) del patrimonio del debitore; scopo-fine la soddisfazione dei creditori in misura superiore a quella ricavabile dagli altri strumenti di regolazione della crisi/insolvenza (breviter, SRCI); scopo-recondito (inconfessabile) ottenere l’esdebitazione. Vale la pena accennare alle ricadute dell’arresto in esame sui principali nodi interpretativi. A) Sull’ammissibilità di una l.c. “senza beni” Giova ricordare che la questione della durata minima della procedura è stata sollevata dal Tribunale di Arezzo, e ha ragione di porsi, solo nel caso di l.c. “senza beni” (sottinteso: da liquidare o con beni che siano già stati velocemente liquidati) e a mera vocazione reddituale, fattispecie sulla cui ammissibilità dottrina e giurisprudenza discutevano già sotto il vigore della L. n. 3/2012 [3] e sono tuttora divise, anche al loro interno [4]. In effetti, le (stesse) norme si prestano a essere lette in maniera diversa [5] ed entrambe le esegesi prestano il fianco a critiche: – la tesi restrittiva valorizza esigenze deflattive e i principi di efficienza ed economicità che dovrebbero caratterizzare anche la materia concorsuale (arg. desunto dal comma 3 dell’art. 268 c.c.i.i.) [6] e l’assenza nel nuovo Codice di una norma sulla durata minima della l.c. [7], ma trascura di considerare che, in tal modo, l’accesso alla procedura, e la conseguente possibilità [continua ..]


7. Cosa farà il decreto correttivo?

A metà luglio 2024 scadrà il termine (concesso dalla L. delega n. 20/2019) per la promulgazione di un decreto integrativo/correttivo, che, tuttavia, nel momento in cui si redige questo breve commento, appare ancora come l’Araba Fenice (che ci sarà ciascuno dice, dove sia nessuno sa!). Gli Autori più celeri e volenterosi cercano di anticiparne il contenuto fornendo degli spunti di riflessione ad adiuvandum [1]. Con specifico riferimento ai nodi problematici affrontati dalla pronuncia annotata, si segnalano due proposte: – la n. 10 si propone di dirimere in senso affermativo il dubbio sulla possibilità di aprire una l.c. in assenza di beni aggiungendo all’art. 268, comma 1, c.c.i.i., la specificazione (riportata in corsivo) per cui «Il debitore in stato di sovraindebitamento può domandare con ricorso al tribunale competente ai sensi dell’art. 27, comma 2, l’apertura di una procedura di liquidazione controllata dei suoi beni, anche in assenza di patrimonio o di diritti da liquidare» (ossia “in assenza di beni”) [2]; – la n. 11 vorrebbe porre fine all’incertezza sulla durata della l.c. aggiungendo all’art. 276 c.c.i.i., accanto al (già presente) rinvio all’art. 233 c.c.i.i. in quanto compatibile, la precisazione per cui «Nel caso in cui vengano acquisiti all’attivo quote di reddito o di pensione o altri versamenti periodici, la procedura ha durata triennale, salvo l’eventuale maggior termine necessario per completare la liquidazione di eventuali beni residui». Bisognerà vedere se il Legislatore seguirà i suddetti suggerimenti allineati alla pronuncia della Consulta, nel qual caso, ancora una volta [3], la dottrina e il “Giudice delle leggi” avranno avuto il merito di … “anticipare la stessa legge”. Naturalmente è auspicabile che il correttivo si faccia anche carico di risolvere l’analogo problema di coordinamento della (innovativa) esdebitazione “rapida” (prevista dall’art. 279 c.c.i.i.) con le (immutate) disposizioni sugli effetti patrimoniali della l.g. nei confronti dell’imprenditore decotto, che continua a subire lo spossessamento fino alla chiusura della procedura (art. 236 c.c.i.i.) ed è poco incentivato a “rimettersi in gioco” essendo compresi nella massa attiva anche i beni [continua ..]


NOTE