Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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La direzione unitaria nella crisi di gruppo e i trasferimenti interni nelle operazioni riorganizzative a tutela della continuità aziendale (di Vittorio Minervini, Avvocato in Roma)


L’articolo intende analizzare il ruolo cruciale dell’attività di direzione e coordinamento in una situazione di crisi di gruppo, in particolare quanto alla scelta degli strumenti più idonei tra quelli offerti allo scopo dal nuovo Codice della crisi, evidenziando al riguardo anche le diverse finalità che l’esercizio della direzione unitaria può venire ad assumere al cospetto della crisi, rispetto alla disciplina civilistica che ne regola l’esercizio per l’impresa in bonis. Particolare attenzione viene dedicata all’ipotesi, espressamente ammessa oggi dal nuovo codice, dei trasferimenti di risorse infragruppo nell’ambito delle operazioni riorganizzative volte a salvaguardare la continuità aziendale dell’impresa di gruppo in crisi, secondo la disciplina dettata dall’art. 285, comma 2, tentando di chiarire le condizioni di ammissibilità del trasferimento, il contenuto della relazione richiesta allo scopo all’esperto indipendente, il tipo di sindacato rimesso al Giudice in sede di ammissione nonché di omologazione, anche in presenza di opposizioni. Ne risulta che la disciplina in esame, nel consentire anche una deroga al principio di separatezza delle masse attive e passive delle varie società appartenenti al gruppo, rappresenti ulteriore conferma dell’interesse del legislatore del nuovo codice alla tutela della continuità aziendale, in coerenza con la ratio di fondo della Direttiva Insolvency.

Unitary direction in corporate group crisis and internal transfers in reorganization operations protecting business continuity

The article analyzes the crucial role played by the management and coordination activity in tackling a corporate group crisis, in particular with regard to the choice of the most suitable tools among those offered by the new Crisis Code. To this end, it is also useful to highlight the different purposes that the exercise of unitary direction may assume in the face of the crisis, with respect to the civil law rules regulating its exercise for the performing company. Particular attention is devoted to the hypothesis, expressly considered by the new code, of the transfer of intra-group resources in the context of reorganization operations aimed at safeguarding the business continuity of the group company in crisis, in accordance with the rules set forth in Article 285, paragraph 2. Namely, the paper attempts to clarify the conditions for the admissibility of the transfer, the content of the report required from the independent expert and the type of judicial review on admission as well as the approval, even in case of opposition. It is shown that the new provision, in also allowing a derogation from the principle of separating the assets and liabilities of the various companies belonging to the group, further confirms the interest of the legislator in protecting business continuity, in line with the underlying ratio of the Insolvency Directive.

SOMMARIO:

1. Premessa: la nozione di gruppo e di direzione unitaria nel codice civile - 2. Controllo e attività di direzione e coordinamento nel codice civile: l’art. 2497 c.c. e il criterio dei vantaggi compensativi - 3. Le nozioni di gruppo e di direzione unitaria nel nuovo codice della crisi - 4. Impresa “di gruppo” e sua direzione unitaria (tra codice civile e codice della crisi) - 5. I trasferimenti infragruppo funzionali alla tutela della continuità aziendale - 6. Segue: criteri attuativi e limiti. I vantaggi compensativi nel codice della crisi - 7. Conclusioni - NOTE


1. Premessa: la nozione di gruppo e di direzione unitaria nel codice civile

Il codice civile non definisce la nozione di “gruppo”, che si presenta all’inter­prete come eterogenea e variegata, essendo frammentata (e dispersa) in una pluralità di discipline, con significati, ambiti applicativi e funzionali differenti, difficilmente riconducibili a unità [1]. In questa luce, quella di gruppo – com’è stato efficacemente osservato – è nozione che potrebbe qualificarsi come “relazionale” o “funzionale” (Zweckbegriff), nel senso che va appunto ricostruita in relazione alla (e in funzione della) “classe di interessi che nella specie si vogliono tutelare” [2], nelle diverse discipline in cui essa è postulata come “fattispecie” [3]. Ad ogni buon conto, le varie discipline in cui è dato ritrovare la nozione di gruppo si rifanno per lo più, sia pur con specifiche addizioni e variazioni, a quella di base ricavabile dal codice civile e dal diritto societario comune che, almeno a certi fini, appare costruita intorno alla nozione di “controllo” [4], che il legislatore si cura invece di definire in via diretta (art. 2359 c.c.). Infatti, anche sul piano probatorio (in virtù della presunzione recata dall’art. 2497-sexies), è proprio dall’accertamento di una situazione di “controllo” [5] che si inferisce, almeno per solito e per “derivazione”, la sussistenza della fattispecie “gruppo” (per come rilevante nel contesto normativo di riferimento) [6]. Secondo altra tesi, che ha trovato nella riforma del 2003 almeno un’indiretta conferma, la nozione di gruppo postulerebbe invece la diversa (e più intensa) relazione della “direzione e coordinamento” [7]; e se questa è la nozione adottata, sul piano del diritto positivo, dalla disciplina riformata del Capo IX del codice civile (artt. 2497 ss.), deve aggiungersi che la stessa impostazione (di ricavare cioè la nozione di “gruppo” da quella di “direzione unitaria”, indipendentemente da una relazione di controllo ex art. 2359 c.c.), è stata di recente seguita dal legislatore anche ai fini, si vedrà, delle definizioni dettate nel nuovo codice della crisi e dell’insolvenza.


2. Controllo e attività di direzione e coordinamento nel codice civile: l’art. 2497 c.c. e il criterio dei vantaggi compensativi

Si ricorderà che il legislatore delegante del 2001 aveva chiesto al Governo di prevedere, ai fini della riforma complessiva del diritto societario, “una disciplina del gruppo secondo principi di trasparenza, tale da assicurare che l’attività di direzione e coordinamento contemper[asse] adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime” [1]. La Relazione tecnica al decreto legislativo spiega al riguardo di aver scientemente deciso di regolare unicamente l’aspetto, ritenuto centrale, della responsabilità della controllante nei confronti dei soci e dei creditori sociali della controllata, senza introdurre invece una disciplina preventiva, volta a regolare in via normativa le modalità di formazione, organizzazione e funzionamento del gruppo. Si è scelta così la strada – che certo lascia aperte molte questioni [2] – di intervenire soprattutto solo ex post, al fine di garantire una tutela (successiva e di carattere risarcitorio) al verificarsi di un’altra fattispecie tipica, quella cioè di non corretto esercizio dell’attività di “direzione e coordinamento” [3]. Se n’è dedotto (non senza opinioni diverse) che nel diritto societario comune l’attività di direzione e coordinamento sia così espressamente riconosciuta come legittima [4] e risulti anzi in alcuni casi persino doverosa (almeno secondo alcuni, ad esempio quanto alla preventiva istituzione di assetti organizzativi “adeguati” per l’impresa di gruppo [5]), ma rilevi essenzialmente “in negativo”, in quanto la relativa disciplina codicistica si limita in sostanza a individuarne le conseguenze sul piano patologico [6], al fine cioè di stabilire la responsabilità delle “società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’in­teresse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime” (art. 2497 c.c.) [7]. La norma seguita precisando che la responsabilità è esclusa “quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche [continua ..]


3. Le nozioni di gruppo e di direzione unitaria nel nuovo codice della crisi

Colmando quella che era considerata una grave lacuna dell’ordinamento concorsuale [1], il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza reca oggi una disciplina generale sulla regolazione della crisi o insolvenza del gruppo (Titolo VI, artt. 284 ss.) e sulla gestione della crisi di imprese appartenenti a un gruppo (art. 289) [2], che viene poi integrata da altre disposizioni, dettate in relazione a singoli istituti [3] (in particolare quanto alla composizione negoziata di gruppo). A questi fini, esso detta innanzitutto una definizione normativa di “gruppo di imprese” (art. 2, comma 1, lett. h) che, come si è anticipato, viene ricavata da quella di direzione e coordinamento [4] (come “l’insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo Stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545 septies del codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica”); si aggiunge altresì che, a tal fine, “si presume, salvo prova contraria, che l’attività di direzione e coordinamento delle società del gruppo sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci oppure dalla società o ente che le controlla, direttamente o indirettamente, anche nei casi di controllo congiunto”. Il nuovo codice della crisi consente dunque, in modo innovativo rispetto al passato, che una situazione di “crisi di gruppo” possa essere affrontata con uno strumento unitario e nell’ambito di un unico procedimento di regolazione, quale momento di naturale estrinsecazione dell’attività di direzione e coordinamento [5] e quando ciò appaia conveniente nell’interesse dei creditori, dell’economicità di gestione della procedura e della stessa impresa di gruppo in crisi, pur nel (tendenziale, si vedrà) rispetto del principio di separazione delle masse patrimoniali [6]. Si stabilisce inoltre che ciò possa avvenire, anche per l’impresa “di gruppo”, attraverso la scelta dello strumento di regolazione che appaia più opportuno ai fini della conservazione della continuità aziendale [7] (anche parziale, se del caso), tra i vari all’uopo predisposti dal codice [8] e di intensità variabile, quanto al rapporto tra [continua ..]


4. Impresa “di gruppo” e sua direzione unitaria (tra codice civile e codice della crisi)

La definizione di gruppo “di imprese” (e, per derivazione, di impresa “di gruppo”) recata dal nuovo codice della crisi insieme con la previsione di strumenti di regolazione unitaria della sua crisi sembra assumere, anche in virtù dei rinnovati profili funzionali della disciplina (in particolare dopo il recepimento della Direttiva Insolvency [1]), una più ampia rilevanza ricostruttiva per l’interprete: innanzitutto, come si vedrà, in punto di qualificazione e contenuti della stessa attività di direzione e coordinamento. Sotto altro profilo, può osservarsi ancora che le definizioni normative (di impresa di gruppo e di direzione unitaria sul gruppo) adottate dal legislatore ai fini del codice della crisi sembrano avvalorare le ricostruzioni di vertice in chiave “oggettiva” della disciplina generale sull’impresa del codice civile (all’apice delle quali si colloca l’attività esercitata, in sé considerata, piuttosto che il soggetto che la eserciti), che sembrano pertanto farsi in questo caso preferire – anche quale categoria “epistemologica” [2] – allo schema logico-formale “a soggetto”, che pure il codice civile sembra, come noto, delineare al riguardo [3]. Vale poi ancora la pena di osservare che nel nuovo codice della crisi (così come avviene del resto nell’ordinamento bancario e nel diritto antitrust [4]) l’attività di direzione e coordinamento è apprezzata quale momento del tutto connaturale e funzionale alla gestione unitaria dell’impresa di gruppo ed è, come tale, priva (in sé) di qualunque valenza critica o patologica, tanto da essere al contrario considerata, almeno a certi fini, anche “doverosa”, almeno tutte le volte in cui vi sia un’attività d’impresa da conservare e risanare, nella logica della continuità aziendale, a beneficio degli stessi creditori [5]. Ciò risulta forse ancor più evidente ove si consideri – come fa in modo assai chiaro anche Stefania Pacchi (in particolare in punto di controlli interni alla procedura di regolazione della crisi d’impresa) – che il nuovo orientamento del diritto concorsuale recato dal codice e dalla Direttiva porta verso “una disciplina dell’im­presa in procedura per la quale la conservazione degli skills [continua ..]


5. I trasferimenti infragruppo funzionali alla tutela della continuità aziendale

Innovando sul punto rispetto alla disciplina previgente, il codice della crisi ammette oggi espressamente la possibilità di trasferimenti di risorse infragruppo proprio nell’ambito di operazioni di riorganizzazione del gruppo e dell’attività d’im­presa da questo esercitata, laddove siano necessarie a preservare la continuità aziendale (cfr. in particolare art. 285, comma 2, in riferimento a concordati, accordi di ristrutturazione e piani attestati di risanamento di gruppo) [1]. La disciplina – anche quanto ai requisiti relativi alla rilevazione della continuità aziendale del concordato dell’impresa di gruppo [2] – rende particolarmente evidente il favor che il codice armonizzato alla Direttiva rivolge alla tutela della continuità aziendale [3]. Secondo una parte della dottrina, la norma di cui al comma 2 dell’art. 285 introdurrebbe una vera e propria “aporia nel sistema” [4], quale deroga non giustificata ai suoi princìpi di base (e in particolare a quello di separazione delle masse attive e passive delle varie società del gruppo); secondo altra, sarebbe questa invece una delle principali e più rilevanti novità della disciplina recata dal codice [5], intesa a trasferire alla fase di superamento della crisi proprio quei benefici che, anche in termini di maggiore flessibilità, il modello dell’organizzazione di gruppo tipicamente assicura, consentendo di “realizzare sinergie e di favorire l’allocazione razionale delle risorse finanziarie, facendole affluire … là dove si palesano più forti le carenze o comunque si manifesta la possibilità di un loro utilizzo massimamente efficiente” [6]. A mio sommesso avviso, il pericolo in agguato (e già altrove segnalato) potrebbe essere quello di cadere in un possibile errore di prospettiva (reso ancor più insidioso in ragione dell’incerta tecnica di recepimento della Direttiva utilizzata dal legislatore nazionale): di continuare cioè a guardare al nuovo codice della crisi ad essa armonizzato, per consuetudine o abito mentale, attraverso il filtro delle idee, degli istituti e degli schemi concettuali elaborati nel vigore dalla vecchia legge fallimentare, senza cogliere appieno il cambio culturale che, invece, la direttiva Insolvency impone in questo senso, anche nel riconoscere [continua ..]


6. Segue: criteri attuativi e limiti. I vantaggi compensativi nel codice della crisi

Se questo è il senso e lo scopo della disposizione di cui al comma 2 del­l’art. 285, il problema diventa allora – per l’interprete, sul piano astratto della sistemazione concettuale; per il giudice, anche ai fini della sua concreta applicazione, al fine di evitare che, suo tramite, possano perpetrarsi abusi in danno dei soci di minoranza o dei creditori della controllata trasferente o di altre società del gruppo – quello di capire in quali termini possa (o debba) a questo fine sindacarsi la misurazione dei vantaggi compensativi e in particolare se ne risultino modifiche, specificazioni o attenuazioni quanto ai “trasferimenti riorganizzativi” qui considerati, consentiti in deroga al principio (generale della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. [1] e a quello, endoconcorsuale) di separazione delle masse attive e passive. Il tema, oggettivamente complesso e che richiederà indubbiamente un opportuno affinamento e chiarimento in sede scientifica e giurisprudenziale (anche in relazione al contenuto dell’attestazione richiesta in proposito all’esperto indipendente) vede – almeno in astratto – diverse possibili risposte. Valorizzando il dato storico e letterale contenuto al riguardo nella Relazione illustrativa, si potrebbe da un lato ritenere che la valutazione dell’attitudine dei vantaggi compensativi a bilanciare il sacrificio imposto alla società onerata del trasferimento patrimoniale debba svolgersi esclusivamente ex ante e sulla base anche dei soli vantaggi futuri “ragionevolmente attesi” [2]; e che il limite di legittimità complessiva dell’operazione (di riorganizzazione e risanamento con trasferimenti infragruppo, che l’esperto esterno deve appunto attestare) sia costituito dalla circostanza che i creditori di tutte le società del gruppo, compresi quelli della società “sacrificata” dal trasferimento (anche se non in crisi) ricevano un trattamento non deteriore (e quindi almeno “pari o migliore”) di quello che, sempre secondo una parallela e ulteriore valutazione prospettica realizzata ex ante, potrebbero ricevere in caso di liquidazione giudiziale della società [3]. Questa lettura troverebbe conferma nel comma 4 dell’art. 285, dove si stabilisce che, in caso di opposizione, il tribunale omologa il concordato “qualora ritenga, sulla base di [continua ..]


7. Conclusioni

Alla luce degli elementi normativi considerati, appare non (più) revocabile in dubbio il fatto che rientri a pieno titolo nell’esercizio del potere di direzione e coordinamento dell’impresa di gruppo in primo luogo la scelta dello strumento di regolazione più opportuno e confacente al caso di specie (e che ben potrebbe anche variare da società a società, specie ove alcune – ovvero alcune delle attività da esse condotte – fossero destinate ad essere liquidate, in quanto ritenute non risanabili); così come rappresenti naturale estrinsecazione dell’attività di direzione e coordinamento anche quella di definire, in dettaglio, i contenuti del piano di risanamento “di gruppo” (ove questa sia la strada intrapresa), e ciò anche in ordine a eventuali trasferimenti interni di risorse ipotizzati come necessari allo scopo [1]. Sembra così da superarsi la concezione “riduttivistica” (e in chiave tendenzialmente patologica) che ha spesso connotato il tema della direzione unitaria dell’im­presa di gruppo [2], evidenziandone solo i potenziali pericoli. Questa visione si scontra oggi con linee evolutive di segno contrario chiaramente apprezzabili nell’ordinamento nazionale ed euro-unitario [3] (e non solo in ambito concorsuale [4]), nonché con il dato empirico (già ricordato da Montalenti [5] e che la storia successiva ha ampiamente confermato) secondo cui il gruppo è la scelta organizzativa tipica e di maggior successo pressoché univocamente adottata, a livello internazionale (e anche in Italia), per la grande (e anche solo medio-grande) impresa azionaria. In definitiva, e su un piano più generale, è da dirsi che la direzione unitaria è del tutto connaturale al fenomeno (di gestione dell’impresa di gruppo) considerato [6] e, in quanto tale, che possa fisiologicamente esercitarsi – nel rispetto formale e sostanziale dei presidi normativi che a tuttu i livelli l’assistono [7] – in modo utile ed efficiente, anche al fine di superare una situazione di crisi che mini, in tutto o in parte, la continuità aziendale, nell’interesse dell’impresa di gruppo (unitariamente considerata, pur nella pluralità delle sue articolazioni formali) nonché nell’interesse delle singole società che ne fanno parte [continua ..]


NOTE