Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa all´esito della composizione negoziata (di Valentina Pettirossi, Ricercatrice di Diritto commerciale nell’Università degli Studi di Perugia)


Il contributo esamina la disciplina degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa alla cui omologa si pervenga all’esito del procedimento della composizione negoziata, in quanto patrocinati dall’esperto, al fine di mettere evidenza alle opportunità offerte dalla suddetta disciplina in un’ottica di concorrenzialità tra strumenti di risoluzione della crisi, ma anche evidenziando taluni aspetti procedimentali della consecuzione composizione negoziata – domanda di omologa di un accordo.

Extended effectiveness debt restructuring agreements as an outcome of negotiated settlement

The essay analyzes the discipline of extended effectiveness debt restructuring agreements as an outcome of negotiated settlement. The purpose is to highlight the opportunities offered by this discipline from a competitive standpoint among crisis resolution instruments. The essay also highlights some critical aspects arising from the transition from the negotiated settlement to the application for approval of an agreement.

SOMMARIO:

1. Inquadramento degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa nell’ambito del nuovo c.c.i.i. - 2. Prospettive di risanamento e riorganizzazione dell’impresa nella composizione negoziata - 3. L’accordo di ristrutturazione dei debiti all’esito della composizione negoziata - 4. Aspetti procedimentali della consecuzione composizione negoziata – domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione - 5. Conclusioni - NOTE


1. Inquadramento degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa nell’ambito del nuovo c.c.i.i.

La disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti è stata oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore [1], tanto da essersi parlato in dottrina di “fiore all’occhiello” del nuovo codice in specie con riferimento alla porzione normativa dedicata agli accordi “ad efficacia estesa” di cui all’art. 61 c.c.i.i. [2], in luogo del previgente art. 182-septies L. Fall. che si applicava agli accordi con banche ed intermediari [3], e che oggi, invece, trova applicazione con riferimento a crediti di qualsiasi natura [4], a condizione, però, che il piano abbia carattere non liquidatorio e sia in continuità ai sensi dell’art. 84 c.c.i.i. (v. infra). La disciplina degli accordi di ristrutturazione prevede, oggi, un corpo di disposizioni c.d. “ordinarie” di cui all’art. 57 c.c.i.i., che sono neutre rispetto alle prospettive di liquidazione o di continuità aziendale e che prevedono una soglia di adesione pari al 60% sul totale delle passività risultanti dalla contabilità. Vi è, poi, la prima variante degli accordi “agevolati” di cui all’art. 60 c.c.i.i. per i quali si prevede la riduzione della soglia di adesione dal 60% al 30% quando l’im­prenditore rinunci alla moratoria dei creditori estranei e alle misure protettive temporanee. Tanto negli accordi c.d. “ordinari” quanto in quelli “agevolati” è infine prevista la species degli accordi ad efficacia estesa ai sensi dell’art. 61 c.c.i.i. che consente di chiedere con l’omologa dell’accordo l’estensione degli effetti ai creditori non aderenti appartenenti ad una categoria omogenea, in deroga all’art. 1372 c.c. (per il quale il contratto ha forza di legge tra le parti e non produce effetto rispetto ai terzi se non nei casi di legge) e all’art. 1411 c.c. (contratto a favore di terzi) [5]. In questo caso la percentuale degli aderenti (del 60% o del 30%) deve essere tale per cui all’interno di ciascuna categoria omogenea sia raggiunta una soglia di adesione interna pari almeno al 75%. Affinché l’adesione riguardi tutte le categorie di crediti, come anticipato, è poi necessario che il piano abbia carattere non liquidatorio, mentre tale condizione non rileva se l’accordo è sottoscritto con banche ed intermediari. Se si considera [continua ..]


2. Prospettive di risanamento e riorganizzazione dell’impresa nella composizione negoziata

Una delle condizioni per chiedere l’estensione degli effetti dell’accordo, si è detto, è che questo abbia “carattere non liquidatorio”. Oggi, il comma 2 lett. b) dell’art. 61, per qualificare la continuità quale presupposto dell’estensione, rinvia espressamente all’art. 84 c.c.i.i., in materia di concordato preventivo. Tale rinvio è, oggi, generale, avendo il D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 eliminato il richiamo al solo comma 2, nonché la previsione che i creditori dovessero essere soddisfatti “in misura significativa o prevalente dal ricavato della continuità aziendale”. Il generale rinvio all’art. 84 c.c.i.i. è evidentemente funzionale, allora, a specificare la fattispecie di continuità con riferimento al comma 2 ai sensi del quale si ha continuità diretta “con prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dell’impren­ditore che ha presentato la domanda” e continuità indiretta “se è prevista dal piano la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo”. Consente, però, anche di applicare il comma 3, di talché non è necessario per l’applicazione della disciplina che il ricavato prevalente sia quello che proviene dai flussi della continuità. Si consente, così, di ricorrere all’istituto anche in tutte quelle ipotesi di piani “misti” in cui si abbia cessione di cespiti di alto valore, oltre ai flussi di cassa generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa. Il risanamento perseguito con continuità indiretta ed anche con cessione di azienda è conforme alle prospettive di risanamento di cui all’art. 12 c.c.i.i. in cui si prevede al comma 2 “il trasferimento dell’azienda o di rami di essa”. Ed invero, l’accesso al procedimento di composizione negoziata non comporta alcuna forma di spossessamento per il debitore [1], che conserva la gestione dell’im­presa “ordinaria” e [continua ..]


3. L’accordo di ristrutturazione dei debiti all’esito della composizione negoziata

Quanto alla possibilità di avvalersi dell’accordo “ultra-esteso” all’esito della composizione negoziata, valgono le seguenti osservazioni. La composizione negoziata rappresenta senza dubbio una delle novità più importanti del testo definitivamente entrato in vigore del nuovo codice della crisi, il cui obiettivo, come noto, è il superamento della situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza, quando sia ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa [1] (art. 12 c.c.i.i.). Nell’impianto del nuovo codice della crisi, la composizione negoziata si pone come strada alternativa agli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” di cui al titolo IV Parte I del codice, nell’auspicio che le trattative imprenditore/creditori possano condurre ad una soluzione di tipo contrattuale (art. 23, comma 1, c.c.i.i.), ma nulla osta che all’esito delle trattative l’imprenditore, verificata la non perseguibilità dell’accordo negoziale, possa optare per l’accesso ad uno degli strumenti del Titolo IV. Ed infatti, al comma 1 dell’art. 23 c.c.i.i. (Conclusione delle trattative) sono elencati i possibili esiti “negoziali”, individuati nel contratto almeno biennale per la continuità aziendale, nella convenzione di moratoria e nel piano sottoscritto dall’e­sperto, possibili “quando è individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di cui all’art. 12, comma 1”. Gli esiti di cui al secondo comma, che sfociano appunto in uno degli strumenti di regolazione della crisi oltre che nel concordato liquidatorio semplificato (art. 25-sexies c.c.i.i.), si pongono in conseguenza logica al mancato raggiungimento di una delle soluzioni di cui al comma primo, ma non presuppongo necessariamente il fallimento delle trattative. Ben è stato osservato che non necessariamente gli esiti di cui al comma 2 rappresentano un insuccesso della composizione negoziata, in quanto possono esprimere il risultato del processo informativo che dalle trattive stesse è promanato [2], tanto che, come nel caso degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, l’accordo può risultare dalla stessa relazione dell’Esperto e a tale ipotesi (art. 23, comma 2, lett. b)) ed è addirittura [continua ..]


4. Aspetti procedimentali della consecuzione composizione negoziata – domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione

Da un punto di vista procedimentale, l’attivazione di tale strumento di risoluzione della crisi presuppone, ovviamente, la nomina di un attestatore, che è soggetto che svolge un ruolo ben diverso da quello dell’esperto. Il ruolo dell’esperto è quello di patrocinare l’accordo, ma egli non partecipa alla redazione né del piano né dell’accordo, in quanto atti del debitore, né è chiamato ad attestare veridicità e fattibilità, rimessi alla competenza dell’attestatore (anche nel caso di cram down). È, però, evidente che la relazione dell’esperto dovrà contenere elementi utili alla valutazione dei presupposti per l’estensione dell’efficacia dell’accordo. A differenza della disciplina del concordato semplificato [1], non è richiesto espressamente che l’esperto dichiari che le trattive si sono svolte secondo buona fede e correttezza [2] ma, in ipotesi di conclusione delle trattive con accordo ad efficacia “ultra-estesa”, il richiamo ai suddetti canoni è contenuto nello stesso art. 61 c.c.i.i. che impone al comma 2, lett. a), quale requisito dell’estensione che “tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative, siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui suoi effetti”. È, inoltre, ricavabile dal tenore dello stesso comma 2 dell’art. 23 che si debba dar conto delle ragioni che sono state ostative alla conclusione delle trattative secondo uno degli esiti di cui al comma 1. Sarà necessaria, inoltre, la valutazione di convenienza rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, al fine di estendere gli effetti ai non aderenti, condizione che rappresenta forse l’unico vincolo, insieme alla necessaria previsione delle categorie omogenee, in un contesto disciplinare come quello degli accordi caratterizzato dall’assenza di regole distributive. Sebbene si possa ritenere che questa valutazione sia rimessa alle competenze dell’attestatore che è chiamato a valutare la fattibilità dell’accordo, è pur vero che la conduzione delle trattative secondo correttezza e buona fede [continua ..]


5. Conclusioni

A voler trarre alcune osservazioni conclusive sulla materia degli accordi di ristrutturazione ad efficacia ultra-estesa, le opportunità presenti nella esaminata disciplina sono tali da lasciar presagire che il ricorso a tale strumento possa fungere da volano per portare a termine un maggior numero di trattative [1], in forza di quei meccanismi che consentono di superare il dissenso minoritario non funzionale al perseguimento delle ragioni del risanamento dell’impresa in crisi, ma anche grazie alla “protezione” che si realizza nell’ambito della composizione negoziata rispetto agli atti di riorganizzazione dell’impresa in crisi. Inoltre, la composizione negoziata nella sistematica del nuovo codice è sì procedimento ad accesso facoltativo ed alternativo rispetto ad altri strumenti di risoluzione della crisi e dell’insolvenza, ma evidente è il favor legis verso tale via di soluzione della crisi d’impresa a partire dalla disciplina delle segnalazioni (e quindi della nuova allerta) e tenendo conto delle ulteriori agevolazioni accordate anche se le trattative sfociano in uno degli strumenti di regolazione della crisi idoneo a preservare le ragioni della continuità, pur nel trattamento “diseguale” dei creditori che possono essere attratti all’accordo anche se dissenzienti, nell’ottica di quella che è stata chiamata la “visione collettiva del risultato di mercato” [2]. In questa prospettiva, l’accesso alla composizione negoziata merita di essere valutato anche alla luce del più stringente quadro normativo che regola i doveri di reazione degli amministratori (art. 2086, comma 2, c.c.). In un sistema regolamentare che induce l’organo amministrativo ad agire nell’ottica di doversi difendere da profili di responsabilità sin dall’insorgere di segnali di probabilità di crisi, la selezione della strada della composizione negoziata, tra gli altri strumenti possibili, può rappresentare un “ombrello protettivo” per l’organo amministrativo nella prospettiva di eventualmente dover provare (in caso di insuccesso degli strumenti adottati) la diligenza impiegata nel perseguimento del risanamento aziendale.


NOTE