Prendendo spunto da una recente decisione del Tribunale di Roma, vengono esaminate due distinte questioni. La prima concerne l’individuazione del tipo di attività svolta dal conduttore perché possa ritenersi sussistente in suo favore la prelazione prevista dall’art. 38, 1° comma, L. 27 luglio 1978, n. 392; la seconda, invece, riguarda l’applicabilità della prevista preferenza nel caso di vendita competitiva fallimentare e di vendite forzate in genere.
Drawing on a recent judgement of the Tribunal of Rome, this contribution examines two different issues. The first one concerns the legal requirements in order to recognise the right of preemption set forth in favor of commercial entrepreneurs; the second one, instead, is about the enforceability of preemption in the field of bankrupt competitive sales and, generally, of court-enforced sales.
1. Il caso - 2. L’istituto della prelazione urbana e il relativo ambito di operatività - 3. Sull’affermata incompatibilità tra esercizio della preferenza legale e vendita competitiva - NOTE
Con la pronuncia in epigrafe il Tribunale di Roma in composizione collegiale ha accolto il reclamo proposto ex art. 36, L. Fall. avverso il decreto con cui il giudice delegato, annullando la precedente decisione del comitato dei creditori, aveva riconosciuto a favore del conduttore dell’immobile oggetto della procedura concorsuale il diritto di prelazione all’acquisto dello stesso, ai sensi dell’art. 38, 1° comma, l. 27 luglio 1978, n. 392 (c.d. legge sull’equo canone), in ragione del contratto di locazione stipulato con il fallimento per l’esercizio, all’interno dell’immobile, di attività di tipo medico-sanitario. Circa un anno e mezzo dopo la conclusione del contratto si era svolto l’esperimento di vendita al quale avevano partecipato la reclamante e il conduttore medesimo. Mentre la prima si era aggiudicata l’immobile, il secondo, invece, si era limitato a offrire il prezzo base d’asta, contestualmente dichiarando di riservarsi la facoltà di esercitare il diritto di prelazione che riteneva spettargli ai sensi del richiamato art. 38. La curatela, dopo essersi rivolta invano al giudice delegato (il quale, non ravvisando alcun ambito di intervento proprio, aveva invitato gli stessi curatori a formulare le proprie determinazioni), aveva sottoposto la questione al comitato dei creditori che, all’unanimità, la aveva autorizzata a non riconoscere la sussistenza del diritto di prelazione. Avverso tale determinazione il conduttore aveva quindi interposto reclamo innanzi al giudice delegato il quale, nonostante il contrario avviso del comitato dei creditori (e della curatela), aveva riconosciuto l’esistenza del diritto di prelazione. Nei confronti di tale decisione l’aggiudicataria ha, per l’appunto, proposto reclamo deducendo, tra gli altri rilievi, l’inidoneità del tipo di attività svolta dal conduttore a far sorgere la prelazione in esame, nonché l’assoluta incompatibilità tra vendita forzata (individuale o disposta, come in questo caso, nell’ambito di una procedura concorsuale) ed esercizio del diritto di prelazione. Il Tribunale ha accolto il reclamo e conseguentemente revocato il provvedimento del giudice delegato, condividendo entrambe le suesposte ragioni e soffermando la propria attenzione in particolare sulla ritenuta incompatibilità tra vendita fallimentare e prelazione.
Il diritto di prelazione previsto dall’art. 38, L. n. 392/1978 configura un’ipotesi di prelazione legale impropria [1], consistente nel diritto del conduttore di un immobile adibito ad uso non abitativo a essere preferito qualora il titolare-locatore intenda alienare l’immobile a titolo oneroso [2]. La ratio della disposizione citata viene ordinariamente rinvenuta nell’esigenza di tutelare l’attività del conduttore e l’avviamento commerciale [3], anche allo scopo di rafforzare l’impresa, “sul presupposto che chi ha posto radici in una località, ha tutto l’interesse, per mantenere alto il profilo dell’azienda, di conservarla nello stesso posto, ricorrendo allo strumento della proprietà del locale, tenuto conto delle consuetudini sostanzialmente abitudinarie della clientela” [4]. Da questa prospettiva l’istituto in questione si colloca nell’ambito delle prelazioni previste dalla legge a tutela dell’impresa, “assunta come valore meritevole appunto di tutela anche a discapito della stessa proprietà” [5]. Si tratta, inoltre, di un’ipotesi di prelazione legale assistita da retratto, che consente cioè al conduttore, nel caso in cui il locatore alieni a un terzo in spregio al titolo preferenziale (ovvero per un corrispettivo maggiore rispetto a quello indicato nella denutiatio), di riscattare da quest’ultimo l’immobile ceduto allo stesso prezzo al quale esso era stato acquistato [6]. Il retratto viene qualificato come diritto potestativo complementare al diritto di prelazione, destinato a realizzare gli effetti voluti dal legislatore attraverso la disposta preferenza a favore del conduttore [7]. La prelazione in esame non è riconosciuta a favore di tutte le categorie di conduttori di immobili adibiti a uso non abitativo. Il legislatore infatti, sia pure attraverso una tecnica legislativa invero non impeccabile [8], che impone all’interprete il coordinamento tra i relativi artt. 27, 35, 38 e 41 [9], ha stabilito che aventi titolo alla prelazione sono i soggetti che esercitino, all’interno dell’immobile locato, un’attività industriale, commerciale, artigianale e artistica, a condizione che dette attività comportino “contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori”. Restano inoltre escluse le [continua ..]
L’aspetto che la pronuncia tratta con maggiore dovizia argomentativa è quello relativo alla vexata quaestio della esercitabilità della prelazione ex art. 38, L. n. 392/1978 in seno alla procedura di vendita fallimentare, ritenendo che, quand’anche l’attività svolta dal conduttore fosse rientrata nell’ambito applicativo della preferenza legale, il relativo diritto non sarebbe comunque stato opponibile all’aggiudicataria. A supporto di questa conclusione vengono richiamate, essenzialmente, da un lato la non riconducibilità del trasferimento da attuarsi in sede fallimentare alla volontà del proprietario; dall’altro, l’esigenza di risolvere il divisato conflitto di interessi sotteso alla fattispecie decisa, intercorrente tra il conduttore e i creditori del fallito, in senso favorevole a questi ultimi, in ragione del pregiudizio che, secondo i giudici, deriverebbe loro da un eventuale riconoscimento del diritto di prelazione. Il primo profilo di incompatibilità è oggetto di un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Secondo l’orientamento prevalente il tenore letterale della previsione di legge (“nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso”) farebbe inequivoco riferimento, quale presupposto di operatività della prelazione [29], ad un’alienazione volontaria, con esclusione dunque dei trasferimenti non riconducibili alla libera determinazione del proprietario-locatore [30]. Nell’ambito di questo indirizzo vi è poi chi ritiene che tale alienazione debba necessariamente identificarsi con lo schema di cui all’art. 1470 c.c. [31] e chi, invece, considera la prelazione applicabile anche ad altre fattispecie traslative [32] quali, ad esempio, la permuta [33], la datio in solutum [34], la rendita vitalizia, la rendita perpetua, la transazione [35] e il negotium mixtum cum donatione. In questa prospettiva, il previsto obbligo per il locatore di indicare il corrispettivo, “da quantificare in ogni caso in denaro” (art. 38, 2° comma), avrebbe la finalità di ovviare all’ostacolo costituito dall’eventuale infungibilità del corrispettivo promesso dal terzo [36]. A sostegno della tesi della necessaria volontarietà dell’alienazione viene altresì richiamata la disposizione di cui all’art. 8, 2° [continua ..]