Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Liquidazione, crisi, insolvenza del fondo comune e strumenti del “C.C.I.I.” (di Filadelfio Mancuso, Professore associato di Diritto commerciale nell'Università degli Studi di Messina)


Il lavoro si occupa della fine dell’attività del fondo comune d'investimento diversa dal procedimento di liquidazione giudiziale per insolvenza. In difetto di una normativa ad hoc la ricerca verte, anzitutto, sulle soluzioni di diritto positivo alle principali criticità che emergono nella fase di liquidazione volontaria del fondo comune. Quindi, lo studio indaga la possibilità per il gestore professionale di accedere agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e ad altre soluzioni previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, nell'interesse del fondo gestito. La riflessione propende verso l’ammissibilità dell’estensione al fondo di questi strumenti, affrontando poi specifici profili operativi.

Winding-up, crisis, insolvency of the mutual fund and tools of the new italian insolvency code

The essay deals with the dissolution of the mutual fund business other than the compulsory insolvency winding-up. In the absence of ad hoc regulation, the research focuses primarily on the positive law solutions to the main critical issues concerning the mutual fund voluntary winding-up phase. Then, the work provides perspectives on the possibility for the professional manager to access, in the interest of the fund, the tools for handling the crisis and insolvency and other solutions regulated by the new Italian Insolvency Code. In conclusion, the study extends the application of these tools to the fund while addressing specific operational profiles.

SOMMARIO:

1. Considerazioni introduttive - 2. La fine dell’attività del fondo per scadenza del termine: la prosecuzione del mandato gestorio - 3. (Segue): il trasferimento nonché l’assunzione di attività e di passività - 4. Gli strumenti stragiudiziali: la composizione negoziata della crisi e il piano attestato di risanamento del fondo comune - 5. L’accesso agli accordi di ristrutturazione dei debiti - 6. L’ammissibilità del concordato preventivo - 7. L’applicabilità al fondo dei nuovi strumenti giudiziali del c.c.i.i. per regolare la crisi e l’insolvenza - NOTE


1. Considerazioni introduttive

Alla fase terminale dell’attività dei fondi comuni d’investimento e, in particolare, allo squilibro patrimoniale e finanziario di questi organismi è dedicata soltanto la scarna disciplina ex art. 57, commi 6°-bis e 6°-bis.1, Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria (TUF) di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 [1], che ne regola la liquidazione giudiziale nell’ipotesi di insolvenza. Mancano, invece, appositi regimi in ordine alla liquidazione volontaria nonché per gli strumenti di regolazione e gli altri rimedi alternativi rispetto alla crisi e all’insolvenza dei fondi. Quanto alla fisiologica fase terminale per scadenza del termine emergono talune criticità specie in relazione alla gestione delle passività e alla sorte dei rapporti pendenti, mentre con riguardo alle patologie l’interprete deve indagare sulla possibilità di estendere ai fondi le soluzioni di diritto comune disciplinate oggi dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (c.c.i.i.) [2]. A quest’ultimo proposito, l’individuazione dei mezzi funzionali allo scopo può, a prima vista, giovarsi dell’attribuibilità al fondo di una qualificazione soggettiva tipica: (i) se il fondo fosse un “imprenditore”, gli sarebbe consentito l’utilizzo di misure volte a favorire la regolazione della crisi o dell’insolvenza, come il piano attestato di risanamento ex art. 56 c.c.i.i. [3], l’accordo di ristrutturazione dei debiti (AdR) ex art. art. 57 c.c.i.i. e il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, mentre già in una fase antecedente di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza potrebbe avviare il percorso di composizione negoziata ex artt. 12 ss. c.c.i.i.; (ii) se esso fosse un “imprenditore commerciale”, nei casi di crisi o d’insolvenza sarebbe ammesso il ricorso alla procedura di concordato preventivo o al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) ex artt. 64-bis ss. c.c.i.i. [4]; (iii) qualora, infine, fosse un “debitore” in situazione di sovraindebitamento (art. 2, 1° comma, lett. c), c.c.i.i.), avrebbe facoltà di valutare l’accesso ad una delle procedure disciplinate dagli artt. 65 ss. c.c.i.i. L’impostazione soggettivistica del fondo, però, è [continua ..]


2. La fine dell’attività del fondo per scadenza del termine: la prosecuzione del mandato gestorio

Il ruolo assegnato alla Sgr che istituisce e gestisce un fondo comune è equiparabile ope legis a quello del mandatario e gli obblighi assunti con l’accettazione di questa “funzione” hanno come beneficiari i partecipanti-investitori (cfr. art. 36, 3° comma, TUF) [7]. Se spira il termine di durata del fondo, questo va liquidato, come avviene per le società il cui termine sia scaduto. Lo spirare del termine (originario o prorogato) non fa venir meno l’autonomia patrimoniale, ma individua un limite temporale al­l’at­tività, imponendo di tirare le somme. La fase deputata ad “accompagnare” l’esaurimento delle vicende riferibili al fondo dopo la scadenza della durata dello stesso, che è tendenzialmente priva di disciplina, dovrebbe essere gestita assicurando sempre l’estraneità del patrimonio della Sgr sia rispetto alle attività, sia verso le passività “superstiti” [8]. In particolare, nella liquidazione del fondo risulta problematica la gestione dei negozi ancora in corso d’esecuzione, cc.dd. pendenti. Le difficoltà di affrontare la sorte di queste peculiari vicende sono direttamente proporzionali a quelle di definire la natura giuridica del fondo e la titolarità dei rapporti ad esso imputabili. Una volta scaduto il fondo, la risposta alla domanda di chi fossero i beni che ne costituivano l’oggetto rappresenta il presupposto per lo scioglimento del dubbio di chi siano ora. La teoria della “comunione” li assegnerebbe (ovvero confermerebbe) in capo ai partecipanti; la teoria del “patrimonio separato” della Sgr li assegna (o mantiene) alla stessa [9]. Rimane, comunque, irrisolto il nodo della ricostruzione della disciplina destinata a sostituirsi a quella propria del fondo, che con il verificarsi della scadenza non è più applicabile (a partire dalle disposizioni sulle attività degli organi). Durante le operazioni liquidative bisognerà tener, quindi, fermo il principio di separatezza e contemperare, nei limiti del possibile, i diritti dei partecipanti (aventi ad oggetto la ripartizione del ricavo dalla liquidazione) con i diritti dei soggetti interessati dai rapporti giuridici non ancora esauriti – ivi comprese le situazioni di “soggezione” alle altrui iniziative, come quelle connesse alle potestà accertative [continua ..]


3. (Segue): il trasferimento nonché l’assunzione di attività e di passività

Una soluzione operativa per la gestione dei rapporti non ancora definiti del fondo “scaduto” può rinvenirsi nel “trasferimento” al gestore delle attività, delle passività e delle liquidità residue, con il conferimento di un mandato gestorio alla Sgr, irrevocabile (giacché nell’interesse dei quotisti) e funzionale alla liquidazione degli attivi, al regolamento delle passività, nonché al riconoscimento ai partecipanti degli eventuali residui di liquidazione. In alternativa, si pensi alla possibilità che la Sgr provveda a completare la liquidazione nel termine di durata del fondo, ma “assumendo” (i) impegni di garanzia per un elevato importo, (ii) oltre alle attività e alle passività residue del fondo stesso [14]. Così facendo il gestore, nel silenzio della disciplina primaria e regolamentare, mira ad ovviare all’inconveniente della fine di un “regime giuridico” – quello che regola il patrimonio separato del fondo – alla quale non corrisponde l’esaurimento degli effetti prodotti dagli atti compiuti entro detta scadenza. Le soluzioni appena prospettate, di stampo prettamente negoziale, non fanno gravare sui partecipanti: a) i costi delle attività indispensabili per l’effettivo esaurimento dei rapporti giuridici originati dalla gestione del fondo; b) le “passività latenti” che potrebbero generarsi per il compimento di atti di gestione del fondo, ma in un momento successivo alla fine della sua liquidazione (se non, beninteso, in conseguenza dell’imputazione di dette passività alle attività mantenute nella disponibilità della Sgr alla stregua di altrettanti “fondi-rischi”).


4. Gli strumenti stragiudiziali: la composizione negoziata della crisi e il piano attestato di risanamento del fondo comune

La composizione negoziata della crisi (v. artt. 12-25-quinquies c.c.i.i.) è un percorso stragiudiziale che si può intraprendere, in funzione del risanamento, per trattare con i creditori e gli altri soggetti interessati attraverso la mediazione professionale e imparziale di un esperto indipendente, accedendo poi eventualmente ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza [15]. La composizione negoziata sembra una misura agevolmente esperibile da una società di gestione nell’interesse del fondo gestito, per un triplice ordine di ragioni: i) anzitutto, poiché sul piano oggettivo presuppone anche solo la mera probabilità della crisi, ossia una situazione di “pre-crisi” (art. 12, 1° comma, c.c.i.i.) e, quindi, di norma non si sovrappone alla liquidazione giudiziale del fondo insolvente (v. art. 57, comma 6°-bis, TUF [16]); ii) in secondo luogo, giacché al fine di evitare abusi e strumentalizzazioni ne è precluso l’accesso nelle fattispecie in cui siano già stati attivati gli strumenti o le procedure di risoluzione della crisi o dell’insolvenza, ai sensi dell’art. 40 c.c.i.i., incluso il procedimento di apertura della liquidazione giudiziale (art. 25-quinquies c.c.i.i.) [17]; iii) infine, in quanto può essere considerata il percorso privilegiato per il tentativo di prevenire o, almeno, di superare le crisi [18]. Sul piano operativo, in virtù del principio di separatezza ex art. 36, 4° comma, TUF, l’invito dell’esperto a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei negozi ad esecuzione continuata, periodica o differita ex art. 17, 5° comma, c.c.i.i. riguarda precipuamente i rapporti contrattuali che pendono nell’interesse del fondo e, parimenti, il gestore può chiedere l’applicazione delle misure protettive, a norma dell’art. 18 c.c.i.i., ma con effetti limitati al patrimonio autonomo costituito in fondo nonché ai contratti in corso di esecuzione stipulati per conto di esso [19]. Lo stesso dicasi per le autorizzazioni del tribunale ex art. 22 c.c.i.i. il cui “perimetro” è circoscritto ai beni e ai rapporti ricompresi nel fondo interessato dalla composizione negoziata [20]. Deve poi ammettersi l’applicabilità, anche al patrimonio costituito in fondo, dell’istituto stragiudiziale del piano attestato. [continua ..]


5. L’accesso agli accordi di ristrutturazione dei debiti

Per quanto attiene all’applicabilità al patrimonio costituito in fondo della disciplina sugli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57 ss. c.c.i.i.) [27], è plausibile riproporre, in prima battuta, le considerazioni formulate per il piano attestato. Difatti, poiché il gestore dispone dei rapporti giuridici inerenti al fondo, può farne oggetto di un accordo con i creditori, volto a superare la fase di difficoltà o l’insolvenza, sottoponendolo all’omologazione del tribunale. Occorre, però, notare che quest’istituto, come regolato oggi dagli artt. 57 ss. c.c.i.i., accanto agli aspetti negoziali presenta evidenti caratteri di “concorsualità”, che ragionevolmente consentono di superare la disputa sorta al riguardo nel previgente regime [28]. Sicché, l’ipotesi del ricorso della Sgr all’accordo di ristrutturazione (nell’interesse di uno o più fondi) fa emergere anzitutto un dubbio interpretativo, dal momento che tale investitore istituzionale – come gli altri intermediari bancari e finanziari – non può essere sottoposto alle procedure concorsuali di diritto comune, a norma dell’art. 80, 6° comma, TUB, richiamato dall’art. 57, 3° comma, TUF [29]. Tuttavia, il rinvio ex art. 57, comma 6°-bis, TUF al relativo 3° comma-bis (anziché al 3° comma) non ricomprende il richiamo (nel 3° comma-bis effettivamente assente) all’art. 80, 6° comma, TUB. La crisi del fondo non è sottratta ai procedimenti diversi dalla l.c.a. bancaria e, dunque, alla Sgr non è impedito di proporre un accordo ex art. 57 c.c.i.i. per conto di esso [30]. L’opinione favorevole ad ammettere l’accesso a tale procedura nell’ipotesi in discorso, è poi suffragata sia da un’esegesi sistematica che apre alla possibilità di gestire “privatamente” la crisi e l’insolvenza del fondo, sia nello specifico dai commi 6°-bis e 6°-bis.1. dell’art. 57 TUF [31], che delineano una procedura assimilabile alla l.c.a. degli intermediari finanziari, alla quale può essere sottoposto il fondo, per iniziativa (anche) della Sgr, benché reputato privo di soggettività giuridica. Sulla scorta di questa constatazione è ipotizzabile che il fondo possa divenire oggetto pure di un procedimento come quello [continua ..]


6. L’ammissibilità del concordato preventivo

Una volta acquisito il principio secondo cui il complessivo apparato normativo consente “l’impiego – sempre per il solo Fondo – di strumenti alternativi di soluzione della crisi, senza che si debba affermare in alcun modo come presupposto necessario lo stato di crisi della Sgr medesima (che quindi ben può attuare tali strumenti quando la crisi investa il Fondo in sé e non la Sgr)” [39], occorre indagare il problema se tra le misure applicabili possa annoverarsi pure il concordato preventivo [40]. Milita in senso contrario alla soluzione positiva la previsione, almeno per le situazioni d’insolvenza, della procedura speciale di “l.c.a. del fondo”. Però, rispetto a tale considerazione è possibile formulare qualche critica. Invero, bisogna tener conto di due elementi: a) anzitutto, del dato che l’accesso al concordato, parimenti all’utilizzo del piano attestato e dell’accordo di ristrutturazione, non è previsto per la sola ipotesi d’insolvenza (o d’incapienza), ma anche per il meno grave stato di crisi; b) inoltre, del principio generale di diritto concorsuale, secondo il quale “se la legge non dispone diversamente, le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa possono essere ammesse alla procedura di concordato preventivo [...]” (v. art. 296 c.c.i.i.). Si rammenti pure, a quest’ultimo riguardo, che la crisi e l’insolvenza del fondo non sono esenti dalle procedure concorsuali di diritto comune, sicché alla Sgr non è precluso il ricorso – inter alia – al concordato preventivo nell’interesse di ciascun fondo gestito. Dunque, atteso l’ambito applicativo del procedimento ex artt. 84 ss. c.c.i.i. e in difetto di norme che dispongano diversamente dall’art. 296 c.c.i.i., l’ammissione del fondo alla procedura concordataria dovrebbe essere consentita: i) nelle situazioni di crisi di liquidità (che non sono infrequenti nella gestione di strumenti finanziari o di immobili); ii) anche nei casi contemplati dall’art. 57, comma 6°-bis, TUF, nonostante l’assoggettabilità a “l.c.a.” del fondo stesso, allorché la liquidazione non sia stata ancora aperta. Inoltre, depongono per un’interpretazione sistematica nel senso dell’accesso del fondo al concordato preventivo, da un verso, la duttilità, la [continua ..]


7. L’applicabilità al fondo dei nuovi strumenti giudiziali del c.c.i.i. per regolare la crisi e l’insolvenza

L’estensione ai fondi in difficoltà del c.c.i.i. e l’ampiezza dei presupposti oggettivi (che non sono limitati all’insolvenza) rendono altresì ammissibile il ricorso del gestore, per conto del fondo, ai nuovi strumenti di diritto della crisi d’impresa, ovviamente tranne quando risulti avviato il procedimento ex art. 57, commi 6°-bis e 6°-bis.1, TUF. Si pensi al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, introdotto dall’art. 16, 1° comma, D.Lgs. n. 83/2022 (artt. 64-bis-64-quater c.c.i.i.), che sul versante strutturale può essere collocato in una posizione mediana tra gli AdR, specie quelli ad efficacia estesa ex art. 61 c.c.i.i., e il concordato preventivo [45]. Infatti, similmente ai primi, essendo prevista l’unanimità delle classi ai fini del­l’approvazione del piano, la decisione della maggioranza vincola solo la minoranza dei creditori appartenenti alla medesima classe dei creditori consenzienti e non anche quelli inclusi in una diversa classe [46]; rispetto alla procedura concordataria il piano di ristrutturazione, invece, condivide l’articolazione trifasica (apertura, votazione, omologazione) [47]. Il PRO è, in definitiva, una misura di regolazione che presenta evidenti caratteri di concorsualità, ossia (a) l’intervento dell’autorità pubblica, (b) i vincoli, benché limitati, sul patrimonio del debitore e (c) la regolamentazione coattiva dei diritti dei creditori verso il debitore [48]. Del pari, non si ravvisano impedimenti nell’estendere ai fondi pure il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (artt. 25-sexies e 25-septies c.c.i.i.) [49]. Si tratta di una soluzione concorsuale di diritto comune riconducibile nel­l’alveo dei c.d. concordati coattivi [50], previsti anche nelle procedure di tipo amministrativo (il concordato nella l.c.a. ex art. 314 c.c.i.i. e il concordato nell’am­ministrazione straordinaria di cui all’art. 78 D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270) nonché nella disciplina del sovraindebitamento (la ristrutturazione dei debiti del consumatore ex artt. 67 ss. c.c.i.i.). Invero, nel concordato semplificato manca la votazione, atteso che l’autotutela dei creditori è sostituita dall’eterotutela del tribunale, rappresentata dal giudizio di assenza di pregiudizio per i creditori da svolgersi in sede di [continua ..]


NOTE