Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Responsabilità del professionista attestatore nelle procedure concorsuali. Note da un dialogo con la giurisprudenza (di Luigi Salamone, Professore ordinario di Diritto commerciale nell'Università di Cassino e del Lazio Meridionale)


La responsabilità dell’attestatore nel diritto delle crisi di impresa, in sede civile e penale, nel prisma della giurisprudenza italiana. Nel lavoro sono analizzate le diverse fattispecie di attestazione omissiva o non conforme, sia nei rapporti tra le parti, sia verso i terzi («responsabilità da contatto sociale»).

Liability of the certifying expert in insolvency proceedings. Notes about case-law

The liability of the certifying accountant in insolvency proceedings, in civil and criminal matters, throughout Italian case law. This essay analyzes cases about negligent or fraudulent omitting or non-compliant certification both in relations between the parties and with third parties.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Uno scrutinio di orientamenti (civili e penali). A) Nei rapporti tra le parti (debitore-attestatore) - 3. (Segue): B) Nei rapporti (anche) tra attestatore e terzi - 4. (Segue): conseguenze dell’omissione dell’attestazione, nei rapporti tra le parti e con i terzi - 5. L’attestatore e la responsabilità da contatto sociale verso i terzi - NOTE


1. Introduzione

La figura dell’attestatore è notoriamente richiamata dalle regole della legge fallimentare in tre distinti ambiti: i piani attestati, gli accordi di ristrutturazione, il concordato preventivo. Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, versioni 2019 e 2020) non si allontana da questa impostazione. Successivamente, è intervenuto il D.L. 24 agosto 2021, n. 118, poi convertito in L. 21 ottobre 2021, n. 147, sia per posticipare l’entrata in vigore del codice delle crisi, sia per modificare la legge fallimentare, ma soprattutto per introdurre una nuova procedura, di «Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa»: nella disciplina non sono menzionati professionisti attestatori, ma «professionisti negoziatori». Da ultimo, il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 ha ulteriormente modificato il codice delle crisi, abrogando fra le altre cose l’originario Titolo II della Parte Prima, che ora risulta interamente riscritto (nuovi artt. 12-25-undecies). Salvo variazioni di cui in questa sede non si può dare compiutamente conto, la novella traspone all’interno del codice della crisi i principi già apparsi con il citato D.L. n. 118/2021 regolando, allora all’interno del sistema del rinnovato codice della crisi, la composizione negoziata e il Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio all’esito della composizione negoziata. Questo testo normativo denomina ora la figura professionale dell’«esperto» e gli affida la funzione di «agevola(re) le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di cui al comma 1, anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa» (v. art. 12 c.c.i.i.). L’«esperto» risulta una figura professionale assai diversa per le competenze che la legge le affida, ma pur somigliante per requisiti oggettivi: indipendenza ex art. 2399 c.c. (art. 4 D.L. cit., testo convertito; art. 16, 1° comma, c.c.i.i.), iscrizione ad albi professionali, uniti ad esperienze maturate sul campo (art. 13, 1° comma, c.c.i.i.) [1]. Per quanto la legge si premuri ora di statuire espressamente che l’esperto «non è equiparabile al professionista indipendente di cui all’articolo 2, comma 1, lettera [continua ..]


2. Uno scrutinio di orientamenti (civili e penali). A) Nei rapporti tra le parti (debitore-attestatore)

La giurisprudenza civile più copiosa è incentrata sulla posizione di indipendenza dell’attestatore: un primo gruppo di decisioni ad es. statuisce che la sussistenza di un credito, ovvero di rapporti professionali occasionali non pregiudichi l’indi­pen­denza dell’attestatore [3], ovvero ancora di un rapporto di parentela con un dipendente dell’imprenditore debitore [4], in virtù del mancato richiamo dell’art. 28, 2° comma, L. Fall. da parte delle disposizioni in tema di piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo (ugualmente, salvo errori, fa il codice delle crisi nei riguardi dell’art. 358, 2° comma, c.c.i.i.), diversamente da pregressi rapporti professionali caratterizzati da stabilità [5], cessati i quali si richiede che trascorra almeno un quinquennio senza che gli stessi proseguano per il tramite di associati al proprio studio professionale [6]. Ed ancora: l’invalidità dell’atto di nomina per mancanza di indipendenza ed il conseguente venir meno del diritto al compenso [7]. Ed infine: la situazione di incompatibilità sopravvenuta al deposito dell’attesta­zione della proposta concordataria (ovvero al deposito dell’attestazione di una sua modifica) non pregiudica la terzietà dell’attestatore (secondo la valutazione del giudice penale) [8]. Sotto altra angolazione, si snoda un orientamento significativo sui contenuti dell’obbligo dell’attestatore e delle correlate responsabilità: il professionista attestatore deve avere accertato la veridicità dei dati aziendali ed il piano deve apparire idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa [9]. Questo orientamento è espressivo di una visione che rimette in discussione l’applicazione dell’art. 2236 c.c. e l’inquadramento dell’obbligazione come di risultato, introdotto dalla importante, recente decisione della Cassazione del 2018 [10], sulla quale dovremo presto tornare.


3. (Segue): B) Nei rapporti (anche) tra attestatore e terzi

L’orientamento che statuisce sull’oggetto delle attestazioni segue un filo conduttore: quale che ne sia la funzione/l’utilizzo in sede processuale, quando esse abbiano per riferimento un’impresa in continuità aziendale, al professionista non è richiesto di indicare al debitore l’adozione di particolari decisioni di conduzione imprenditoriale. Le decisioni vanno assunte dal debitore; l’attestatore deve valutarne l’idoneità allo scopo prestabilito. In questo senso anche la giurisprudenza di merito [11]. Di qui siamo entrati nella sfera di rapporti giuridici diversi, tra attestatore e terzi: l’attestazione riferita all’impresa in continuità non comporta sostituzione nell’adozione delle decisioni di conduzione dell’impresa. Opinare diversamente sarebbe quanto dire che l’attestatore debba redigere lui stesso il piano, l’ac­cordo di ristrutturazione, la proposta concordataria; sarebbe quanto di più lontano dalla sua posizione di indipendenza, poiché muterebbe in consulente aziendale. Il che non è e non può essere: al professionista indipendente viene sottoposto un piano (o un accordo, o una proposta concordataria), esaminato il quale, se ritiene, deve esprimersi nel senso di attestare veridicità dei dati dei dati aziendali e la fattibilità. Sempreché ritenga che sussistano le condizioni per dichiararlo (si veda più sotto). L’orientamento non muta se declinato in senso penalistico. Qui, il punto di riferimento è, come noto, nell’art. 236-bis L. Fall., (v. ora anche l’art. 342 c.c.i.i.): neppure in questa prospettiva l’attestatore è chiamato a formulare specifiche indicazioni di conduzione imprenditoriale, né ha il compito di esprimersi sulla liceità di singole condotte imprenditoriali pregresse [12]; mentre le decisioni tendono a specificare, non senza orientamenti contrastanti, i dati rilevanti sui quali l’attestatore deve soffermarsi per offrire una valutazione di fattibilità della proposta ed in assenza dei quali il reato deve intendersi consumato (l’identificazione del legale rappresentante della società debitrice nella relazione [13]). Possiamo dire raggiunta una prima conclusione, nel raffronto tra disposizioni di legge e poi decisioni giudiziali civili e penali: che l’attestatore non ha, nei [continua ..]


4. (Segue): conseguenze dell’omissione dell’attestazione, nei rapporti tra le parti e con i terzi

Riprendendo uno spunto già espresso, preliminare è chiarire che l’attestatore non è obbligato all’attestazione: egli è chiamato dapprima a valutare dati aziendali ed un piano; dopodiché, se ne ritiene sussistenti le condizioni, secondo il principio di verità, renderà la formale dichiarazione; ma è certo che se, in applicazione del principio di verità, nell’ambito delle competenze per le quali è titolato, egli ritenga non veritieri i dati aziendali, o non fattibile il piano, non per questo può essere considerato responsabile ex art. 1218 c.c. per la mancata attestazione, né per questo dovrebbe perdere il diritto al compenso ex art. 2233 c.c. Egli, come ogni professionista intellettuale, ha uno spazio di discrezionalità valutativa che consegue all’affida­mento d’incarico da parte del committente. Il resto può solo essere un problema di prova: di avere correttamente esercitato quella discrezionalità valutativa che lo ha indotto a negare l’attestazione. La responsabilità per omissione o per diniego dell’attestazione, nei confronti del debitore – committente, può derivare soltanto dalla mancata prova liberatoria ex art. 1218 c.c., di non avere adempiuto senza provare che ciò sia dipeso da causa a lui non imputabile (= dati provatamente non veritieri; piano macroscopicamente non fattibile). La materia si fa più complessa, però, quando nei rapporti tra le parti l’atte­sta­zione sia stata resa, ma non abbia sortito l’effetto che il debitore sperava. Cioè: l’attestazione è stata espressa, ma giudizialmente il piano attestato non è riuscito ad evitare il fallimento, l’accordo di ristrutturazione non è stato omologato, la proposta concordataria non è stata ammessa. Qui occorre distinguere se nel giudizio di revocazione, o di omologazione dell’accordo, o di accesso al concordato il tribunale espressamente statuisca che entrino in gioco condotte negligenti o dolose, sia omissive sia commissive, dell’attestatore e questo sia risultato determinante dell’esito del giudizio [14]. Quindi: – se nessuna statuizione giudiziale compare in proposito, è difficile immaginare una responsabilità dell’attestatore, proprio perché l’affidamento del committente gli [continua ..]


5. L’attestatore e la responsabilità da contatto sociale verso i terzi

Nel frattempo, la dottrina «di formazione giudiziale» ha elaborato una proposta di ricostruzione della disciplina della responsabilità risarcitoria dell’attestatore espressamente desunti dai criteri della c.d. responsabilità da contatto sociale, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo ad altre materie [18]. La dottrina «dei professori», invece, ha preferito evitare il riferimento alla responsabilità da contatto sociale, per argomentare all’interno dell’art. 2236 c.c., ma avvicinandosi alle stesse conclusioni: si distingue, da un lato, tra responsabilità verso il debitore committente e responsabilità verso i creditori, affermando che in entrambi i casi tuttavia il titolo è nella responsabilità contrattuale, quest’ultima prescindendo dalla fonte dell’obbligo (diremmo: a contenuto puntuale, non generico, non il mero «neminem laedere»), quando al fatto lesivo preesiste un obbligo, quale che ne sia la fonte (contratto o legge): così uno scritto dell’Onorato che, ad alcuni anni di distanza dalla pubblicazione, resta la «pietra di paragone» per tutti gli studiosi che intendano accostarsi al tema [19]. Il tema allora è: perché la giurisprudenza ha iniziato a recepire proposte dottrinali da tempo elaborate? Si tratta di una vicenda che ricorda l’evoluzione degli orientamenti giudiziali in materia di inesistenza delle deliberazioni di assemblea di società di capitali. L’idea dell’inesistenza del contratto nasce nelle biblioteche, in Francia, grosso modo verso la fine del secolo XIX; ma piace subito ad avvocati e giudici, propagandosi anche in altri ordinamenti, perché può divenire il grimaldello per forzare i limiti posti all’esercizio di impugnative altrimenti precluse. E così, ad esempio, per chiedere l’annullamento di una deliberazione d’assemblea di società per azioni quando i termini sono scaduti. È per questo che la riforma societaria del 2003 ha posto notevoli paletti all’impugnativa (artt. 2377-2378 c.c., versione attualmente vigente). La responsabilità da contatto sociale si basa sul principio per cui l’art. 1218 c.c. si applica a qualsiasi obbligazione che esiga dall’obbligato prestazioni di contenuto specifico, che non sia mera manifestazione del neminem laedere, [continua ..]


NOTE