Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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La responsabilità nella composizione negoziata della crisi (di Giorgio Meo, Professore ordinario di Diritto commerciale nell'Università Luiss Guido Carli)


Il lavoro affronta gli strumenti di negoziazione della crisi recentemente introdotti nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza italiano. Vengono esaminate tutte le disposizioni rilevanti e vengono offerte proposte di soluzione alle principali questioni relative ai doveri e alle responsabilità dei diversi soggetti coinvolti nella negoziazione sotto la direzione dell’esperto designato dalla Commissione istituita presso la Camera di Commercio.

Responsibility in crisis negotiated solutions

The work goes through the recently introduced negotiating tools provided for in the italian Code of Crisis and Insolvency. All relevant rules are examined and proposal of solution of questions of main concern are offered with reference to the duties and responsibilities of all players involved in a negotiating process under the direction of the Officer appointed by the Chamber of Commerce.

SOMMARIO:

1. Doveri relativi all’apertura del procedimento e doveri di comportamento nel procedimento - 2. Crisi, insolvenza, “probabilità”: un dubbio - 3. Implicazioni sulla composizione negoziata - 4. La composizione negoziata come misura idonea e necessaria, dunque doverosa - 5. Conseguenti responsabilità per la mancata tempestiva apertura - 6. L’esperto e l’organo di controllo nella valutazione circa l’apertura della composizione - 7. La responsabilità dell’esperto nella prosecuzione del procedimento - 8. Partecipazione responsabile al procedimento delle parti non finanziarie - 9. Lo specifico ruolo dei creditori finanziari - 10. L’attivazione opportunamente precoce della composizione negoziata - 11. La responsabilità delle parti per aver coltivato senza ragione il procedimento - 12. Le parti nel procedimento: libertà di negoziazione - 13. Il dovere di lealtà e buona fede - 14. Una complicazione del quadro: diverse tipologie di composizione negoziata - 15. Diversa intensità dell’interesse dei creditori giuridicamente rilevante - 16. La sopravvenienza dell’insolvenza durante il tentativo negoziato - 17. Gli obblighi di segnalazione volti all’apertura del procedimento - 18. Doveri di segnalazione “attiva” a carico dell’organo di controllo - NOTE


1. Doveri relativi all’apertura del procedimento e doveri di comportamento nel procedimento

Il discorso sulla configurazione dei doveri, e quindi delle responsabilità, dei soggetti coinvolti nel procedimento di composizione negoziata richiede preliminarmente di determinare la corretta collocazione del procedimento nel quadro delle azioni richieste all’imprenditore quando insorge una situazione di criticità. La corretta comprensione dei doveri e delle responsabilità relative alla conduzione del procedimento (chiamiamoli quelli relativi al procedimento) postula infatti che sia stata risolta anche la questione del rapporto del procedimento con l’altro-da-sé, con ciò che è prima di esso (con ciò che è possibile e legittimo, con ciò che è doveroso, con ciò che è illegittimo se non si attua quanto sia doveroso attuare) e con ciò che potrebbe o dovrebbe essere dopo di esso o in alternativa ad esso. Rispetto a tutto ciò gli attori del procedimento hanno ulteriori e specifici doveri, diversi da quelli connessi con la conduzione dello stesso e relativi piuttosto al se il procedimento potesse o non aprirsi, al se lo stesso, per proseguire, postuli condizioni o presupposti da verificare costantemente, al se lo stesso debba chiudersi (chiameremo questi doveri, e relative responsabilità, come attinenti al se del procedimento). I doveri relativi al se del procedimento per così dire sono preordinati ai doveri da osservare nel procedimento, non solo nel senso che l’attivazione o la prosecuzione di questo potrebbero essere precluse dal corretto esercizio dei doveri del primo tipo, ma anche nel senso che il contenuto dei doveri relativi alla conduzione del procedimento ne è direttamente condizionato, come vedremo. Dai doveri che ho chiamato del se del procedimento deve quindi partirsi, se si aspira ad offrire una lettura coerente del sistema delle responsabilità nella composizione negoziata della crisi regolata dal Titolo II, Capo I del c.c.i.i.


2. Crisi, insolvenza, “probabilità”: un dubbio

Da questo punto di vista le difficoltà interpretative della disciplina testuale cominciano subito. Il dovere generale posto dal nuovo ordinamento della crisi d’impresa a carico dell’imprenditore (art. 3, c.c.i.i.) è quello di assumere senza indugio le iniziative necessarie a far fronte allo stato di crisi, stato che sia l’imprenditore individuale (1° comma) sia quello collettivo (2° comma) debbono tempestivamente rilevare attraverso l’assetto organizzativo loro specificamente imposto. In questo contesto, sia le misure richieste all’imprenditore individuale sia quegli assetti che ai sensi dell’art. 2086, c.c. devono essere approntati dall’imprenditore collettivo devono consentire (art. 3, 3° comma, c.c.i.i.) di: – rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, alla luce delle specificità dell’impresa; – verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità per i dodici mesi successivi; – rilevare i segnali di criticità fissati dal 4° comma dell’art. 3 c.c.i.i., vale a dire uno scaduto verso fornitori (di ammontare superiore al non scaduto) da almeno novanta giorni, un impagato di almeno la metà delle retribuzioni da almeno trenta giorni, un’esposizione verso il ceto finanziario e bancario scaduta da oltre sessanta giorni o superiore al totale accordato da almeno sessanta giorni e rappresentativa di almeno il 5% dell’esposizione totale, l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie verso i “creditori pubblici” (in sintesi, enti previdenziali e Fisco) che, ai sensi dell’art. 25-novies, c.c.i.i. fanno scattare a carico dell’ente creditore i doveri di segnalazione nei confronti degli organi societari. Il dovere generale dell’imprenditore, rilevata con gli strumenti sopra detti l’insorgenza di uno stato di crisi, è quello di adottare le iniziative “necessarie” (è l’aggettivo usato per l’imprenditore individuale) o “idonee” (così per l’imprenditore collettivo: non si capisce perché questa differenza) per fronteggiarlo. La soglia per la nascita del dovere è l’insorgenza di uno stato di crisi. Prima di allora, il radar dell’imprenditore deve continuamente girare per coglierne i segnali. E, nella coerente logica dei [continua ..]


3. Implicazioni sulla composizione negoziata

Le conseguenze di questo dilemma ricadono sull’intero impianto della responsabilità relativa alla composizione negoziata. Perché, se la composizione negoziata è un procedimento cui l’imprenditore può ricorrere non solo quando le misure organizzative opportunamente predisposte lascino intravedere la probabilità di una crisi ma anche quando ad esser probabile sia l’insolvenza, e dunque l’impresa sia già in crisi ai sensi dell’art. 2, 1° comma, c.c.i.i., ciò vuol dire che la composizione negoziata diviene procedimento alternativo agli strumenti di regolazione della crisi e, soprattutto, che anch’essa rientra tra le misure “necessarie” o “idonee” a far fronte alla crisi che l’imprenditore ha il dovere di adottare ai sensi dell’art. 3, c.c.i.i. Se la composizione negoziata diviene un procedimento alternativo a quelli di regolazione della crisi (se vogliamo mantenere una distinzione, “procedimento”, l’uno, “procedure” – in certa misura concorsuali – le altre [1]), diviene difficile immaginare una lettura della disciplina della responsabilità sostanzialmente diversa rispetto a quella propria delle procedure di crisi, con evidenti ricadute sui doveri dei diversi attori, su cui subito torneremo. Del resto, se la composizione è una delle misure adottabili per fronteggiare la crisi, e non solo la sua probabilità, la scelta dell’imprenditore di valersi di questa via piuttosto che di uno strumento di regolazione della crisi si muove in un’area di discrezionalità – ovviamente, sempre che la situazione dell’impresa giustifichi la scelta di questo, in quanto più idoneo di altro strumento – e non può essere ritenuta in sé censurabile per il solo fatto che la situazione di crisi da fronteggiare abbia già superato il livello di “probabilità” e forse anche la stessa soglia del carattere “incipiente”. Viceversa, se il dilemma va sciolto nel senso che la composizione negoziata è sempre e soltanto istituto appartenente a fasi critiche allo stadio iniziale, in cui la crisi sia meramente probabile (e a maggior ragione l’insolvenza, che potrebbe essere meramente possibile, ancora, anzi possibile neppure con certezza ma anche solo “probabilmente possibile”), la ricaduta [continua ..]


4. La composizione negoziata come misura idonea e necessaria, dunque doverosa

Il dilemma va sciolto, a mio avviso, nell’unico modo coerente con l’impo­stazione generale del c.c.i.i., vale a dire avendo riguardo all’idoneità del procedimento a superare i presupposti che ne hanno provocato l’innesco. Questo vale per qualunque procedura di regolazione della crisi proprio in forza del già richiamato art. 3, c.c.i.i. Pur nella non chiara distinzione tra misure “necessarie” e misure “idonee” (se sono idonee, sono anche necessarie; se ve ne sono più, tra le idonee, sarà necessaria quella più idonea delle altre), il criterio centrale è quello dell’idoneità a fronteggiare le peculiari specificità della situazione di crisi, e ciò vale senz’altro anche per la composizione negoziata. Ne deriva che, ai fini della doverosità del comportamento del debitore, nel bouquet delle misure astrattamente adottabili ai fini del rispetto del dovere generale ricade senz’altro anche la composizione negoziata, ogni volta che lo squilibrio registrato sia tale, per misura, origine e qualità, da poter essere superato attraverso il procedimento senza necessità di ricorrere a strumenti di regolazione e, per meglio dire, da poter essere così superato in modo più idoneo di quanto è ragionevole attendersi dall’apertura di una vera e propria procedura di regolazione [2]. La finalizzazione dello strumento consente allora di concretizzare la questione interpretativa superandola come nominalistica: se esiste uno squilibrio sanabile con una trattativa tra debitore e (almeno alcuni) creditori, eventualmente con l’inter­vento di parti che non sarebbero invece di norma coinvolte in altri strumenti (in primis, i soci [3]), allora la misura “idonea” o “necessaria” su cui sarà giudicato il comportamento responsabile dell’imprenditore è l’attivazione di un procedimento di composizione. Se, invece, la prospettiva di sanare lo squilibrio attraverso la mera composizione non è realistica (da valutare secondo un grado di probabilità, non di certezza, ovviamente), allora il ricorso alla composizione dovrebbe essere considerato come misura “non idonea”, della cui scelta, in caso di esito negativo del tentativo, l’impren­ditore risponderà al pari di ogni scelta gestionale improvvida o [continua ..]


5. Conseguenti responsabilità per la mancata tempestiva apertura

Individuato lo spazio entro cui il procedimento di composizione può – e anzi deve, nel senso detto – essere attivato, non dovrebbero esservi dubbi sulle ricadute in termini di responsabilità. Visto dall’angolo visuale dell’imprenditore debitore, il ricorso al procedimento rappresenta una scelta gestionale da valutare secondo i consueti canoni della responsabilità per la gestione dell’impresa, declinata secondo le tradizionali e note categorie a seconda che l’imprenditore sia individuale o collettivo e, in quest’ultimo caso, distribuita nella struttura organizzativa in funzione dei ruoli e dei gradi dei poteri rivestiti (amministratori – sindaci, delegati – non delegati, professionali – non professionali, e così via). La decisione di ricorrere alla composizione negoziata è, sicuramente, atto amministrativo. Tuttavia, alla responsabilità della scelta concorre, certamente, secondo il rispettivo ruolo, l’organo di controllo, che ha il dovere di verificare il corretto funzionamento dell’organizzazione a segnalare i gradi di criticità e di verificare se i segnali stessi, consistenti nello squilibrio patrimoniale, economico o finanziario, siano tali da rendere ragionevolmente attendibile il superamento di questo attraverso il negoziato con le modalità e secondo i termini degli artt. 12 ss., c.c.i.i. Alla scelta concorre indubbiamente la corretta rappresentazione e percezione dello squilibrio, non solo nel suo configurarsi oggettivo ma anche, dinamicamente, nel suo collocarsi in un processo di incubazione e sviluppo che consenta, con l’adozione di misure da negoziare, secondo ragionevolezza di prevedere il suo assorbimento. Ne consegue il coinvolgimento, in termini di doveri presupposti e quindi di responsabilità concorrenti, dei soggetti tenuti ad assicurare la correttezza della rilevazione contabile (dirigente preposto e revisore) [5]. Lo schema della responsabilità solidale per la decisione di ricorrere alla composizione negoziata è quello tradizionale valevole per ogni azione gestionale, dove campeggia il principio di diligenza e i principi che, secondo i ruoli, sono alla base dei comportamenti dei vari attori societari. Perno non è ovviamente che in concreto poi la composizione riesca o non riesca ma che essa possa ragionevolmente riuscire perché vi sono condizioni che giustificano [continua ..]


6. L’esperto e l’organo di controllo nella valutazione circa l’apertura della composizione

Lo stesso criterio finalistico – fondato sulla valutazione dell’idoneità dello strumento a superare lo squilibrio – è a fondamento della valutazione dei comportamenti di tutti i soggetti “attivati” dalla richiesta dell’imprenditore di nominare l’esperto e, una volta entrato in carica questo, “chiamati” dall’esperto al tavolo, ovviamente con declinazioni diverse per ciascuno di essi. Partendo dall’esperto, l’art. 17, 5° comma, c.c.i.i. ne fa il soggetto deputato ad assicurare a tutte le parti in gioco che siano sussistenti – e anche persistenti, durante il procedimento – i presupposti giustificativi del ricorso alla misura della composizione da parte dell’imprenditore [6]. L’esperto deve valutare senza indugio l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento (cioè di superamento dello squilibrio mediante il ricorso alla composizione, in coerenza con il piano di risanamento che l’imprenditore ha l’onere di depositare ex art. 17, 3° comma, c.c.i.i.) [7]. Questa fase di valutazione estende il raggio di azione della responsabilità agli organi di controllo, i quali sono tenuti ad offrire all’esperto le informazioni richieste e anche quelle non richieste che siano comunque necessarie o utili all’esperto per formarsi il giudizio sulla sanabilità del processo critico [8]. Su questo profilo, vale forse la pena di segnalare che la legge non procedimentalizza questa fase rapidissima che l’esperto è tenuto ad attivare senza indugio. Per valutare rapidamente se vi siano o non le prospettive di risanamento dichiarate dal debitore nel piano allegato all’istanza [9], con ancora minor indugio l’esperto deve incontrare o ricevere informazioni per iscritto dai componenti dell’organo di controllo e dal revisore, pena l’im­possibilità di formarsi un convincimento [10]. Organo di controllo e revisore hanno dunque doveri e responsabilità aggiuntivi rispetto a quelli da esercitare nel processo determinativo della presentazione dell’istanza (dove devono controllare la ragionevole superabilità dello squilibrio), consistenti in doveri di trasparenza e vero e proprio ausilio dell’esperto nella corretta formazione del suo convincimento [11]. L’esperto riceve i dati, non può esaminarli [continua ..]


7. La responsabilità dell’esperto nella prosecuzione del procedimento

Diverso discorso è da fare in sede di prosecuzione del procedimento, una volta apertosi, quando in ipotesi possano venir meno le aspettative di risanamento dello squilibrio che avevano correttamente giustificato il ricorso al procedimento. Qui il ruolo dell’esperto diviene centrale. Man mano che si addentra nel procedimento, per così dire la sua consapevolezza (e la sua capacità di formarsi in autonomia il convincimento) circa la situazione dell’impresa cresce progressivamente, fin ad esser lui stesso più idoneo a comprendere lo stato attuale – alla luce oltre tutto del corso delle trattative – che non gli organi sociali (quanto meno quelli di controllo e di revisione). In questo senso, l’esperto svolge un ruolo di coordinamento ma anche per così dire di “supervisione” delle trattative [13]. Gli compete non soltanto il potere di impulso e di gestione del raccordo tra le parti ma anche, a cadenze specifiche o in occasione di certi eventi, un obbligo attivo di dire la propria, di rappresentare lo stato della composizione al fine dell’adozione di provvedimenti volti a difenderne il corretto svolgimento e gli auspicati esiti. Con particolare riguardo a questi interventi, l’esperto si relaziona in via esclusiva e riservata con il tribunale, e neppure i creditori e le altre parti ne vengono a sapere il contenuto (pur avendo l’informativa ad oggetto anche i loro comportamenti [14]). Quanto sopra induce a ritenere che l’obbligo dell’esperto di verificare l’atti­tudine della composizione a sanare lo squilibrio si estende dal momento della sussistenza iniziale a quello della persistenza in corso di procedimento. Vi sono almeno due tracce normative che giustificano questa conclusione. La prima è nell’art. 17, 5° comma, c.c.i.i. ove si dice che se l’esperto non ravvisa concrete prospettive di risanamento non solo all’esito della convocazione degli organi societari iniziale ma anche “in un momento successivo”, egli debba richiedere l’archi­viazione (è da intendere immediata) senza ulteriormente protrarre il tentativo [15]. La seconda è nell’art. 19, 6° comma, c.c.i.i. ove si prevede un potere di segnalazione dell’esperto in relazione alla revoca delle misure protettive e cautelari [16], segnalazione che postula necessariamente la verifica, da parte [continua ..]


8. Partecipazione responsabile al procedimento delle parti non finanziarie

Un ruolo particolare, e quindi di potenziale responsabilità per la coltivazione del tentativo di composizione a dispetto dell’insussistenza (o della non persistenza) delle prospettive di risanamento, è da riconoscere anche in capo alle parti chiamate alle trattative, con le seguenti dovute precisazioni. I creditori non finanziari e le altre parti non finanziarie, come i fornitori strategici, i soci, i sindacati, sono da riguardare nella prospettiva visuale del dovere di buona fede. Se e quando convocati al tavolo dall’esperto, compete anche ad essi il dovere (espressione del dovere di lealtà) di offrire all’esperto ogni elemento a disposizione e non contribuire ad alimentare le trattative in caso di consapevolezza che non verrà rimosso uno o più dei presupposti dello squilibrio che, in concreto, possano dipendere dalla sua diretta volontà. Si pensi all’impresa in posizione preminente nella catena delle forniture o al cliente primario o, a seconda dei casi dal lato attivo o passivo, alla controparte contrattuale monopolista. Ma si pensi anche alla controparte che, per ragioni da valutare in concreto caso per caso, detenga un “potere di accesso” al beneficio indispensabile per riequilibrare la situazione critica (l’utilizzo di un procedimento o di un elemento di proprietà industriale a condizioni mitigate o non vessatorie; l’accom­pagnamento in una politica di diffusione del prodotto sui mercati; l’approvvi­gionamento di una materia prima essenziale, e così via). Il retropensiero di esercitare una posizione condizionante per il tentativo di riequilibrio, per modo che questo sia reso possibile solo accettando le condizioni del soggetto in posizione di forza, è elemento di responsabilità diretta in caso di insuccesso delle trattative e di apertura della fase di crisi o di insolvenza [17]. Ciò non vuol dire accreditare genericamente un dovere della parte forte di accedere a condizioni più miti in favore dell’imprenditore in difficoltà. Vuol dire però obbligare la parte a dirlo, e a dirlo subito, onde non alimentare un tentativo destinato a un esito infausto per propria stessa consapevole scelta [18]. Non si tratta, in altri termini, di responsabilità per mancata rinegoziazione ma di responsabilità discendente da comportamento sleale verso le trattative e tale [continua ..]


9. Lo specifico ruolo dei creditori finanziari

Per i creditori finanziari il discorso può in parte riprendersi, in parte deve ampliarsi [20]. Anche costoro devono rivelare qualunque ragione di indisponibilità ad accedere a condizioni contrattuali in sé tali da risolvere lo squilibrio del debitore. Non sono obbligati ad accedervi ma a dire subito se non intendono farlo. Una traccia in tal senso si ricava dallo stesso art. 16, 5° comma, c.c.i.i. nella parte in cui esclude quale effetto automatico dell’apertura della composizione negoziata la sospensione e la revoca degli affidamenti [21] e però lascia salva la possibilità che ciò scaturisca dall’obbligo dell’intermediario finanziario discendente dalle disposizioni di vigilanza prudenziale [22] (questo è uno dei grandi nodi dell’istituto, va da sé). Ove ricorra tale ipotesi, l’intermediario, costretto a non accettare trattativa sul punto (non è detto non possa accettare nondimeno di sostituire le linee sterilizzate con nuova finanza autorizzata e quindi prededucibile: ma non può essere semplicisticamente la “salita di grado” la motivazione della sequenza uscita-rientro), ha l’obbligo di darne comunicazione. Da ciò è giustificato trarre conferma del principio che il creditore che sappia già (per volontà propria o coattiva che sia) di non volere o potere accompagnare il tentativo di negoziato è obbligato a dirlo subito, pena la responsabilità da ritardo (ed eventuale aggravio) in caso di futura insolvenza o più in generale di acuirsi dello stato di crisi [23]. A questa particolare categoria di creditori istituzionali, però, compete un più ampio spettro di doveri e di connesse responsabilità in relazione alla “fattibilità” del tentativo. Chiariamo in che senso. Non compete loro, ovviamente, né la responsabilità dei dati offerti dall’impren­ditore né della loro attendibilità e neppure il giudizio gestionale sulla ragionevolezza delle azioni prospettate con l’istanza. Non compete loro neppure un diretto coinvolgimento nella valutazione delle prospettive di risanamento che alla luce di quei dati, di quelli di contesto disponibili e di quanto emerge dallo sviluppo delle trattative, possano risultare pregiudicate in corso di procedimento, In questo senso gli intermediari restano [continua ..]


10. L’attivazione opportunamente precoce della composizione negoziata

Sotto questo profilo, un ruolo decisivo gioca la tempestività dell’iniziativa del debitore, che riverbera i suoi effetti anche sulla linea di azione del ceto finanziario, in primo luogo a causa dei vincoli rivenienti dalle regole di vigilanza prudenziale. L’avvio realmente precoce del procedimento, in un momento cioè in cui il debitore non è incorso in insoluti di oltre novanta giorni (circostanza, quella dell’in­soluto, che costringe il creditore finanziario a qualificarlo come debitore “unlikely-to-pay”, “UTP”, e correlativamente a bloccare le linee e a non rifinanziarlo, se non nel contesto autorizzato dal tribunale [29]), responsabilizza banche e intermediari finanziari nella condivisione del percorso negoziato e nella risposta che essi debbono all’esperto, anche in termini di conferma che le prospettive di risanamento non sono pregiudicate, e colloca i creditori finanziari in un contesto dialogico con l’esperto che rafforza per loro un quadro di maggiore certezza a filtro grazie all’intervento esterno del professionista e al suo obbligo di attestare nei fatti che la prospettiva di risanamento sia e resti attuale. In contropartita, quanto più tempestivo è l’intervento tanto maggiore è per loro il vincolo a non poter utilizzare l’apertura della composizione quale motivo per sospendere o revocare gli affidamenti, rendendo loro impossibile surrettiziamente “scambiare” la finanza pregressa con finanza nuova e fresca autorizzata, dunque in prededuzione, cui i creditori possano dirsi disponibili dopo aver interrotto l’afflusso di finanza sulla base dei contratti pregressi. Quando, invece, il debitore tardasse ad attivare l’istituto, oltre all’intrinseco aggravamento che può derivarne in termini di attitudine della composizione a riequilibrare la situazione patrimoniale, economica e finanziaria pregiudicata, maggiore è la possibilità di incorrere in insoluti che aggraverebbero il degrado dei rapporti finanziari in corso aprendo così la strada, se ancora dovesse restare praticabile la composizione, a soluzioni postulanti l’intervento giudiziario di autorizzazione della nuova finanza. Si ha in ciò un’ulteriore conferma che la composizione negoziata rappresenta un istituto teoricamente idoneo a fronteggiare, oltre che situazioni di probabilità mera della [continua ..]


11. La responsabilità delle parti per aver coltivato senza ragione il procedimento

Le riflessioni fin qui condotte, quale derivata dello scioglimento del dilemma iniziale, sui doveri e le responsabilità degli attori della composizione in ordine al se della stessa sua apertura, giustificano la conclusione che ciascuno di essi, corrispondentemente al dovere di contribuire alla verifica della sussistenza dei presupposti, risponda delle conseguenze dell’aver avviato e coltivato il procedimento nonostante il difetto di ragionevoli prospettive di risanamento. Il che dovrebbe anche mettere in guardia i debitori verso un utilizzo spregiudicato dello strumento, quando labili sono le chances che esso possa sortire effetti di riequilibrio, manifestandosi nella inutile coltivazione di trattative velleitarie un’azione censurabile di rinvio delle misure più idonee e, nei casi propri, un’omissione delle azioni di rigore dovute. Per altro verso, quanto fin qui detto conferma che l’istituto non è stato pensato dal legislatore per fronteggiare situazioni di già insorta insolvenza e che, ove tale consti essere lo stato dello squilibrio registrato dall’imprenditore, non possa essere consentito coltivare la composizione, pena le consuete sanzioni connesse con l’ille­gittimo protrarsi delle misure di rigore, e ne debba intervenire l’archiviazione su immediata istanza dell’esperto, se questi non vuol essere trascinato quale concorrente nei pregiudizi e negli illeciti propri dell’aggravamento dello stato di crisi. Ruolo determinante, anche in ciò, è da ascrivere ai creditori finanziari, i quali non possono certamente essere imputabili di aver concorso allo stato di squilibrio, sì invece di non aver “stoppato” tentativi infruttuosi o peggio velleitari, magari sperando di convertire in corso di procedimento la vecchia finanza in posizioni protette e di rango maggiore per la temuta ipotesi che tutto vada poi a rotoli.


12. Le parti nel procedimento: libertà di negoziazione

La corretta impostazione dell’assetto dei doveri e delle relative responsabilità nell’accesso alla procedura offre il fondamento anche per la ricostruzione del compendio dei doveri e delle responsabilità delle parti in corso di procedimento. Non ci si riferisce, evidentemente, ai doveri connessi con la persistenza delle condizioni del tentativo. Quanto detto circa il fatto che il procedimento deve arrestarsi, per iniziativa dell’esperto, non appena consti che sono venute meno le condizioni per lasciar presagire l’idoneità della composizione a superare lo squilibrio iniziale, giustifica l’implicazione che gli stessi doveri gravanti, per quanto di rispettiva ragione, sui diversi attori in fase iniziale continuino a vincolarli durante tutto il corso del procedimento, pena la responsabilità di averne reso possibile la prosecuzione nella consapevolezza della sua inutilità. Ci si riferisce, invece, ai doveri che le parti del procedimento hanno l’una nei confronti dell’altra e verso i terzi e ai presupposti perché possa configurarsi, e in che termini, responsabilità a loro carico [30]. Su questo punto, va detto subito, la disciplina definitiva dell’istituto desta qualche perplessità, frutto probabilmente di un inevitabile compromesso tra le “filosofie” espresse dalle diverse componenti della Commissione redattrice [31]. Il problema sarebbe alquanto semplice se la composizione negoziata fosse autenticamente quel che la definizione legislativa suppone e che invece la prassi applicativa ha in massima parte disatteso: se, cioè, si trattasse di un procedimento destinato a innescarsi in casi effettivamente precoci, di crisi neppure incipiente e soltanto temuta, o comunque in casi (nel senso detto sopra) in cui la probabilità del risanamento attraverso la composizione è così alta da lasciar presagire che crisi e insolvenza temute possano in tal modo integralmente regredire. Se questo fosse effettivamente il caso, infatti, pochi dubbi sarebbe legittimo nutrire circa il fatto che l’area delle responsabilità connesse al tentativo di composizione, salvo casi macroscopici di dolo (cui dovrebbero partecipare probabilmente più d’uno degli attori in gioco), sarebbe limitatissima. Il sistema ha già i suoi ammortizzatori, come detto. Se il presupposto non c’è, il procedimento [continua ..]


13. Il dovere di lealtà e buona fede

L’unico vincolo generale che sembra ascrivibile ai creditori, da questo punto di vista, è quello di lealtà e buona fede, il quale però ha fondamentalmente un contenuto di tipo negativo, se si accetta che esso non possa spingersi fino a obbligarli a sottomettersi alla volontà del debitore più o meno supportata dall’azione di persuasione dell’esperto [32]. Tale contenuto consiste nel dovere di non agire con riserva mentale, di non tacere gli elementi motivazionali concernenti la propria posizione e nel non perseguire surrettiziamente obiettivi di favore approfittando dello stato in cui versa la controparte [33]. Fondamentale, a questo fine, diviene dunque la verbalizzazione delle riunioni di trattativa, strumento di registrazione e di controllo di tutto ciò in caso di futura controversia. Questo dovere, si osserva, vale per tutte le parti chiamate al tavolo dall’esperto, non solo per i creditori [34]. Il fine ultimo del dovere di buona fede è, in definitiva, che le trattative non siano inquinate e possano svolgersi nel genuino tentativo di comporre i diversi interessi in modo tale da assicurare la continuità dell’impresa e il suo risanamento. È corretto desumerne, pertanto, che vi sia una sola reale area di controllo del corretto uso della buona fede nelle trattative, vale a dire la verifica che la posizione assunta da una parte non sia razionale rispetto alle motivazioni addotte per assumerla né alla relazione costi-benefici che la parte ragionevolmente trarrebbe dalla non attuazione piuttosto che dall’attuazione dell’azione propostale in sede di trattative. Al di fuori di questo vincolo – che potremmo sintetizzare con la proposizione “non impedire quel che non ti costa niente o addirittura potrebbe esporti a conseguenze ancor peggiori” – le parti devono rimanere integralmente libere [35]. Circoscritto dalla legge il tempo in cui il tentativo può svolgersi e costruita l’impalcatura delle salvaguardie sopra descritta, in principio nessuno dovrebbe rispondere per aver partecipato alla composizione senza conseguire il risultato del risanamento. Tenderei pertanto a ricondurre la partecipazione alle trattative all’area libera delle decisioni gestionali, per definizione insindacabile, anche in caso di insuccesso. Insuccesso che non dovrebbe allora valere, come troppo spesso ancora [continua ..]


14. Una complicazione del quadro: diverse tipologie di composizione negoziata

Questo, si diceva, sarebbe il quadro se la composizione negoziata fosse effettivamente quel che parrebbe voler essere, un procedimento volto a fronteggiare (nel senso detto) situazioni di mera “probabilità” e non di crisi in atto (o peggio di vera e propria insolvenza) non reversibili rispetto alle quali le chances di risanamento affidate alla trattativa siano estremamente labili e aleatorie [36]. Senonché è proprio su questo punto, come si diceva, che il Codice della Crisi presenta qualche profilo di incertezza, che potrebbe dare la stura all’allargamento progressivo di brecce nel perimetro che si auspicherebbe “protetto” da responsabilità onde consentire il libero dispiegamento del negoziato. E che, per questo, potrebbe alla lunga minare l’affectio a questo istituto, invece ampiamente meritevole e che vale la pena di difendere in questa fase di avvio della nuova disciplina [37]. La lettura combinata di diverse norme del Codice giustifica il convincimento che in esso, a dispetto dell’apparente unitarietà della figura, vi siano almeno tre tipi di composizione negoziata: 1) il primo, quello detto, volto a trattare precocemente situazioni di crisi e insolvenza solo probabili; 2) il secondo, inteso a fronteggiare situazioni più gravi ma che, al momento dell’apertura, non sono ancora qualificabili come di insolvenza; 3) il terzo, destinato a situazioni ancor più gravi, addirittura di insolvenza concomitante (se abbiamo letto bene i presupposti per l’apertura della procedura, manifestatasi o insorta successivamente all’avvio della composizione e in pendenza di essa, non potendo essa invece aprirsi se l’insolvenza già sussistesse [38]). Il convincimento viene dal fatto che la composizione negoziata non postula anche il rilascio di misure protettive o cautelari, che può ma non deve necessariamente essere richiesto dal debitore. Ciò conferma che la situazione può essere effettivamente precoce e che l’attuazione della composizione, in questi casi, non denoti situazioni attuali di criticità finanziaria ma il loro semplice pericolo, magari evidenziato da squilibri economici o patrimoniali già registrati o temuti con elevato grado di probabilità. Conferma però anche che la situazione critica può essere più pesante sul piano finanziario, tanto da doversi [continua ..]


15. Diversa intensità dell’interesse dei creditori giuridicamente rilevante

Una traccia normativa delle diverse strutture del vincolo giuridico che impronta i due procedimenti nei casi dati sembra desumibile dalla lettura combinata dell’art. 16, 4° comma, e dell’art. 21, 1° comma, c.c.i.i. La prima disposizione pone all’imprenditore che abbia fatto richiesta di composizione il dovere di gestire l’impresa “senza pregiudicare ingiustamente” gli interessi dei creditori (potendoli quindi pregiudicare “non ingiustamente”: locuzione che darà adito ad accesi dibattiti, è lecito prevedere). La disposizione è qualificata come eccezione alla regola generale valevole a carico del debitore in caso di ricorso ai procedimenti disciplinati dal Codice dall’art. 4, che per quelli diversi dalla composizione pone il più severo criterio deontologico di gestione del patrimonio e dell’impresa “nell’interesse prioritario dei creditori”. La seconda disposizione è formulata in termini radicalmente diversi e non direttamente assimilabili a quelli utilizzati dall’art. 16, 4° comma, c.c.i.i. In pendenza di trattative – recita il successivo art. 21, 1° comma – l’imprenditore ha la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa ed è però astretto al vincolo di “evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria” della stessa. In quest’ultima nozione non trova diretta emersione l’interesse dei creditori, che potrebbe anzi essere postergato alla difesa della sostenibilità economico-finanziaria. Questa riguarda infatti l’attitudine al mantenimento o al ripristino di un equilibrio nel quale l’interesse di un creditore o di una categoria di creditori potrebbe essere sacrificato a quello di altri, come sempre avviene in fasi di tensione finanziaria, quando i creditori strategici o più significativi a difesa della continuità vengono preferiti a quelli magari pur privilegiati e tuttavia di minore interesse da questo punto di vista (fornitori cessati, professionisti, in passato Fisco ed enti previdenziali, ecc.) [40]. La dicotomia – che sarebbe irrazionale se entrambe le disposizioni dovessero congiuntamente applicarsi a ogni forma di composizione negoziata – testimonia che la concezione dell’istituto è quanto meno duplice, da parte del legislatore [41]. La prima disposizione sembra [continua ..]


16. La sopravvenienza dell’insolvenza durante il tentativo negoziato

Accanto alle prime due composizioni, però, l’art. 21, 2° comma, c.c.i.i. lascia trasparire la configurabilità di una composizione che (non ab origine ma in corso d’opera) si trovi a fronteggiare vere e proprie situazioni di insolvenza del debitore. In questi casi, l’imprenditore non perderebbe il potere di gestire l’impresa in via ordinaria e straordinaria ma si vedrebbe ricondotto all’alea propria dei vincoli gravanti sul soggetto che ricorre agli strumenti di regolazione ai sensi dell’art. 4 del Codice, vale a dire al dovere di gestire “nel prevalente [l’art. 4 parla di “prioritario”] interesse dei creditori”. Quest’ultima disposizione è eversiva nella disciplina dell’istituto. Pensato, nei suoi presupposti, per l’insolvenza solo probabile (nel senso che, con la trattativa, probabile sia evitarla) diventa grazie a questa disposizione utilizzabile anche in caso di (almeno sopravvenuta) insolvenza. Uno solo sembra il modo di rendere compatibile con il sistema questa disposizione, vale a dire di considerare ancora praticabile la composizione in quei casi (probabilmente rari) in cui l’insolvenza abbia radici così circoscritte da poter essere ancora utilmente estirpate dalla ricomposizione degli assetti contrattuali all’esito delle trattative di diritto privato. Quanto alto sia il rischio per gli attori della composizione in questi casi, però, ognuno vede. Almeno fino a quando non venga introdotta una disposizione – coerente a quella appena richiamata – che esonera i soggetti che partecipano alla trattativa quando l’impresa, benché insolvente, possa ancora recuperare l’equilibrio, nonché quelli, tra loro, che dovessero supportare la continuità dei processi, in primis i fornitori strategici e il ceto finanziario, partecipare alla composizione o intervenire a sostegno del processo produttivo può rivelarsi fonte di gravi responsabilità nel caso di naufragio del tentativo negoziato. Lo stesso esperto, in casi del genere, si trova di fronte al dilemma se coltivare il tentativo, con la conseguenza che il debitore continuerà a gestire e a compiere perfino le operazioni straordinarie, con l’unico fragile velo del suo potere di annotare il dissenso [45]. Troppo poco, di fronte all’onda di responsabilità che, con ogni ragionevolezza, [continua ..]


17. Gli obblighi di segnalazione volti all’apertura del procedimento

Una parola finale occorre spendere sugli obblighi di segnalazione per l’antici­pata emersione della crisi disciplinati dal Capo III del Titolo II del Codice. Non sono, propriamente, doveri concernenti la fase di composizione ma preventivi ad essa e funzionali a stimolarne l’eventuale apertura, facendo perno non solo sull’imprenditore ma anche sull’organo di controllo. In questo senso, la violazione degli obblighi di segnalazione può teoricamente concorrere a configurare responsabilità a carico dei soggetti tenutivi ma rimasti inerti. Ciò vale indubbiamente per le banche e gli intermediari finanziari ex art. 106, TUB, che l’art. 25-decies, c.c.i.i. obbliga a dare notizia anche agli organi di controllo societari delle “variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti” comunicate al cliente. L’obbligo non si rapporta necessariamente a fasi di crisi. È pensato piuttosto come un flusso informativo generale, relativo anche alle variazioni delle condizioni contrattuali in corso di rapporto. Come tale, esso è funzionale all’esercizio del generale controllo sullo stato di salute finanziaria dell’impresa che compete, oltre che all’imprenditore, al suo organo di controllo e a cui dev’essere improntata l’or­ga­nizzazione costruita ex art. 2086, c.c. dall’imprenditore societario. La comunicazione delle variazioni di scadenze o la revoca dei fidi, quali atti direttamente incidenti sulle prospettive finanziarie dell’impresa, è atto che, se omesso, può effettivamente ritardare l’attivazione dell’organo di controllo ed esporre l’inter­mediario a responsabilità, se si dimostra che una comunicazione tempestiva avrebbe accelerato il processo di risposta alla crisi e prevenuto un possibile suo aggravio. Ovviamente la dimostrazione di una responsabilità in tal senso presuppone che l’organo di controllo non fosse nondimeno a conoscenza della variazione o della revoca perché, se così fosse, la finalità dell’obbligo dell’inter­mediario sarebbe stata ugualmente raggiunta. L’intermediario non risponde perché l’organo di controllo non si è attivato ma solo se non lo fa a causa della mancata comunicazione. Discorso analogo può svolgersi anche in relazione all’altra serie di obblighi di segnalazione aventi [continua ..]


18. Doveri di segnalazione “attiva” a carico dell’organo di controllo

Ad altra famiglia di strumenti – potremmo chiamarli, per distinguerli da quelli meramente informativi sopra detti, strumenti di segnalazione “attiva” – corrispondono invece i doveri di segnalazione che l’art. 25-octies, c.c.i.i. impone all’organo di controllo quando risulti la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di composizione negoziata ai sensi dell’art. 17, c.c.i.i. Questa disposizione pone una vera e propria regola di vigilanza a carico del­l’organo di controllo e, corrispondentemente, il comma 2 dello stesso articolo trae coerenti conseguenze in termini di responsabilità quando l’organo di controllo abbia puntualmente ottemperato. La segnalazione dell’organo di controllo è volta a stimolare l’organo amministrativo ad attivarsi tempestivamente. Benché in apparenza riferita alla segnalazione dei presupposti per la composizione negoziata, la regola concernente il dovere di segnalazione entra a far parte del tessuto generale dei doveri di raccordo tra organo di controllo e organo amministrativo e si applica a qualunque situazione di crisi [46]: l’organo di controllo deve segnalare i presupposti di cui all’art. 17, c.c.i.i. se vi sono le condizioni per una soluzione delle criticità mediante la composizione negoziata; altrimenti deve comunque segnalare, oggi come ieri, che si sono verificati i presupposti per ricorrere a un diverso strumento di regolazione della crisi, pena la responsabilità da omissione. La segnalazione, si diceva, è strumento di vigilanza attiva, non un mero obbligo procedimentale. L’organo di controllo segnala in quanto vigila e – prosegue coerentemente la disposizione – è tenuto a vigilare sul comportamento conseguente dell’organo amministrativo, il quale ha l’obbligo di informativa entro il termine (non inferiore a trenta giorni) assegnatogli dall’organo di controllo, e successivamente nell’intera fase di composizione e in pendenza delle trattative, durante la quale – precisa la norma – non vengono meno i doveri generali di cui al­l’art. 2403, c.c. Coerentemente alla natura di strumento di vigilanza attiva, la segnalazione non deresponsabilizza dunque l’organo di controllo, se non è seguita da una corretta azione di vigilanza, come chiarisce senza possibilità di equivoco l’art. [continua ..]


NOTE