Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Doveri e responsabilità degli amministratori durante le procedure di ristrutturazione (di Armando Santoni, Ricercatore in Diritto commerciale nell'Università degli Studi di Firenze)


Il lavoro analizza la nuova disciplina concernente i poteri degli amministratori durante le nuove procedure di regolazione della crisi, con specifico riferimento al concordato preventivo, e il regime delle corrispondenti responsabilità nei confronti dei vari soggetti legittimati. Alcune riflessioni conclusive sono dedicate ai possibili spazi di intervento per un’ulteriore armonizzazione della disciplina sui doveri degli amministratori in una prospettiva europea.

Directors' duties and liabilities in preventive restructuring frameworks

The essay focuses on the directors’ duties in preventive restructuring frameworks under the new Italian insolvency law and on the corresponding liabilities towards the company’s various stakeholders. The Author also suggests there is room for further harmonization on a European level, having regard to the content of the duties of directors of companies on the edge of insolvency and to the moment relevant for a hypothetical shift of such duties to the benefit of corporate creditors.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. La funzione amministrativa durante le procedure di ristrutturazione - 3. Poteri e discrezionalità gestoria degli amministratori - 4. La posizione dei creditori sociali - 5. La posizione della società e dei soci - 6. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Introduzione

L’analisi dei doveri e delle responsabilità degli amministratori durante le procedure di ristrutturazione impone la previa indicazione delle procedure di diritto italiano alle quali corrispondono i «quadri di ristrutturazione» di derivazione europea, vista la tecnica di armonizzazione minima adottata nella Direttiva (UE) 2019/1023 [1]. Que­st’ultima, allo scopo di fornire una disciplina generale, idonea ad adattarsi ai diversi sistemi concorsuali degli Stati membri, definisce una procedura concorsuale archetipica, caratterizzata da un ambito di applicazione onnicomprensivo [2]. Il nuovo art. 4, 1° comma, lett. m-bis), c.c.i.i., come risultante dal D.Lgs. n. 83 del 17 giugno 2022, riprendendo in parte la definizione fornita a livello europeo, introduce una nozione generale di strumenti di regolazione della crisi e dell’insol­venza, che include le «misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio, o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi». Nonostante la sua collocazione nella disciplina del concordato preventivo (capo III del Titolo IV), la nuova sezione VI-bis (art. 120-bis ss. c.c.i.i.) è dedicata, in generale, agli «strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società», colmando una grave lacuna della legge fallimentare che, come noto, trascurava il fenomeno dell’impresa societaria a vantaggio di una ormai anacronistica valorizzazione dell’impresa individuale [3]. Partendo dalla definizione suesposta, in linea di principio la disciplina in discorso risulterebbe applicabile a tutte le procedure che possono essere precedute dalla composizione negoziata della crisi, dunque non solo agli accordi di ristrutturazione dei debiti, ai piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione, al concordato preventivo, e alla liquidazione giudiziale, ma anche alla convenzione di moratoria o ad altro accordo di natura stragiudiziale. Tuttavia, in alcuni casi vi è un’incompatibilità ontologica tra la menzionata disciplina societaria della crisi e lo specifico strumento adottato, come è a dirsi nel caso del piano attestato di [continua ..]


2. La funzione amministrativa durante le procedure di ristrutturazione

Una volta individuato il contesto di riferimento, occorre ulteriormente domandarsi se nell’attuazione delle procedure di soluzione della crisi si assista ad un mutamento della funzione amministrativa, concetto che allude allo svolgimento di un’attività nell’interesse altrui, e che pertanto prelude all’interrogativo attinente alla prevalenza degli interessi da perseguire nella circostanza in rilievo, tale da orientare i doveri degli amministratori in un senso piuttosto che in un altro [7]. Infatti, secondo una diffusa prospettiva, l’emersione di una situazione di crisi determinerebbe il passaggio della proprietà in senso “economico” dai soci ai creditori [8], e la corrispondente ricostruzione del concetto di interesse sociale in senso funzionale alla soddisfazione delle pretese dei secondi, in luogo dell’interesse lucrativo dei soci [9]. Trattasi di un interrogativo particolarmente delicato, specialmente nell’ordina­mento italiano, vista l’ampiezza dei poteri attribuiti agli amministratori dagli artt. 120-bis ss. c.c.i.i. nella scelta, nella predisposizione e nell’attuazione degli strumenti finalizzati al superamento della crisi e, soprattutto, considerato il presupposto oggettivo per l’apertura delle relative procedure, dato dalla mera «probabilità di insolvenza», che, in quanto tale, può implicare la persistenza di un residuo valore economico in capo ai soci [10]. Significativamente, la stessa Direttiva (UE) 2019/1023, nel disciplinare i quadri di ristrutturazione preventiva, connotati appunto dal presupposto oggettivo della «probabilità di insolvenza», non fissa in modo categorico un ordine di priorità assiologica degli interessi da tutelare [11]. Il Considerando 71 afferma anzi espressamente che «la presente direttiva non intende stabilire alcuna gerarchia tra le varie parti i cui interessi devono essere tenuti in debita considerazione», lasciando tuttavia impregiudicata la facoltà per gli Stati membri di definire tale gerarchia e le norme nazionali «relative ai processi decisionali all’interno di una società». Al riguardo, da una serie di indizi normativi sembra lecito dedurre che il legislatore italiano si sia avvalso di una simile facoltà, attribuendo, nella fase di attuazione dello strumento di regolazione della crisi prescelto, [continua ..]


3. Poteri e discrezionalità gestoria degli amministratori

Come noto, il nuovo art. 120-bis, 1° comma, c.c.i.i., disciplina la competenza organica relativa all’avvio della procedura e alla determinazione del contenuto della proposta e delle condizioni del piano, prescrivendo che la relativa assunzione spetti inderogabilmente agli amministratori, con decisione risultante da verbale redatto da un notaio. Ciò rappresenta un’importante novità rispetto alla disciplina previgente, dove tale competenza residuale degli amministratori era comunque derogabile in via statutaria (art. 265, 2° comma, lett. b), c.c.i.i; art. 152, 2° comma, lett. b), L. Fall.). Tuttavia, l’esercizio di tale potere costituisce ancora oggetto dell’obbligo di attivarsi senza indugio nella scelta dello strumento più idoneo ai fini del superamento della crisi, e attiene dunque ad una fase precedente a quella propriamente esecutiva, che qui interessa. A tale riguardo, la disposizione di cui all’art. 120-bis, 2° comma, c.c.i.i stabilisce che il piano può modificare la struttura organizzativa e finanziaria della società, prevedendo «qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni». Tale norma va a sua volta letta in connessione con il successivo art. 120-quinquies, c.c.i.i., rubricato «Esecuzione», il quale, per evitare condotte ostruzionistiche dei soci (v. sempre art. 12 Direttiva), esclude la necessità di una loro delibera in merito all’attuazione del piano omologato, che sarà di per sé efficace con l’adozione del provvedimento di omologazione. Ne consegue, che nella fase esecutiva, la discrezionalità gestoria degli amministratori è circoscritta dal compimento degli atti previsti nel piano di ristrutturazione. Si tratterà, pertanto, di una discrezionalità assai limitata, visto il contenuto necessariamente analitico del piano medesimo, sicché, in un eventuale giudizio di responsabilità promosso dai creditori, non varrà la regola della tendenziale insindacabilità delle scelte gestorie (business judgment rule), potendo il giudice verificare la compatibilità delle attività poste in essere [continua ..]


4. La posizione dei creditori sociali

Durante la fase di attuazione del piano di concordato, intercorrente tra il deposito della domanda e l’omologazione del concordato, i creditori sono i principali stakeholders. Pertanto, non sembrano esservi dubbi in ordine alla legittimazione dei medesimi a proporre o proseguire l’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c., la quale espone gli amministratori al risarcimento dei danni cagionati all’integrità del patrimonio sociale, qualora quest’ultimo risulti insufficiente alla soddisfazione dei loro crediti. In passato, si era dubitato della persistente legittimazione dei creditori sociali ad agire contro gli amministratori nella fase di esecuzione del concordato, sulla base di una pluralità di argomentazioni, tra le quali merita particolare menzione quella che ricavava tale conclusione dall’estensione dell’effetto esdebitatorio, caratteristico del concordato preventivo, anche agli amministratori della società debitrice, e ciò non tanto sulla base di un’indebita equiparazione soggettiva degli uni all’altra, quanto in virtù della inesigibilità del debito originario, sostituito dal debito concordatario e adempiuto in esecuzione del piano [20]. Il legislatore è tuttavia intervenuto sul punto stabilendo, all’art. 115, 3° comma, c.c.i.i., che anche nella fase di esecuzione del concordato permane la legittimazione di ciascun creditore sociale a esercitare o proseguire l’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. Il fatto che l’azione spetti a ciascun creditore individualmente è comunque coerente, dal punto di vista sistematico, con la norma in materia di sostituzione processuale di cui all’art. 81 c.p.c. Invero, nel concordato preventivo in continuità aziendale, che potrebbe dirsi la procedura di ristrutturazione per antonomasia, manca la figura del liquidatore giudiziale, mentre il commissario giudiziale svolge mere funzioni di vigilanza sulla regolarità della procedura, e non anche di gestione della medesima, non essendo quindi ipotizzabile una sua legittimazione ad agire in veste di sostituto processuale dei creditori, e, soprattutto mancano azioni di massa volte a ricostituire il patrimonio del debitore [21]. Il vero nodo dell’azione di responsabilità dei creditori sociali parrebbe piuttosto riguardare i criteri di quantificazione del danno risarcibile, peraltro da [continua ..]


5. La posizione della società e dei soci

Per quanto attiene all’azione sociale di responsabilità, dal deposito della domanda di concordato fino alla relativa omologazione, la società e gli altri soggetti legittimati (collegio sindacale, soci di minoranza e, nella s.r.l., singoli soci) conservano la legittimazione alla prosecuzione o all’esercizio dell’azione, senza la necessità di autorizzazione del giudice delegato dal tribunale, non trattandosi di atto eccedente l’ordinaria amministrazione, bensì di un atto di realizzazione dell’attivo [25], strumentale al recupero di un credito risarcitorio che, in quanto tale, non richiede l’auto­rizzazione del tribunale, ma soltanto l’approvazione dell’assemblea dei soci (ovvero dei singoli soci nella s.r.l.). Dopo l’omologazione, e dunque nella fase propriamente esecutiva, occorre in realtà distinguere a seconda del concordato liquidatorio e di quello in continuità aziendale. Infatti, quanto alla prima ipotesi, l’art. 115, 2° comma, c.c.i.i., prevede espressamente il subentro del liquidatore giudiziale nella legittimazione all’eser­cizio dell’azione sociale di responsabilità, mentre nel concordato in continuità a­ziendale la legittimazione rimane in capo alla società e agli altri legittimati, né serve l’autorizzazione del giudice delegato per eventuali rinunce o transazioni. Non può invece ritenersi legittimato il commissario giudiziale, il quale svolge solo funzioni di vigilanza, e non anche di gestione, laddove le azioni di responsabilità sono da trattare come beni aziendali, come tali indisponibili al commissario giudiziale. Anche nel caso dei soci, accanto alle azioni di responsabilità sembra di interesse chiarire come operino nell’esecuzione del concordato i tipici strumenti di reazione ad essi rimessi dal diritto societario comune. Sul punto, il d.lgs. n. 83/2022 ha introdotto diverse novità degne di menzione, prevedendosi, innanzitutto, una sospensione del diritto di recesso dei soci fino alla conclusione del piano che preveda operazioni di trasformazione, fusione e scissione (art. 116, 5° comma, c.c.i.i.). Inoltre, viene neutralizzato il principale strumento rimesso ai soci nei confronti del management, vale a dire il potere di revocare gli amministratori in ogni momento, salvo il loro diritto al risarcimento del danno. Infatti, i soci non [continua ..]


6. Osservazioni conclusive

A mo’ di conclusione, può essere utile interrogarsi sulle prospettive di armonizzazione del diritto dell’insolvenza in tema di doveri degli amministratori di società in crisi, dunque in un contesto più ampio di quello trattato nel presente lavoro, e attinente al contenuto di tali doveri durante l’attuazione delle procedure di ristrutturazione. In generale, l’esigenza di un maggiore avvicinamento degli ordinamenti concorsuali nazionali appare confermata dalla pubblicazione, il 7 dicembre 2022, della proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, che armonizza taluni aspetti del diritto in materia di insolvenza [27]. Tuttavia, quanto alla materia che qui interessa, la proposta di Direttiva considera espressamente soltanto il dovere di presentare tempestivamente la richiesta di accesso ad una procedura per una società già divenuta insolvente, pur lasciando impregiudicata la facoltà, per gli Stati membri, di «mantenere o introdurre obblighi più rigorosi per gli amministratori delle imprese prossime all’insolvenza» [28]. In particolare, gli artt. 36 e 37 prevedono l’intro­duzione di una fattispecie di responsabilità civile degli amministratori connessa alla violazione dell’obbligo di richiedere l’apertura di una procedura d’insolvenza entro il termine di tre mesi dalla conoscenza dello stato di insolvenza della società amministrata, in ossequio ad un’impostazione già invalsa in alcuni Stati membri [29]. A fronte delle inevitabili specificità che caratterizzano gli ordinamenti concorsuali dei singoli Stati membri, sembra che nella materia in discorso un più elevato grado di armonizzazione possa essere perseguito sotto due diversi punti di vista, presi in considerazione solo in parte dalla menzionata proposta di Direttiva, e rispettivamente attinenti al contenuto dei doveri degli amministratori verso i creditori sociali, ovvero al momento rilevante ai fini della loro attivazione [30]. Quanto al primo aspetto, potrebbe essere utile l’introduzione, a livello europeo, di un safe harbour per gli amministratori, che includa, per esempio, l’aver apprestato misure astrattamente idonee alla tempestiva rilevazione della crisi, ovvero il rispetto di specifici obblighi informativi [31]. In questa direzione, quanto all’ordinamento italiano, potrebbero [continua ..]


NOTE