Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Sistema e applicazione degli assetti adeguati nel codice della crisi e raffronto con il sistema 231 (di Francesca Vessia, Professoressa ordinaria di Diritto commerciale nell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro)


Lo scritto indaga i principali problemi esegetici scaturenti dagli artt. 2086 c.c. e 3, 375 e 377 c.c.i.i. in relazione al paradigma di adeguatezza degli assetti nella prospettiva di prevenzione della crisi. Le innovazioni apportate sono esaminate sia in relazione al diritto societario, sia al diritto delle imprese (individuali), sia al diritto della crisi, nel raffronto con il sistema 231 e con particolare riguardo alle misure di rilevazione tempestiva della crisi che hanno sostituito le misure di allerta. Particolare attenzione è dedicata alla questione dell’adeguatezza degli assetti in relazione alle piccole dimensioni delle imprese (PMI e microimprese) con proposte esegetiche de iure condito e de iure condendo.

System and application of the appropriate organisational sets-up in the crisis code and comparison with the 231 system

The research aims to investigate the thorniest issues arising from the articles 2086 of the Civil Code and 3, 375 and 377 of the Crisis Code, regarding the paradigm of organisational adequacy in the perspective of crisis prevention. The legislative innovations are investigated, in the field of company, (individual) firms and bankruptcy law, with respect to the Italian 231 System and with particular regard to the early warning detection measures that replaced the previous alert measures. Particular attention is paid to the issue of adequacy relating to small size enterprises (SMEs) with interpretative proposals de iure condito and de iure condendo.

SOMMARIO:

1. Introduzione al tema degli assetti: la rivoluzione culturale sull’approc­cio alla crisi d’impresa - 2. Il quadro societario sugli assetti adeguati - 3. Convergenze e divergenze tra gli assetti adeguati e il sistema ex D.Lgs. n. 231/2001 - 4. Il contenuto degli assetti adeguati: i principi di economia aziendale richiamati dalla clausola generale - 5. Le misure di rilevazione tempestiva della crisi contenute nell’art. 3, 3° e 4° comma, c.c.i.i. - 6. Note finali - NOTE


1. Introduzione al tema degli assetti: la rivoluzione culturale sull’approc­cio alla crisi d’impresa

Nel sistema del nuovo codice della crisi hanno assunto indiscussa centralità gli strumenti per la gestione della crisi in funzione conservativa della continuità aziendale, rispetto alla (un tempo prevalente) procedura fallimentare, oggi liquidazione giudiziale. Questo approdo rappresenta l’effetto di una rivoluzione culturale atteso che, secondo la logica della legge fallimentare, l’insolvenza veniva considerata come danno grave per l’economia, tale per cui l’impresa dovesse essere estromessa dal mercato e l’imprenditore sanzionato (civilmente e penalmente) per il suo dissesto [1]. Oggi, per contro, tale visione viene definitivamente superata, cedendo il passo ad una considerazione del rischio di crisi come uno di quei rischi ordinari connessi all’esercizio dell’impresa, e conseguentemente abbracciando la logica della prevenzione. Infatti, come tutti i rischi ordinari, anche la crisi deve essere prevenuta e i suoi effetti mitigati, attraverso due azioni sistemiche, consistenti nel porre in essere: i) una serie di obblighi organizzativi, i.e. obblighi strutturali, in capo agli imprenditori individuali e collettivi, unitamente a ii) obblighi di vigilanza e di segnalazione in capo agli organi societari di controllo. Questo studio intende approfondire la conformazione degli assetti adeguati rispetto allo scopo di prevenzione della crisi, all’esito del correttivo al codice della crisi, D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, attraverso quattro momenti di indagine. Nel primo si analizzano (brevemente) le novità introdotte all’interno del Codice civile a livello di struttura organizzativa e quindi di governance delle società. Nel secondo, invece, si focalizzano i punti di contatto tra le innovazioni apportate dal c.c.i.i. in tema di adeguatezza degli assetti e il D.Lgs. n. 231/2001, che rappresenta il precedente a cui il legislatore si è ispirato nella introduzione dei modelli organizzativi aziendali con funzione «prevenzionistica». Nella terza parte si esaminano i principi delle scienze aziendalistiche che vengono richiamati attraverso la clausola generale degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili. La quarta ed ultima parte fornisce un esame analitico del nuovo art. 3 del codice della crisi, analizzando quali sono oggi gli indicatori segnaletici della crisi che hanno sostituito le previsioni, ormai abrogate, degli artt. 13 ss. e più in [continua ..]


2. Il quadro societario sugli assetti adeguati

È opportuno avviare l’esame identificando l’ambito soggettivo di applicazione dei doveri organizzativi legati agli assetti adeguati. La previsione dell’art. 2086 c.c., come novellato dall’art. 375 c.c.i.i. e integrato dall’art. 377 c.c.i.i., prevede che l’imprenditore solo quando operi in forma societaria o collettiva abbia il dovere di istituire un assetto organizzativo amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa «anche» in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale. Questa disposizione sembrerebbe, all’esito della novella di luglio 2022, escludere l’imprenditore individuale dal perimetro soggettivo ma, in senso opposto si può concludere dal combinato disposto con l’art. 3 c.c.i.i. Difatti quest’ultimo, al comma 1, stabilisce che l’imprenditore individuale «deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte», arrivando così a codificare una posizione già espressa in letteratura prima del codice della crisi, secondo cui l’obbligo di creare assetti organizzativi adeguati è «connaturale con la gestione di qualsiasi impresa» [2]. Ci troviamo di fronte ad obblighi diversificati, uno per le società e più in generale per le collettività organizzate, incluse le forme di esercizio delle attività economiche diverse dalle società (quali le associazioni, i consorzi e le fondazioni ecc.) [3], e l’altro pensato per gli imprenditori individuali e avente la medesima finalità dei primi, cioè quella di prevenire il rischio di crisi e di consentire l’attivazione immediata e tempestiva di misure dirette alla salvaguardia della continuità aziendale. Appare chiaro, però, che l’identità dello scopo perseguito dal legislatore nei due casi [4] si accompagna ad una divergenza di metodi e procedure per l’imprenditore collettivo e per quello individuale, che si riflettono in termini sia quantitativi sia qualitativi sugli obblighi di adeguatezza da adottare. Pertanto, per l’imprenditore individuale si riscontra un alleggerimento e una minore complessità dei doveri di intervento strutturali sulla organizzazione [continua ..]


3. Convergenze e divergenze tra gli assetti adeguati e il sistema ex D.Lgs. n. 231/2001

Entrambi i plessi normativi, del codice della crisi d’impresa e della responsabilità penale degli enti, sono basati sulla logica «prevenzionistica», di predisporre cioè un’organizzazione aziendale adeguata allo scopo di prevenire specifici rischi limitando «la possibilità di errore» [24], secondo un criterio di razionalità nella conduzione dell’impresa [25]. Entrambi, conseguentemente, sanciscono una responsabilità da negligenza o colpa organizzativa destinata ad assumere rilievo autonomo [26]: basterà aver mancato tout court di adottare gli assetti o aver adottato assetti palesemente inadeguati, allo scopo di prevenzione cui avrebbero dovuto essere destinati, per cadere in questa ipotesi di responsabilità. Gli amministratori (come anche i sindaci), al ricorrere di queste ipotesi, potranno essere sanzionati [27] attraverso la revoca per giusta causa, o la denuncia di gravi irregolarità ex art. 2409 c.c., oltre ad essere chiamati a risarcire il danno arrecato alla società, ivi incluso il danno da default qualora si sia verificata l’insolvenza (i.e. fallimento o liquidazione giudiziale che sia). O ancora, si pensi a quale sia la soglia dimensionale delle imprese che faccia scattare la punibilità degli amministratori per aver omesso di adottare assetti adeguati, poiché ritenuti strutturalmente eccessivi e sproporzionati alle minime dimensioni dell’impresa [28]: qual è il margine di discrezionalità che la giurisprudenza ha nel valutare la correttezza e diligenza della scelta imprenditoriale di non adottare alcun assetto perché eccessivamente costoso e disfunzionale rispetto alle piccole o piccolissime dimensioni dell’impresa (che si voglia o non si voglia adottare la lente valutativa della BJR)? [29] Evidentemente il tema degli assetti presenta inevitabili ricadute sul tema della responsabilità degli organi, poiché circoscrivere le competenze serve a ridurre le responsabilità e (in taluni casi) a prevenire la stessa responsabilità civile [30]. Il problema di responsabilità connesso agli assetti adeguati, però, presenta ulteriori sfaccettature e alcuni aspetti che andrebbero indagati con tutt’altro grado di approfondimento rispetto ai tempi (e al focus) di questa analisi: si pensi a chi possa far valere la [continua ..]


4. Il contenuto degli assetti adeguati: i principi di economia aziendale richiamati dalla clausola generale

E veniamo ad esaminare le best practice che le scienze aziendali [41] e i codici di settore hanno delineato per dare corpo e consistenza alla clausola generale di adeguatezza degli assetti, e qui ci si limita a riportare lo studio e le considerazioni fatte da cultori di altre materie [42]. Innanzitutto, per assetti si deve intendere «la dimensione formale del contesto interno dell’azienda», che si articola in «aspetti strutturali e meccanismi operativi». Con specifico riguardo agli assetti organizzativi, con essi ci si riferisce sia alla macrostruttura (l’architettura delle funzioni dei ruoli e/o dei principali processi) sia alla microstruttura interna (che serve a identificare i contenuti di ciascun ruolo e funzione), sia anche ai loro meccanismi operativi. La macrostruttura, a sua volta, si può distinguere in struttura manageriale operativa che è direttamente impegnata nella gestione del business aziendale (approvvigionamenti, logistica, produzione, distribuzione, marketing) e la tecnostruttura (formata dai ruoli manageriali di supporto e necessari per conferire all’intera organizzazione aziendale il necessario coordinamento interno, quali sono l’internal audit, l’ufficio della compliance, pianificazione e controllo, i sistemi informativi ecc.). Di modelli organizzativi ce ne sono molti ed è generalmente riconosciuto che non esista un modello migliore in assoluto rispetto agli altri (the one best way) [43]; è invece possibile individuare una serie di paradigmi di c.d. strategia-struttura: vi sono quella a succursali, gerarchico-multifunzionale, multi-divisionale, a matrice e a holding [44], a seconda delle caratteristiche strutturali dell’impresa. Un’altra variabile importante degli assetti organizzativi è quella che attiene alle modalità di individuazione delle responsabilità: un classico modello strutturale del­l’organizzazione manageriale è quello dell’articolazione per centri di responsabilità e per reparti specializzati, con il pregio della unicità di comando in ciascun centro e conseguente chiarezza delle responsabilità. Ma ci sono anche altri modelli che sono volti a superare questo impianto rigido, ricercando una maggiore flessibilità e rapida adattabilità dell’assetto, attraverso la ripartizione delle competenze e delle responsabilità [continua ..]


5. Le misure di rilevazione tempestiva della crisi contenute nell’art. 3, 3° e 4° comma, c.c.i.i.

Detto questo sul piano strutturale, possono aggiungersi le correlazioni tra gli assetti adeguati e l’early warning [50], che rappresentano il fil rouge dell’intera riforma. Il c.c.i.i. prevede una serie di parametri che devono essere monitorati costantemente e periodicamente (sulla frequenza temporale dei controlli si preciserà qualcosa in seguito), e individua una serie di segnali di crisi che sono elencati nell’art. 3, rispettivamente commi 3 e 4. Su questo specifico aspetto si riscontrano le maggiori novità, atteso che il legislatore ha abrogato completamente il titolo II, capo I, che era rubricato Strumenti di allerta, eliminando anche la disposizione dell’art. 13, che conteneva gli indicatori e indici della crisi, ma senza rinunciare ad individuare in maniera più generale i parametri per rilevare tempestivamente lo stato di crisi. Quanto ai parametri, che sono definiti come «misure idonee» alla rilevazione tempestiva della crisi, si fa riferimento nel comma 3: a) agli «eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore»; b) a «la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi»; c) ai parametri per «ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e ad effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento». Ci si deve chiedere, pertanto, che cosa è cambiato dal 2019 ad oggi. È stata abbandonata la struttura molto rigida degli indicatori precedenti, che erano per un verso vincolati nella scelta e poi imponevano misurazioni esclusivamente metriche, numeriche e matematiche, quali per esempio il DSCR (Debt Service Coverage Ratio) [51] che è l’indice di copertura e sostenibilità dei debiti a sei mesi. Il mancato richiamo di questo ratio, nell’art. 3, 3° comma, lett. b), mentre prima era espressamente menzionato nell’art. 13, 1° comma, c.c.i.i., consentirà all’im­prenditore di ricorrere ad un kit più ampio e variegato di strumenti e metodi diversi di misurazione della sostenibilità dei debiti, che tengano conto anche di valutazioni qualitative e non solo quantitative, in [continua ..]


6. Note finali

Andando verso le conclusioni, l’indagine svolta sull’adeguatezza degli assetti ci consegna il quadro di un sistema complesso, che salda tra loro le scienze giuridiche e le scienze aziendali tenendo conto di variabili diverse, e che consente di mutuare alcuni aspetti organizzativi dalla esperienza applicativa della 231. Si è evidenziato che vi sono differenze nella determinazione degli assetti adeguati, non puntualmente censibili ma rimesse in larga parte all’autonomia statutaria e organizzativa dell’impresa, tra i diversi tipi societari e tra forme collettive e imprese individuali, laddove la variabile dimensionale assume un ruolo determinante e trasversale ai tipi societari e alle diverse modalità organizzative dell’impresa. Tuttavia, il legislatore non sembra aver tenuto in grande considerazione il problema, segnalato in dottrina [57], della scriminante dimensionale; e sebbene non si possa condividere l’opinione di considerare nei casi di imprese di dimensioni minime (che siano individuali, di persone o a responsabilità limitata) inapplicabile l’ob­bligo di istituzione di assetti adeguati, si aderisce parzialmente alla opinione espressa dagli Autori che tale problema hanno sollevato, nella misura in cui sia doveroso interrogarsi sugli effetti che gli artt. 2086 c.c. e 3 c.c.i.i. possano avere sulle PMI. Non si può nascondere che per queste tipologie di imprese, micro e piccole, vi siano non poche difficoltà di applicazione degli assetti adeguati, che sono stati istituiti (come si è visto) a partire dalle società per azioni quotate e bancarie, e dunque pensati per il modello della grande impresa, e poi estesi a tutte le altre imprese con il solo correttivo del principio di proporzionalità in relazione alle dimensioni, ma senza mai pensare ad una scriminante, come invece è stato fatto per lo stesso assoggettamento a liquidazione giudiziale, introducendo la nozione di impresa minore. Si deve, invece, immaginare che i principali destinatari di questa norma, come dell’intero codice della crisi, quanto meno sul piano numerico saranno le PMI, che rappresentano la maggioranza delle imprese nazionali e la colonna portante della nostra economia. Le PMI sono modellate solitamente come «aziende imprenditoriali», cioè che ruotano attorno alle straordinarie capacità dell’imprenditore o «capitano [continua ..]


NOTE