Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Privilegio del fondo di garanzia PMI: tra tutela del credito e principi del concorso (di Massimo Zappalà, Professore a contratto di Diritto delle Crisi d’Impresa nell’Università di Padova)


Le risorse provenienti dal Fondo di garanzia PMI di sono dimostrare uno dei principali strumenti utilizzati dall’impresa al fine di mitigare gli effetti dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Lo scritto esamina gli aspetti più controversi riferiti alla qualificazione, privilegiata o chirografaria, del credito del Fondo, interrogandosi, inoltre, in ipotesi di sopravvenuta insolvenza, su quale possa essere il corretto trattamento concorsuale dello stesso.

Italian sme fund: creditor rights and insolvency proceedings priority rule

Italian SME Fund money prove to be one of the main tools used by companies in order to mitigate the Covid-19 effects. The essay examines the most controversial aspects related to the secured or unsecured qualification of the Fund’s credit, also inquiring its proper insolvency rights in the event of company’s default.

Keywords: Covid 19, Italian SME Fund, Decree-Law n.23/2020, Senior debt, Multiple joint debtors’ creditor, Insolvency proceedings priority rule.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La natura del credito - 2.1. Gli effetti dell’art. 8-bis del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3 (cenni) - 2.2. La surrogazione (dichiaratamente) operata dal Gestore - 2.3. Significato della locuzione «crediti nascenti dai finanziamenti» - 2.4. L’inadempimento del beneficiario e la «revoca» ex art. 9 D.Lgs. n. 123/1998 - 2.5. Sulla necessità di una preventiva dichiarazione di «revoca» - 2.6. Conclusioni intermedie - 3. Trattamento concorsuale del credito - 3.2. Il diritto di credito (genesi) - 3.3. Il diritto di credito e il concorso nella procedura - 3.4. Il concorso e il sacrificio di Ifigenia - 4. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

In reazione all’emergenza da Covid-19 sono state adottate numerose misure straordinarie dirette ad arginare l’espansione degli effetti della pandemia sul sistema economico. In particolare, tra le forme di sostegno alle imprese, quelle destinate al reperimento di liquidità hanno rivestito un’importanza strategica per il tessuto dell’economia nazionale [1]. Tra di esse meritano particolare attenzione – in considerazione degli impatti sul profilo della sostenibilità del capitale circolante (nell’im­mediato) e dell’indebitamento (nel breve/medio periodo) – quelle disciplinate agli artt. 1 e 13 del D.L 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40 [2]. Le riflessioni che seguono intendono indagare un particolare profilo riferito alle possibili conseguenze di un inadempimento all’obbligo di rimborso delle somme ottenute dagli istituti eroganti da parte di un’impresa beneficiaria di una delle citate misure straordinarie. In particolare, vuole scrutinarsi quali siano la natura ed il corretto trattamento concorsuale del credito maturato dal Fondo di garanzia PMI (il “Fondo”) [3], in ipotesi in cui la banca concedente il mutuo garantito – registrato il mancato rimborso da parte dell’impresa beneficiaria – decidesse di escutere il garante [4]. La quantità di finanziamenti erogati in ragione delle garanzie offerte dallo Stato continua a crescere [5] e, in ipotesi in cui uno o più destinatari di tali erogazioni straordinarie dovesse, in un prossimo futuro, entrare in crisi o diventare insolvente, l’interprete sarà chiamato sempre più spesso a declinare, in un concorso formale, l’esatta natura ed il trattamento da riservare al credito maturato dal garante in ragione dell’eventuale escussione subita dall’istituto erogante. L’indagine che intende svolgersi muove da una (preliminare) verifica sulla natura del credito vantato dal Fondo (o da SACE S.p.A.) [6] e, in particolare, sulla riconoscibilità del privilegio da esso azionato tramite il gestore competente (il “Gestore”) [7]. Ciò risulta necessario in ragione del fatto che quest’ultimo dichiara alla procedura instauratasi di surrogarsi, in qualità di coobbligato al pagamento, nei diritti della banca finanziatrice, la quale partecipa al concorso [continua ..]


2. La natura del credito

Come cennato, la natura, privilegiata o chirografaria, del credito del Gestore ai sensi dell’art. 9, 5° comma, D.Lgs. n. 123/1998, nonché il significato (e corretta valenza) da attribuire alla norma in parola [10] sono stati terreno di (frizzante) confronto. In particolare gli interpreti si sono interrogati su: (i) quale sia il corretto addentellato normativo in grado di sancire l’esistenza del contestato privilegio. Il riferimento è al perimetro (temporale) degli effetti dell’art. 8-bis del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3 rispetto alla disciplina prevista dal D.Lgs. n. 123/1998 [11]; (ii) come contemperare la disciplina della surrogazione invocata dal Gestore del Fondo con il mantenimento del privilegio de quo, in particolare in ipotesi di surroga nella posizione di un creditore chirografario (la banca); (iii) l’estensione degli effetti della norma in esame (e del privilegio in essa contenuto) alle fattispecie caratterizzate dalla concessione di garanzia da parte del Fondo (in assenza di erogazioni dirette) e, in particolare, sul significato della locuzione «crediti nascenti dai finanziamenti erogati» (cfr. art. 9, 5° comma, D.Lgs. n. 123/1998); (iv) la sussumibilità dell’inadempimento del beneficiario ultimo tra le ipotesi di «revoca» di cui citata norma; (v) l’effettiva necessità di una preventiva dichiarazione formale di «revoca» ad opera del Gestore, al fine di attivare il diritto di quest’ultimo alla restituzione.


2.1. Gli effetti dell’art. 8-bis del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3 (cenni)

Un tema particolarmente delicato, soprattutto con riferimento alle ipotesi più risalenti, riguarda le garanzie rilasciate per finanziamenti concessi prima dell’entrata in vigore del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3. Per tali fattispecie andrà verificato se la norma legittimante l’attribuzione del privilegio al credito restitutorio possa risultare unicamente l’art. 9, D.Lgs. n. 123/1998, senza ricorrere a quanto stabilito dal menzionato art. 8-bis del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3. La norma in parola, infatti, ha il pregio di definire «privilegiato» ogni credito derivante dal «diritto alla restituzione … (omissis) … delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di garanzia», indipendentemente dalla forma attraverso la quale il contributo venga erogato. Tuttavia il perimetro di efficacia della disposizione de qua ha suscitato qualche contrasto in giurisprudenza, e ciò con riferimento a quelle fattispecie nelle quali l’ero­gazione risulta avvenuta in data anteriore all’entrata in vigore del decreto [12]. Secondo una prima tesi, non risulterebbero assistiti da privilegio i crediti restitutori originanti da finanziamenti erogati in data antecedente rispetto all’entrata in vigore della L. 24 marzo 2015, n. 33. Tale ricostruzione ritiene, infatti, che l’inter­vento normativo in parola non venga in alcun modo qualificato dal legislatore quale disposizione interpretativa, né capace di interpretazione autentica. Di più, secondo ridetta lettura, si tratterebbe di norma sostanziale «che pone ex novo il privilegio anche per le concessioni delle garanzie da parte del Mediocredito. Per l’applica­zione delle norme che introducono privilegi, norme che sono di diritto sostanziale, occorre fare riferimento al momento in cui il credito sorge e non a quello in cui esso viene fatto valere» [13]. Nel senso della natura innovativa della norma, parrebbero, in effetti, militare sia la rubrìca legis, ove si fa riferimento al «potenziamento» del Fondo (e quindi al suo rafforzamento mediante l’attribuzione di maggiori diritti/prerogative rispetto a quelli riconosciuti in precedenza), sia il testo dei relativi lavori preparatori, ove si legge come l’introduzione dell’art. 8-bis sia volta ad «introdurre alcune modifiche alla disciplina del Fondo». Per apprezzare lo stato attuale del [continua ..]


2.2. La surrogazione (dichiaratamente) operata dal Gestore

Nella prevalenza dei casi analizzati dalla giurisprudenza, a seguito dell’insol­venza del beneficiario ultimo degli interventi di sostegno pubblico, il creditore finanziario erogante (i.e. la banca) escute la garanzia del Fondo. Conseguentemente il Gestore viene costretto ad erogare alla banca, per conto del Fondo, le somme oggetto di inadempimento da parte del beneficiario – nei limiti dell’importo fissato dalla garanzia concessa – provvedendo, infine, a comunicare a quest’ultimo un c.d. “avviso di surroga” [18]. L’avviso di surroga, anche in coerenza a quanto fissato dall’art. 4, 2° comma, D.M. 20 giugno 2005 [19], contiene un diretto riferimento all’art. 1203 c.c. – in questo modo introducendo un’ipotesi di surrogazione legale in favore del Fondo nella posizione del soggetto garantito (i.e. la banca) a fronte dell’escussione della garanzia – prevedendo inoltre che, per il recupero del relativo credito, si applichi la procedura esattoriale mediante iscrizione a ruolo [20]. L’applicazione della disciplina della surrogazione legale crea, evidentemente, un cortocircuito nell’applicazione dell’art. 9, 5° comma, D.Lgs. n. 123/1998. Il soggetto erogante, infatti, non beneficia (in gran parte delle fattispecie) di alcun privilegio nei confronti del beneficiario ultimo e, da più parti, si è (correttamente) dubitato che il Gestore possa mantenere il proprio diritto di prelazione all’esito della surroga [21]. La surrogazione per pagamento trova, come noto, il proprio inquadramento sistematico tra le modificazioni soggettive del lato attivo del rapporto obbligatorio, in quanto determina la sostituzione di un soggetto ad un altro nella titolarità di un rapporto giuridico, il quale, tuttavia, rimane inalterato nei suoi elementi oggettivi [22]. La funzione della surrogazione è il recupero della prestazione eseguita dal terzo “sine causa”, dotando quest’ultimo delle stesse azioni, garanzie e privilegi del creditore soddisfatto [23]. Dottrina e giurisprudenza prevalenti risultano concordi nel ritenere come nella surrogazione si assista ad una semplice successione, in senso tecnico, nel lato attivo del rapporto obbligatorio [24]. In altre parole il solvens diventa titolare dei medesimi diritti di cui disponeva il precedente creditore che, per effetto del pagamento, [continua ..]


2.3. Significato della locuzione «crediti nascenti dai finanziamenti»

Tra le eccezioni più frequenti alla riconoscibilità del privilegio sancito dall’art. 9, 5° comma, D.Lgs. n. 123/1998 si registra quella che sottolinea la distonia (di stampo letterale) tra l’art. 7, 1° comma, D.Lgs. n. 123/1998 [32] – ove la norma, nel­l’enucleare i «benefici» erogabili, fa espressa menzione anche della fattispecie relativa alla «concessione di garanzia» – ed il citato art. 9, 5° comma [33], del medesimo decreto, il quale, nel sancire la qualifica privilegiata dei crediti de quibus, pare riferirsi unicamente a crediti nascenti da «finanziamenti». Tale dato empirico è stato valorizzato, in particolare dalla giurisprudenza di merito, al fine di escludere il riconoscimento della prelazione richiesta dal Gestore per tutti quei «benefici» diversi dall’erogazione diretta di «finanziamenti» [34]. Alla riportata ricostruzione si è opposto chi, valorizzando la più ampia espressione contenuta nel menzionato quinto comma, in particolare ove si riferisce ai crediti nascenti dai finanziamenti erogati «ai sensi del presente decreto legislativo», ha ritenuto di ritrovare un chiaro rinvio a tutti i «benefici» di cui all’art. 7 D.Lgs. n. 123/1998, anche eventualmente declinati tramite «concessione di garanzia» [35]. La giurisprudenza di legittimità, nello stabilire se il privilegio di cui al D.Lgs. n. 123/1998 sia riferibile solo a crediti derivanti da «benefici» erogati in forma di finanziamento, oppure ad ogni diversa forma di sostegno pubblico alle imprese, ha sottolineato come la norma in parola rinvii «ai fini dell’applicazione del privilegio generale, ai ‘crediti nascenti dai finanziamenti’ di cui al comma 4 (che disciplina, come si è detto, la revoca di tutte le somme erogate), facendo, pertanto, inevitabilmente riferimento, con l’utilizzo del sostantivo ‘finanziamento’ al plurale, a più forme o tipologie appunto di finanziamenti, cioè quelle descritte all’appena citato comma 4, così includendo, genericamente, tutti i finanziamenti erogati, e poi revocati, alla società» [36]. L’interpretazione proposta risulta meritevole di accoglimento. Nel diritto vigente non pare infatti potersi dubitare come il termine finanziamento [continua ..]


2.4. L’inadempimento del beneficiario e la «revoca» ex art. 9 D.Lgs. n. 123/1998

La gran parte delle fattispecie giunte all’attenzione della giurisprudenza si caratterizza per un inadempimento agli obblighi restitutori imputabile al beneficiario e riassumibile in un mancato pieno rimborso delle somme erogate (dalla banca) grazie agli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive. L’art. 9 D.Lgs. n. 123/1998, norma deputata a regolamentare la fase patologica dell’erogazione e rubricata «Revoca dei benefici e sanzioni», parrebbe non trattare esplicitamente della fattispecie de qua [39] con l’effetto di portare alcuni interpreti a ritenere come la citata «revoca» possa essere richiesta unicamente nelle ipotesi espressamente tipizzate e disciplinate dalla norma di legge [40]. In altre parole, solo l’irregolare ammissione all’intervento di sostegno o, comunque, l’indebito conseguimento del beneficio, parrebbero poter essere considerate come ipotesi “tipicamente” disciplinate, nelle quali il Gestore (per il Fondo) maturerebbe il diritto al discusso trattamento privilegiato del credito restitutorio. Da quanto precede deriva come le fattispecie ove vengano esclusivamente in rilievo (gravi) inadempienze del beneficiario in fase restitutoria non potrebbero in alcun modo portare all’attivazione dei rimedi previsti dall’art. 9, 5° comma, D.Lgs. n. 123/1998. E ciò in ragione della presenza di una patologia riferibile al solo rapporto di credito (per altro già instaurato) e non già, come parrebbe necessitare la norma, alle condizioni concessorie ed alla ratio giustificatrice della sovvenzione. Di contrario avviso la giurisprudenza di legittimità la quale, nel valorizzare la sequenza procedimentale nell’erogazione degli interventi pubblici a sostegno del­l’economia, è giunta a precisare come gli stessi si realizzino «attraverso un procedimento complesso, in cui la fase di natura amministrativa di selezione dei beneficiari in vista della realizzazione di interessi pubblici è seguita da un negozio privatistico di finanziamento o di garanzia, nella cui struttura causale si inserisce la destinazione delle somme ad uno specifico scopo. La deviazione dallo scopo, nei casi suindicati, così come l’inadempienza a tale rapporto negoziale, determina la violazione della causa del contratto di finanziamento o di garanzia e costituisce – [continua ..]


2.5. Sulla necessità di una preventiva dichiarazione di «revoca»

Fissato quanto precede, deve ora interrogarsi sulla necessaria presenza di una formale dichiarazione di «revoca» al fine dell’attivazione della disciplina di cui al­l’art. 9, 5° comma, D.Lgs. n. 123/1998. Capita spesso, infatti, nella prassi, di registrare fattispecie nelle quali non viene effettuata alcuna espressa dichiarazione in tale senso da parte del Gestore. Di nuovo è utile muovere dalla norma e, di nuovo, dall’elencazione delle fattispecie di «revoca». L’art. 9 D.Lgs. n. 123/1998 indica infatti, espressamente, le ipotesi a mente delle quali può essere attivato un procedimento rivolto alla «revoca» dei benefici concessi. Essa è prevista: 1) «In caso di assenza di uno o più requisiti, ovvero di documentazione incompleta o irregolare, per fatti comunque imputabili al richiedente e non sanabili» (1° comma) [45]; 2) «Qualora i beni acquistati con l’intervento siano alienati, ceduti o distratti nei cinque anni successivi alla concessione, ovvero prima che abbia termine quanto previsto dal progetto ammesso all’intervento» (3° comma); 3) «per azioni o fatti addebitati all’impresa beneficiaria» (4° comma) [46]; 4) «in tutti gli altri casi» (4° comma, ult. cpv.) [47]. L’elencazione che precede contiene sia ipotesi di «revoca» afferenti alla carenza di elementi genetici rispetto all’iter di concessione del sostegno da parte del Fondo, che fattispecie riguardanti la fase dinamica del rapporto [48]. Pare tuttavia lecito domandarsi se il garante sia chiamato, o meno, ad una dichiarazione formale di «revoca», a contenuto tipizzato (quale quella di natura amministrativa), al fine di poter validamente invocare il privilegio di cui al 5° comma. Per «revoca» amministrativa si è soliti indicare un atto di autotutela decisoria, con effetti caducatori ex nunc, attraverso il quale l’amministrazione persegue l’in­teresse pubblico primario operando una nuova comparazione degli interessi pubblici e di quelli privati, motivando, all’esito di detta attività, le ragioni che inducono a eliminare o riformare il provvedimento originariamente adottato. La declinazione operativa di detto meccanismo di tutela del patrimonio pubblico all’interno del D.Lgs. n. 123/1998 non pare possa [continua ..]


2.6. Conclusioni intermedie

Così sinteticamente ripercorsi i principali temi d’indagine rispetto alla natura, privilegiata o chirografaria, del credito del Gestore ai sensi degli artt. 9, 5° comma, D.Lgs. n. 123/1998 (nonché, eventualmente, 8-bis, D.L. 24 gennaio 2015, n. 3) sembra preferibile ritenere che il credito de quo, sull’assunto del rispetto della ricostruzione che precede, mantenga natura privilegiata, anche nelle fattispecie ove il Fondo si sia limitato a prestare garanzia alla banca erogante. Tale lettura, che ha il pregio di dimostrarsi coerente alla ratio legis sottesa all’intervento normativo [55], comporta, come visto, la necessità di condividere alcuni passaggi interpretativi, non essendo la disciplina di riferimento di agile e pronta applicabilità. Vi sono tuttavia, come anticipato in premessa, ulteriori aspetti che inducono a ritenere (ancor più) controversa e di non agevole soluzione la questione del trattamento del credito del Fondo (o di SACE S.p.A.) in una procedura, in particolare ove si acceda – come propugnato nelle presenti note – ad una ricostruzione del diritto de quo quale credito di regresso. Deve, infatti, essere indagato il carattere concorsuale, o meno, della pretesa creditoria da parte del Gestore, nonché gli eventuali termini di soddisfazione della stessa all’interno del concorso.


3. Trattamento concorsuale del credito

3.1. L’impianto normativo di riferimento (cenni) Giunti a qualificare il credito del Fondo come credito privilegiato di regresso, dovrà ora interrogarsi sul corretto collocamento dello stesso all’interno del concorso alla luce della disciplina degli artt. 61-63 L. Fall. (160-162 CCI), dichiarati applicabili alla procedura di concordato preventivo dall’art. 169 L. Fall. (96 CCI). In particolare dovrà aversi riguardo: (i) al principio, fissato nell’art. 61 L. Fall. (160 CCI) ove viene sancita, da un lato (cfr. 1° comma), la sostanziale insensibilità endofallimentare del credito solidale ammesso al concorso che riceva pagamenti parziali da condebitori dopo la dichiarazione di fallimento e, dall’altro (cfr. 2° comma), la piena facoltà di esercizio del regresso del coobbligato, a condizione tuttavia che il creditore sia stato integralmente soddisfatto per l’intero credito; (ii) alla disposizione contenuta nell’art. 62 L. Fall. (161 CCI), secondo la quale il coobbligato del fallito escusso prima del fallimento può concorrere nella procedura per la somma pagata, ma «il creditore ha diritto di farsi assegnare le quote di riparto spettanti al coobbligato»; nonché (iii) a quanto stabilito dall’art 63 L. Fall. (162 CCI), a mente del quale il coobbligato che ha un diritto di pegno o di ipoteca a garanzia del credito di regresso concorre nel fallimento del condebitore fallito per la somma garantita, ma «il ricavo della vendita dei beni ipotecati e delle cose date in pegno spetta al creditore in deduzione della somma dovuta» [56]. Si registra, pertanto, in favore del creditore procedente, la possibilità di beneficiare dell’importo ottenuto dalla vendita di beni posti originariamente a garanzia del credito del coobbligato solidale, dimostrando in questo modo, una volta di più, come l’azione di regresso di quest’ul­timo (assistita, nella fattispecie indicata dalla norma, da garanzia reale) non coincida in alcun modo con l’azione spettante al creditore procedente nei confronti del debitore principale (o coobbligato soggetto a procedura) [57]. Dall’analisi delle medesime norme si ricava l’evidente ratio del legislatore fallimentare rivolta a conseguire il rafforzamento della condizione del creditore di più coobbligati in solido, siano essi dichiarati falliti o ammessi al [continua ..]


3.2. Il diritto di credito (genesi)

Al fine di correttamente inquadrare i profili del concorso del credito del Fondo all’interno di una procedura va individuato il momento in cui sorge la menzionata pretesa di regresso. Risultano di particolare interesse, infatti, quelle fattispecie ove il pagamento da parte del Gestore (per conto del Fondo) avvenga in data successiva all’apertura del concorso, momento dal quale si produce l’effetto di c.d. “cristallizzazione” del passivo del debitore [59]. Da tale evento discende, da un lato, la fissazione, ai fini del concorso, del quantum dovuto al creditore erogante (i.e la banca) e, dall’altro, l’in­sensibilità dello stesso (nonché degli altri creditori concorsuali) ad eventuali riduzioni generatesi in ragione di pagamenti intervenuti in epoca successiva (come quelli effettuati, in ipotesi, dal Gestore). Ciò posto, il momento in cui il diritto (di regresso) vantato dal Fondo (garante) viene ad esistenza risulta essenziale. Qualora si ritenesse, infatti, che il credito di regresso azionato dal solvens – proprio in ragione delle differenti caratteristiche dello stesso rispetto alla surroga ex art. 1203, n. 3, c.c. (cfr. supra, par. 2.2) – sia destinato a sorgere unicamente in ragione (o al momento) del pagamento da questi effettuato [60] e tale versamento avvenisse in data successiva all’apertura del concorso, l’esercizio del regresso violerebbe il citato principio della “cristallizzazione” del passivo del debitore. La ricostruzione del regresso quale credito sorto (geneticamente) al momento della solutio e, per l’effetto, del tutto svincolato dal momento in cui l’obbligazione del coobbligato viene ad esistenza, non convince fino in fondo. Coloro che sono legittimati a partecipare al concorso sono i creditori per titolo o causa anteriore alla pubblicazione del ricorso ex art. 161 nel Registro delle Imprese o alla dichiarazione di fallimento. In altre parole, per poter validamente partecipare al concorso, l’obbligazione sottesa al credito deve vantare un codice genetico anteriore all’apertura dello stesso. Ma vi è di più. La concorsualità del credito di regresso del solvens (anche in bonis) [61], pur se riveniente da pagamento effettuato dopo la pubblicazione del ricorso per ammissione a concordato preventivo o successivamente ad una dichiarazione di fallimento del debitore coobbligato, [continua ..]


3.3. Il diritto di credito e il concorso nella procedura

Come noto (cfr. supra, par. 3.1) la portata precettiva dell’art. 61, 2° comma, L. Fall. introduce un’eccezione al principio di opponibilità al creditore comune dei pagamenti parziali ricevuti, così completando la tutela apprestata dal 1° comma al creditore predetto, il quale viene sottratto al concorso con il credito di regresso del solvens, che pure fosse esercitabile da costui sulla base della disciplina di diritto comune. La norma dispone quindi come il regresso possa essere esercitato solo a condizione che il creditore garantito sia stato preliminarmente soddisfatto per l’in­tero credito, così di fatto “uscendo” dal concorso [63]. Più precisamente, la ratio della previsione sta nel voler evitare che per la medesima pretesa possano trovare soddisfazione più creditori (così duplicando la necessità di risorse da attingere dal patrimonio della massa). Seppur in (consapevole) contrasto con un autorevole orientamento di legittimità, pare preferibile ritenere che la norma de qua abbia cura di evitare che avvengano duplicazioni in fase di riparto e non in fase di insinuazione al passivo [64]. La disposizione sembra infatti rivolta a regolare, prevalentemente, profili sostanziali del concorso [65], attinenti alla distribuzione del patrimonio della massa e dai quali derivano alcuni profili processuali (i.e. insinuazione dal passivo). Non l’inverso. Ciò che l’art. 61, 2° comma, L. Fall. limita è l’«esercizio» del diritto di regresso, da intendersi – a dispetto delle apparenze – quale preclusione di carattere sostanziale, riferita alla fase del riparto. Con il chiaro fine di non caricare la massa di oneri maggiorati in ragione della contemporanea presenza di uno o più obbligati per il medesimo titolo [66]. Fissato quanto precede, deve sottolinearsi come la scansione temporale degli eventi giochi, di fatto, un ruolo chiave e spinga l’interprete ad interrogarsi su quale sia l’effettiva tutela accordata dal legislatore al credito di regresso del Gestore, considerato che quest’ultimo, nello scenario disciplinato dalla disposizione in esame, risulta soddisfatto in procedura unicamente dopo che il creditore procedente lo sia stato «per l’intero credito» [67]. Di più. Il dover provvedere all’integrale preventiva soddisfazione di un [continua ..]


3.4. Il concorso e il sacrificio di Ifigenia

La giurisprudenza di legittimità si è molto prodigata al fine di sostenere la natura privilegiata del credito del Fondo. Di contro, non eguali sforzi si sono registrati nell’indagare i termini del concorso dello stesso in procedura. La Cassazione, in uno dei suoi più recenti arresti, si è infatti limitata a ribadire come le garanzie sottostanti ai finanziamenti de quibus risultino finalizzate a «consentire alle risorse pubbliche di trovare adeguata protezione, per potere realizzare l’interesse pubblicistico al reimpiego di quelle stesse risorse già messe a disposizione delle imprese per scopi poi frustrati dall’inadempimento delle medesime agli obblighi assunti», giungendo a sostenere che tale dato spieghi perché «nell’ipotesi d’intervento di garanzia che non copra l’intera misura del diritto del creditore garantito, la previsione del­l’art. 9, in ordine alla sussistenza del privilegio, venga senz’altro a prevalere anche sulla peculiare disciplina dettata nella L. Fall., art. 61» [74]. L’intento della Suprema Corte è chiaro (e meritevole). Tuttavia pare necessario indagare se le conclusioni raggiunte possano trovare un collocamento all’interno delle norme previste dall’ordinamento, senza dover ricorrere all’«interesse pubblicistico» quale criterio derogatorio di una disposizione di diritto positivo. Provvedendo, infatti, alla sterilizzazione tout court degli effetti dell’art. 61 L. Fall. e, in particolare, disapplicando il limite al regresso ivi contenuto (i.e. «solo dopo che il creditore sia stato soddisfatto per l’intero credito»), si offre via libera alla soddisfazione del privilegio concesso al Fondo, indipendentemente dal contesto in cui il regresso in parola viene ad operare. La soluzione offerta, per quanto netta e di intuitiva applicazione, non convince dunque sino in fondo e merita di essere analizzata. La ratio dell’art. 61 L. Fall. – in coerenza al fil rouge dell’intero trittico di norme dedicato dal legislatore alla disciplina dell’obbligazione solidale nel fallimento (o nel concordato preventivo) – risulta caratterizzata dal chiaro intento di rafforzare la posizione del creditore procedente. Tale prevalenza nella soddisfazione del credito originario viene inoltre declinata in un contesto nel quale risulta essenziale che la [continua ..]


4. Conclusioni

Si è consapevoli che l’interpretazione offerta – che tuttavia possiede l’in­du­bi­tabile prerogativa di essere aderente al dettato normativo – entra in evidente distonia con la voluntas legis sottesa alla disciplina del Fondo (più volte sottolineata dalla Cassazione). Risulta, in effetti, “stonato” ritenere che il campo di applicazione di un privilegio introdotto ad hoc dal legislatore non sia anche (se non addirittura principalmente) la sede concorsuale (oltre che quella delle esecuzioni individuali), proprio in un contesto nel quale quest’ultimo ha espressamente previsto che il diritto alla restituzione costituisca credito privilegiato, destinato a prevalere «su ogni altro diritto di prelazione, da qualsiasi causa derivante». Il ridotto perimetro applicativo del privilegio de quo (destinato a spiegare i propri effetti unicamente nelle ipotesi in cui la somma dei flussi ricevuti dal creditore soddisfi integralmente il credito di quest’ultimo), per una curiosa eterogenesi dei fini, sembra quindi far uscire gli strumenti a disposizione del Fondo finalizzati a recuperare la provvista pubblica sostanzialmente “depotenziati”, in netta contraddizione con l’esplicita finalità del D.Lgs. n. 123/1998, nonché del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3 [79]. C’è, tuttavia, un’ultima prospettiva che merita di essere evidenziata. Se, con riferimento alle fattispecie più risalenti, è ben possibile che lo sbarramento imposto dal divieto di pagamento sancito dall’art. 61, 2° comma, L. Fall. non metta in condizione la procedura di saldare il Fondo coobbligato – stante la necessità di “colmare” un differenziale (in assenza di ulteriori coobbligati) non minimale –, destino diverso attende quelle procedure (soprattutto di concordato preventivo) che saranno chiamate a confrontarsi con i crediti di regresso derivanti dal decreto “Liquidità”. In tali manovre, in ragione delle soglie di garanzia più “robuste” previste dalla normativa emergenziale [80], ben potrebbe giungersi – eventualmente a valle del soddisfo offerto della procedura instaurata – ad un saldo integrale delle ragioni del coobbligato ed alla pedissequa disapplicazione del divieto fissato dall’art. 61, 2° comma, L. Fall. In tali contesti diverrà pertanto [continua ..]


NOTE