Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Il (necessario) ripensamento delle procedure concorsuali dopo il “lockdown”: dal concetto di “insolvenza” a quello di “risanabilità”? (di Vittorio Minervini, Avvocato in Roma)


L’articolo si propone di verificare come le procedure concorsuali possano rispondere, in modo efficace, alla crisi sistemica innescata dalla diffusione globale del COVID-19. Passate in rassegna le principali opinioni sin qui espresse, si evidenzia come la riflessione in atto solleciti un’evoluzione delle categorie proprie del diritto concorsuale (almeno nelle sue ricostruzioni più tradizionali), finalizzata alla considerazione complessiva e sistemica del fenomeno e delle sue ricadute, a livello anche macroeconomico. Valutati gli effetti che la pandemia sta producendo sulle economie di tutti i Paesi industrializzati si osserva come, in una prospettiva appunto anche macroeconomica, le procedure concorsuali possano non solo evitare la distruzione di ulteriore ricchezza, ma anche contribuire all’allocazio­ne più efficiente delle risorse (e, dunque, alla creazione di nuova ricchezza), accelerando l’uscita del Paese dalla crisi. È tuttavia necessario riconoscere che, nella presente situazione eccezionale di “illiqui­dità diffusa” causata da fattori esogeni, alcuni concetti chiave delle moderne legislazioni concorsuali non sono più sufficienti. Per evitare l’impoverimento strutturale e duraturo del tessuto economico e pro­duttivo che conseguirebbe all’applicazione dei principi comuni, si suggerisce di affiancare al concetto di “insolvenza” quello di “risanabilità”. Alla luce di tale proposta ricostruttiva, e pur nella consapevolezza delle numerose incognite che la situazione attuale ancora pone, si evidenzia come la semplice improcedibilità delle dichiarazioni di fallimento non possa costituire un rimedio utilizzabile sine die. Si cerca dunque, nella parte finale, di ipotizzare lo schema di base di un procedimento semplificato utilizzabile, in via transitoria, in funzione “anti-COVID”, che viene ricavato per differenza – e con alcune integrazioni – a partire dal modello normativo del concordato “in bianco” ex art. 161, 6° comma, L. Fall., al fine di concedere rapidamente un automatic stay alle imprese pur tecnicamente insolventi ma risanabili (almeno nel medio-periodo), contemperando opportunamente i vari interessi in gioco.

The article intends to establish how bankruptcy procedures can respond effectively to the systemic crisis triggered by the global spread of COVID-19. After reviewing the main opinions expressed up to now, the article focuses on the evolution of the categories of insolvency law (at least in their most traditional reconstructions), proposing a broader perspective, also at a macroeconomic level. Considering the overall effects that the pandemic is producing in the economies of all the industrialized countries, it is observed how, in a macroeconomic perspective, insolvency procedures can not only avoid the destruction of wealth, but also contribute to a more efficient allocation of resources and, therefore, to the creation of new wealth, thus accelerating the country’s exit from the crisis. Still, it is necessary to recognize that, in the present exceptional situation of widespread illiqui­dity caused by exogenous factors, some key concepts of modern insolvency law are no longer worka­ble. To avoid the structural depletion of the economic framework that would follow from the application of the common principles of insolvency law, it is suggested to combine the concept of “insolvency” with that of “recoverability”. In the light of this reconstructive proposal, and despite the numerous uncertainties that the current situation still proposes, it is evident that the mere impossibility of filing for bankruptcy cannot constitute a sine die viable remedy. In the final part, therefore, it is sketched the scheme of a simplified procedure that can be used, on a transitory basis, in an “anti-COVID” func­tion, which is obtained by difference – and with some additions – starting from the model provided under art. 161 par. 6 of the Italian insolvency law, in order to quickly grant an automatic stay to companies that are technically insolvent but still recoverable (at least in the medium-term), while trying to balance the various conflicting interests.

Keywords: recovery plan – insolvency proceedings – Covid 19 – insolvency

SOMMARIO:

1. Il quadro fattuale di riferimento per la c.d. “fase 2” [1] - 2. Le procedure concorsuali nella prospettiva macroeconomica - 3. Come le procedure concorsuali possono rispondere alla crisi sistemica in atto: il problema dell’insolvenza diffusa - 4. Dal concetto di “insolvenza” a quello di “risanabilità” - 5. Come valutare la risanabilità? - 6. Un possibile modello normativo e procedimentale per affrontare la “fase 2” - NOTE


1. Il quadro fattuale di riferimento per la c.d. “fase 2” [1]

L’Italia è stato il primo Paese occidentale a essere gravemente colpito dal COVID-19. Pur non trattandosi della prima né della più grave emergenza sanitaria degli ultimi secoli [2], la pandemia in atto è forse la prima di questo rilievo nel mondo globalizzato; circostanza che ha determinato la propagazione in tutto il pianeta non solo del virus, ma anche delle sue ripercussioni economiche. Qualche dato potrà essere utile a comprendere la vastità e l’intensità del fenomeno che ci troviamo a fronteggiare. Il Fondo Monetario Internazionale [3] stima che nel corso del 2020 si avrà la peggior recessione dai tempi della Crisi del 1929, con una riduzione media della produzione mondiale pari almeno al 3% (ma con punte ben più elevate in molti Paesi), tanto da far parlare di un’economia “di guerra” [4]; né manca chi, già oggi, ritiene che la crisi in atto (di cui al momento nessuno è in grado di prevedere ragionevolmente la fine) sarà ben peggiore di quella del ’29, presentando “due … caratteristiche del tutto nuove: la crisi riguarda tutte le economie del mondo e tutti i settori – agricoltura, industria e terziario, che già sono in uno stato di paralisi generale. Inoltre, evolve in tempi brevissimi” (e in modi ancora imprevedibili) [5]. Tra i Paesi che si troveranno a dover pagare le conseguenze più gravi della pandemia in atto dovrebbe esservi proprio l’Italia, per la quale si ipotizza una contrazione nella produttività che il FMI stima, al momento, pari al 9,1% [6]. Anche le analisi di Banca d’Italia descrivono un crollo sistemico dell’econo­mia nel primo trimestre dell’anno in corso, tanto a livello mondiale, quanto europeo e nazionale [7]. Per il nostro Paese si prevede in particolare che il protrarsi delle misure di contenimento sanitario nella fase 2 e i connessi rischi di una nuova ondata di contagi comporteranno una caduta significativa del PIL anche per i mesi a venire [8]. Un quadro parimenti allarmante emerge dalle analisi sullo stato dell’economia re­ale condotte dall’Istat [9] nonché dalle principali associazioni di categoria, come Confindustria (secondo la quale il 97,2% delle imprese avrebbe subito l’impatto negativo del Coronavirus e il 43,7% lamenterebbe già [continua ..]


2. Le procedure concorsuali nella prospettiva macroeconomica

La possibilità di attribuire alle discipline concorsuali un ruolo (anche) dinamico, di riallocazione delle risorse produttive in funzione della creazione di ricchezza dipende, in prima battuta, dalla capacità di leggerle e ricostruirle non solo in un’ottica strettamente privatistica, confinata alla sola sistemazione dei rapporti debitori, ma an­che in una prospettiva di più ampio respiro (che peraltro risulta perfettamente presente agli interpreti di questo momento storico), come uno dei tasselli dell’articolato mosaico che compone la politica economica di un Paese. È ampiamente accreditata la considerazione secondo la quale la “qualità delle regole” costituisce uno dei più rilevanti fattori di progresso o “fallimento” di una nazione [18]. Che anche le regole concorsuali possano svolgere un ruolo importante in questo senso non dovrebbe essere ormai dubitabile. È infatti largamente condiviso a livello globale ed euro-unitario [19], nonché autorevolmente accreditato da numerose istituzioni internazionali [20], che una moderna legislazione sull’insolvenza possa contribuire significativamente alla crescita e allo sviluppo economico di un Paese e dei suoi mercati [21], favorendo la selezione delle imprese migliori (attraverso la fuoriuscita dal mercato di quelle incapaci di competere) e assicurando l’allocazione ottimale delle risorse produttive che, celermente smobilizzate, possono essere reimpiegate in modo più proficuo in nuove e diverse iniziative imprenditoriali [22]. Una moderna ricostruzione delle discipline concorsuali spazia dunque al di là della tradizionale visuale microeconomica (incentrata sulla sola definizione dei rapporti debitori all’interno dell’impresa in crisi), per abbracciare (appunto, in una prospettiva più ampia, di tipo anche macroeconomico) la trama complessiva delle relazioni che si dipanano intorno alle imprese in crisi e l’insieme degli effetti che al dissolvimento di queste tipicamente consegue [23]. Questa nuova prospettiva, che vede nell’instaurarsi di una progressiva “apertura al mercato” delle discipline dell’insolvenza uno dei suoi passaggi più significativi e qualificanti, è del resto alla base di molte delle innovazioni apportate negli ultimi 15-20 anni [24] alle nostre discipline concorsuali ed è [continua ..]


3. Come le procedure concorsuali possono rispondere alla crisi sistemica in atto: il problema dell’insolvenza diffusa

Si pone tuttavia, in modo anche assai urgente, il problema di come ciò possa avvenire in concreto, dovendosi verificare anzitutto se le disposizioni vigenti siano effettivamente adeguate a rispondere alle inedite condizioni che la pandemia in atto dram­maticamente pone. Il tema era già emerso fin dai primi giorni successivi al dilagare del contagio, ed è noto che molte voci autorevoli si sono espresse in senso negativo, riconoscendo che l’attuale patrimonio normativo e concettuale non offre una risposta idonea alla crisi sistemica. È stato detto significativamente che “extraordinary times require extra­ordinary measures. Adapting the rules on insolvency law to the specific needs of bu­sinesses in the current crisis is a key measure for all Member States. Some already acted, all others should follow soon” [31]. Il denominatore comune di queste opinioni sta a mio avviso proprio nella considerazione che alcuni concetti-chiave delle moderne legislazioni concorsuali non appaiano sufficienti [32] o adeguati laddove “crisi ed insolvenza riguardano [non] un numero limitato di imprese”, ma “la grande maggioranza di esse” [33]. Nella prima fase “acuta”, di contenimento emergenziale (sanitario ed economico) tramite lockdown, il Governo ha ritenuto preferibile un atteggiamento prudente, adot­tato peraltro anche in altri ordinamenti europei [34], finalizzato innanzitutto a “evitare una possibile ‘corsa al fallimento’ di imprese in temporanea difficoltà”, disponendo nell’immediato la temporanea improcedibilità delle istanze di fallimento. Larga parte della dottrina ha tuttavia lamentato la scarsa lungimiranza di una simile decisione, che non ha offerto alcuna concreta soluzione alle criticità rilevate, limitandosi a rimandare al domani i problemi contingenti [35]. È peraltro evidente che a una misura esclusivamente sospensiva o dilatoria non avrebbe comunque potuto farsi ricorso sine die, per l’intera durata della fase 2, e che dunque ad altre e diverse risposte, più meditate e concettualmente strutturate, occorre ora pensare. Il problema nodale – che mi pare ineludibile a questo punto affrontare – sta nella (ovvia) considerazione che la pandemia e le successive misure di contenimento stanno facendo venir meno, in maniera generalizzata e pressoché [continua ..]


4. Dal concetto di “insolvenza” a quello di “risanabilità”

Ciò posto, un primo intervento di carattere normativo dovrebbe a mio avviso riguardare proprio il concetto di insolvenza (almeno per come sin qui ermeneuticamente inteso e applicato). E questo non per furia iconoclasta, ma perché la condizione generalizzata di illiquidità delle imprese a seguito della chiusura forzosa delle attività fa sì che proprio nel concetto di insolvenza, primo punto di intersezione logica fra la fattualità economica (attualmente in balìa dello shock sistemico) e il diritto concorsuale (toccato sin qui solo timidamente dalle misure d’urgenza disposte dal Governo), si manifesti il maggior attrito fra l’“essere” dei mercati e il “dover essere” del diritto [46]. Con ciò, tuttavia, non s’intende affatto suggerire di riscrivere i connotati del con­cetto giuridico di insolvenza (se non altro perché tale caposaldo rimarrà fermo per chi dovesse essere considerato insolvente già prima del dilagare della pandemia e tale rimarrà una volta che questa sarà passata) [47]; al contrario, occorre realisticamente prendere atto del fatto che, nell’attuale scenario congiunturale di “insolvenza diffusa”, tale concetto diventa temporaneamente inidoneo a “distinguere” realtà che devo­no invece, per evidenti ragioni, esser trattate in modo diversificato (l’impresa dissestata, che non può sopravvivere e deve essere liquidata, rispetto a quella che, pur oggi tecnicamente “insolvente” a causa del COVID-19, è in sostanza sana – o almeno risanabile – e dunque non merita di essere estromessa dal mercato). E questo non solo e non tanto per il danno ingiusto che per questo verso si arrecherebbe alla moltitudine di imprese “sane” (o comunque risanabili), ancorché allo stato “tecnicamente insolventi”; ma ancor di più perché le conseguenze di una simile impostazione sarebbero deleterie per gli interessi del sistema Paese negli anni a venire. Per questa pregnante ragione, dunque, in questa fase post pandemica il concetto di insolvenza non può, a mio avviso, restare il solo vertice logico dell’ordinamento concorsuale nella fase (di transizione) in atto [48], ma deve essere affiancato da un parametro diverso e ulteriore, che sia in grado di leggere e filtrare adeguatamente le [continua ..]


5. Come valutare la risanabilità?

Ciò detto, il tema ulteriore che occorre affrontare investe direttamente il giudizio di risanabilità (in particolare: chi debba condurlo e secondo quali criteri e parametri). E qui si entra, invero, in un territorio in larga parte ancora inesplorato, su cui do­vrebbero allora concentrarsi gli sforzi del legislatore e della riflessione dottrinale (che ben potrebbero servire anche dopo, in vista dei correttivi da apportare al nuovo Codice, in vista della sua entrata in vigore nel 2021) [59]. Nel nuovo Codice il giudizio sulla risanabilità dell’impresa in crisi sembra assumere, infatti, un ruolo centrale (ai fini dell’applicazione dell’una o dell’altra disciplina e dunque della produzione di effetti giuridici potenzialmente antitetici: conservazione o liquidazione dell’impresa e delle sue attività). Cionondimeno, pare a tutt’oggi mancare, in seno alle nostre sezioni fallimentari, una classe “professionale” adeguatamente formata ed esperta (secondo i dettami della nuova direttiva europea), cui una tale valutazione possa essere rimessa [60]. A complicar ulteriormente le cose sta inoltre il fatto che il giudizio di “risanabilità” si fonda su un concetto tecnico (e certo non “giuridico”) proprio delle scienze aziendalistiche, che risulta di per sé sfuggente, essendo non assoluto ma relativo e pertanto intrinsecamente opinabile (in quanto variabile in funzione delle assunzioni di base), e spesso anche indeterminabile con certezza a priori. Ciò che può indurre il giurista tradizionale quanto meno ad una giustificabile perplessità. Infatti, un’impre­sa che qualcuno potrebbe giudicare “da liquidare”, potrebbe diventare invece “risanabile” (e anzi profittevole) su presupposti diversi, modificando o diversamente com­binando i fattori della produzione (ad es. attraverso la riconversione di impianti e/o della forza lavoro), in funzione della realizzazione di un’idea o di un’attività econo­mica anche diversa, in tutto o in parte, da quella precedentemente svolta (è solo in funzione di un programma imprenditoriale dato che può significativamente esprimersi un giudizio attendibile e soprattutto verificabile sulla risanabilità e su quale possa o debba dunque essere il destino dell’impresa in crisi). Ed è anche per questo motivo [continua ..]


6. Un possibile modello normativo e procedimentale per affrontare la “fase 2”

Pur nella consapevolezza di dover affrontare tali delicati problemi senza il conforto di un tipo normativo già sperimentato e consolidato, si vuol comunque provare a orientare le riflessioni sin qui svolte verso un modello procedimentale che possa essere utilizzato in funzione “anti-COVID” e per un lasso di tempo pari almeno a quello oggi ipotizzabile per la fase 2. Non è certo questa la sede per delineare in dettaglio un modello completo o “ideale”; ma si vuol comunque provare a svolgere l’esercizio di tracciarne almeno ta­luni profili di massima, nell’auspicio che ciò possa servire di spunto per ulteriori di­scussioni e affinamenti, grazie al confronto con le opinioni di altri Autori e operatori delle discipline concorsuali. Per come si diceva, l’improcedibilità temporanea ex lege delle dichiarazioni di fallimento poteva essere una contromisura per certi versi opportuna, e fors’anche ne­cessitata, nell’immediatezza del lockdown e nella fase acuta del contagio. Ma con l’avvio della fase 2 occorre prepararsi a una lunga (e non sappiamo quanto) convivenza con il virus (da un punto di vista economico e sociale, oltre che sanitario). Sembra dunque a questo punto necessario cambiare passo: e deve essere un passo cadenzato su ritmi che possano essere mantenuti anche nel medio periodo, con l’a­dozione di doverosi accorgimenti atti a bilanciare, in maniera equilibrata, le esigenze (considerate sin qui assorbenti) di “protezione” dell’impresa in crisi [63] con l’in­teresse dei creditori a non veder sospesi o pregiudicati irragionevolmente, sine die, i propri diritti. Non credo infatti che si possa semplicemente “scaricare” sui creditori il costo del risanamento delle imprese oggi insolventi, per tutto il tempo che sarà necessario per il ritorno alla normalità. E questo non solo per ragioni (che pur sarebbero dirimenti) di carattere costituzionale; ma anche perché si tratterebbe di una misura che, nel medio-lungo periodo, finirebbe per danneggiare le imprese stesse (che nella catena del valore sono peraltro sia “debitori” che “creditori”), alienando l’investimento di capitali dal nostro Paese (ciò che in questo momento non possiamo certo permetterci). Ritengo dunque che un obiettivo più realistico e praticabile sia la messa a punto di un [continua ..]


NOTE