L’articolo analizza l’evoluzione della funzione del Tribunale nella procedura di concordato preventivo dalla legge fallimentare del 1942 al nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza.
The paper analyses the role of the Courts in composition with creditors (“concordato preventivo”) from the Law of 1942 to the new Insolvency Italian Code.
Keywords: feasibility control – arrangement with creditors – Insolvency Code
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1. Dalla legge fallimentare del 1942 alla riforma del 2006: i problemi - 2. La reazione della giurisprudenza - 3. La scelta del Codice della crisi e dell'insolvenza - 4. I problemi e la piu' ampia funzione del Tribunale e dell'attestatore - 5. Il conflitto di interessi del creditore
Prima della riforma della legge fallimentare del 2005-2006 il Tribunale, con ampi poteri, veniva chiamato a valutare, oltre la “meritevolezza” del debitore, anche la “convenienza” della proposta di concordato preventivo. La riforma ha invece, come è noto, ridimensionato i poteri del Tribunale, in un quadro generale, comune a tutte le procedure concorsuali, nel quale si dava maggior rilievo, e maggior spazio valutativo e deliberativo, al ceto creditorio, in una visione liberista e di mercato forse un po’ troppo spinta in base a quelle che erano, e sono state successivamente, le esperienze concrete. Con particolare riferimento, poi, al concordato preventivo, scomparso il controllo di “meritevolezza” e “convenienza”, al Tribunale veniva lasciato un controllo di legittimità, e non di merito, sulla procedura, quale garante della legalità, mentre veniva rivalutata la posizione e la votazione dei creditori, quale snodo centrale della procedura medesima. I creditori, si diceva, sono i maggiori interessati alla procedura, e quindi appariva giusto che fossero loro ad avere un posto di rilievo nelle decisioni. In particolare, l’interesse dei creditori ad essere pagati nella migliore percentuale possibile e nel minor tempo possibile, e la loro valutazione sulla convenienza del concordato, appariva prevalente sull’altro interesse, quello non solo creditorio, ma anche pubblico, di evitare che procedure di concordato avventate o addirittura fraudolente si risolvessero in un aggravamento del dissesto, che solo il controllo del Tribunale avrebbe potuto evitare. Questa prospettiva, peraltro, si sarebbe mostrata subito troppo ottimistica. Già dalle prime applicazioni della riforma, e dalle successive integrazioni e modifiche, sono emerse numerose problematiche e criticità che hanno portato, come vedremo, ad una reazione da parte della giurisprudenza. Possono, in proposito, ricordarsi sinteticamente le seguenti: a) una maggiore possibilità di utilizzo abusivo del concordato, specie di quello “in bianco”, a fini dilatori, con il conseguente aggravamento del dissesto o addirittura un doloso depauperamento del patrimonio; b) la possibilità della creazione di pericolose prededuzioni, specie nel concordato con continuità aziendale, sovente tali da assorbire l’attivo a [continua ..]
Una reazione della giurisprudenza è stata inevitabile. Come è noto, dopo una serie di interventi prudenti ma incisivi della giurisprudenza di merito, è sopraggiunta la nota decisione della Cass., Sez. Un., n. 1521/2013, che ha stabilito due principi che hanno fatto da guida alla giurisprudenza successiva: la distinzione tra “fattibilità giuridica” del concordato, la cui valutazione spetta al giudice, e “fattibilità economica”, la cui valutazione spetta ai creditori; il potere del Tribunale di valutare la “fattibilità giuridica” in qualsiasi fase della procedura, ammissione, revoca, omologa. Questa decisione ha posto le basi per un ampliamento, “controcorrente” rispetto alla riforma, dei poteri del Tribunale nel concordato preventivo, anche se si è subito evidenziata in concreto la difficoltà di distingue tra i due tipi di fattibilità e di definirne i contenuti ed i confini. I Tribunali comunque hanno fatto ampio utilizzo di questi concetti, specie in sede di revoca ex art. 173 L. Fall., mentre la Cassazione successiva, pur ponendosi in linea con la citata n. 1521/2013, ha cercato di chiarire e delimitare il concetto di “fattibilità”. Un ulteriore passo avanti è stato poi fatto di recente dalla Cassazione, mi riferisco alle sentenze n. 4790 e n. 5825/2018 per citarne alcune, ove il controllo del Tribunale è stato esteso anche alla “fattibilità economica” del concordato, qualora la proposta sia viziata da manifesta inadeguatezza alla realizzazione dell’adempimento del concordato.
Il c.c.i. è andato ancora più in là di quanto aveva fatto la giurisprudenza della Cassazione, restituendo ampi poteri al Tribunale. D’altra parte sia il Progetto Rordorf che la legge delega prospettavano la necessità di misure atte a prevenire condotte abusive da parte del debitore. Si è parlato, a mio avviso erroneamente, di “restaurazione”, ma anche di “controriforma”. Non credo possa parlarsi di “restaurazione” perché il controllo del Tribunale nel c.c.i. è ben diverso da quello ante 2006, non essendo previsto un controllo sulla “meritevolezza”, mentre quello sulla “convenienza” riemerge in parte, ma in un contesto più ampio di poteri del Tribunale. Forse “controriforma” è una espressione più adatta, perché non vi è dubbio che il c.c.i. va in senso contrario ai principi, sopra evidenziati, della riforma del 2006, ed il controllo sulla “fattibilità” ivi previsto è molto ampio, e per di più ricomprende anche quello sulla “convenienza” (cui fa espressamente riferimento l’art. 7, 2° comma, c.c.i.). Passando all’esame del dato normativo, ed a conforto di quanto sin ora affermato, possono richiamarsi: a) l’art. 47, 1° e 3° comma, c.c.i. ove è previsto che il Tribunale, in sede di ammissione del concordato, verifica “l’ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano” (la parola “giuridica”, probabilmente superflua, dovrebbe essere eliminata dal decreto correttivo attualmente in gestazione), e se “accerta la mancanza delle condizioni di ammissibilità e fattibilità …” dichiara inammissibile la proposta, ed eventualmente dichiara, su ricorso dei legittimati, l’apertura della liquidazione giudiziale; b) l’art. 48, 3° e 7° comma, c.c.i. ove è previsto che il Tribunale, in sede di omologazione del concordato, verifica “la regolarità della procedura, l’esito della votazione, l’ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano, tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale” (la parola “giuridica”, probabilmente superflua, anche qui dovrebbe essere [continua ..]
Una domanda inevitabile che deve porsi l’interprete è come farà il Tribunale ad esercitare questi ampi poteri, con quali strumenti, vecchi o nuovi che siano. Certamente il compito è arduo, se si considera che in futuro i concordati, a differenza di quanto avviene oggi ed è avvenuto in passato, saranno in prevalenza concordati in “continuità aziendale”, ove le valutazioni da fare sono ben più complesse che nei semplici e lineari concordati liquidatori. È noto infatti che il c.c.i. pone come modello principale di concordato quello in “continuità aziendale”, mentre il concordato liquidatorio, che stava addirittura per essere abolito, sarà ammissibile solo in presenza di significativi apporti esterni che incrementino di almeno il 10% il soddisfacimento dei creditori chirografari, che comunque non può essere inferiore al 20% del credito, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale (art. 84, 4° comma, c.c.i.). Credo che una valutazione del Tribunale anche tramite consulenti tecnici sia inevitabile. In un sistema ove l’attestatore del concordato è nominato dall’imprenditore è difficile che i Tribunali, come peraltro avviene già, si limiteranno ad affidarsi alle sue valutazioni ed attestazioni, verificando solo l’attendibilità in astratto della attestazione medesima, e senza fare ulteriori verifiche. Nel c.c.i. le funzioni dell’attestatore appaiono in astratto eguali a quelle della Legge fallimentare, essendo integralmente e senza modifiche riprodotti gli articoli di quest’ultima: l’art. 87, 2° comma, c.c.i. riproduce l’art. 161, 3° comma, L. Fall. in ordine alla attestazione della veridicità dei dati aziendali ed alla fattibilità del piano; l’art. 87, 3° comma, c.c.i. riproduce l’art. 186-bis, lett. b), L. Fall. in ordine alla attestazione della miglior soddisfazione dei creditori ottenibile dalla prosecuzione dell’attività di impresa nel concordato con continuità aziendale. I compiti dell’attestatore, ed anche i controlli che il Tribunale inevitabilmente dovrà in qualche modo effettuare, si colorano e si riempiono di contenuti nuovi se vengono però posti in relazione con la nuova e complessa disciplina contenuta negli artt. 84 e [continua ..]