Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Dichiarazione di fallimento in assenza di risoluzione del concordato preventivo? (di Federica Innocenti (Ricercatore di Diritto Commerciale nell’Università di Perugia))


Il presente saggio analizza la questione riguardante la possibilità di dichiarare il fallimento del debitore in assenza di risoluzione del concordato preventivo, alla luce degli sviluppi del recente dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia.

L’indagine muove dalle modifiche apportate all’art. 186 L. Fall. dalle novelle del 2005-2007, in par­ticolare per quanto riguarda le restrizioni operate in punto di legittimazione attiva a chiedere la risoluzione (affidata ai soli creditori in caso di inadempimento di non scarsa importanza) e la caduta del previgente automatismo tra risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento; ciò ha provocato situazioni di impasse generate dall'inerzia dei creditori concordatari, essenzialmente legata a ragioni di carattere economico.

L’autore, dopo aver dato conto dell’orientamento maggioritario in giurisprudenza che ammette la possibilità di dichiarare il fallimento del debitore concordatario anche in assenza della preventiva risoluzione del concordato (c.d. “omisso medio”), pur comprendendo le ragioni poste a fondamento di siffatta lettura della legge fallimentare sottopone a vaglio critico tale impostazione, offrendo un tentativo di ricostruzione del sistema.

This paper analyses the issue regarding the possibility of declaring debtor’s bankruptcy in the absence of resolution of the “composition with creditors”, in the light of current doctrinal and jurisprudential debate.

The investigation examines the main changes to art. 186 L. Fall., introduced by the legislation reform of 2005-2007, in particular as regards the restrictions on legitimation to ask for the resolution (allo­wed only to creditors in the event of breach of contract) and the fall of the previous automatism bet­ween resolution of the “composition with creditors” and declaration of bankruptcy, which led to situations of impasse generated by the inertia of the creditors, motivated by economic reason.

The author, after having illustrated the prevailing case-law which admits the possibility of declaring debtor’s bankruptcy even in the absence of the action for resolution of the “composition with creditors”, while understanding the reasons in favour of the aforementioned case-law, subjecting this approach to critical scrutiny in order to offer an attempt to rebuild the system.

SOMMARIO:

1. Premessa. L’attuale fisionomia dell’istituto della risoluzione nel concordato preventivo (art. 186 L. Fall.): principali questioni interpretative - 2. Il problema del fallimento senza la pronuncia di risoluzione del concordato preventivo (c.d. “omisso medio”) - 3. L’orientamento maggioritario in giurisprudenza - 4. Sugli effetti del concordato omologato: la posizione dei creditori anteriori alla pubblicazione della domanda di concordato - 5. (Segue): la posizione dei creditori successivi - 6. Sulla necessità della previa risoluzione del concordato per la (successiva ed eventuale) dichiarazione di fallimento del debitore concordatario - NOTE


1. Premessa. L’attuale fisionomia dell’istituto della risoluzione nel concordato preventivo (art. 186 L. Fall.): principali questioni interpretative

Tra le vicende patologiche del concordato preventivo, la risoluzione ha assunto negli ultimi anni un rilievo centrale all’interno del dibattito dottrinale e giurispruden­ziale. Anzitutto vi è da dire che l’istituto, completamente novellato dalle riforme del 2005-2007 e recentemente inciso dalle novelle del 2012 e del 2015, è stato oggetto di pregnanti modifiche che, da un lato, hanno segnato il distacco (in punto di fattispecie e disciplina) dall’omologo istituto nel concordato fallimentare, dall’altro risultano coerenti sul piano sistematico con la mutata fisionomia del concordato preventivo, caratterizzato da una natura spiccatamente contrattualistica e dall’arretramento della tutela giudiziale a favore della centralità del ruolo e delle prerogative dei creditori, che emerge a più riprese nelle varie fasi della procedura [1]. Tale cambiamento di prospettiva si è tradotto sul piano normativo nella completa riformulazione dell’art. 186 L. Fall., avvenuta ad opera del D.Lgs. n. 169/2007, che ha provocato un radicale mutamento della fattispecie risolutoria nel concordato preventivo, sia sotto il piano sostanziale sia processuale, restringendo, da un lato, il no­vero dei soggetti legittimati a richiederla, i quali, a norma dell’art. 186, 1° comma, sono i soli creditori, con ricorso da proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato nella proposta del debitore per l’ultimo adempimento previsto dal concor­dato (art. 186, 3° comma); dall’altro la fattispecie risolutoria viene ancorata all’ina­dempimento di non scarsa importanza (art. 186, 2° comma), sancendo l’avvicina­mento dogmatico della risoluzione del concordato preventivo all’istituto generale della risoluzione contrattuale [2]. È inoltre stata eliminata la previsione secondo la quale con la sentenza che risolve (o annulla) il concordato il Tribunale dichiara il fallimento del debitore (art. 186, 3° comma, L. Fall. prev.), cagionando la caduta del previgente automatismo tra risoluzione (o annullamento) del concordato e fallimento del debitore. Di conseguenza, alla luce del sistema normativo vigente (come è stato recentemente confermato dalla Corte costituzionale [3]), sarebbe consentito pronunciare la risoluzione del concordato senza che a questo consegua alcuna [continua ..]


2. Il problema del fallimento senza la pronuncia di risoluzione del concordato preventivo (c.d. “omisso medio”)

Tutto ciò detto, occorre dar conto che l’intervento restrittivo operato dal legislatore in punto di legittimazione a proporre l’azione di risoluzione ha provocato delle distorsioni sul piano sostanziale, che hanno condotto al preoccupante dato di concordati omologati nei quali le obbligazioni concordatarie restano inadempiute (o co­munque non vengono onorate nei tempi stabiliti), ma che non vengono risolti per inerzia dei creditori concorsuali, gli unici soggetti che, a norma dell’art. 186 L. Fall., sono legittimati a chiedere la risoluzione [10] da cui l’eventuale e conseguente fallimento [11]. È peraltro noto che le ragioni dell’inerzia dei creditori sono essenzialmente legate a motivazioni di natura economica: sostenere dei costi per un’iniziativa giudiziaria presumibilmente improduttiva di reali effetti rispetto all’interesse del soddisfacimento, anche solo parziale, del credito è ritenuto un dispendio di ulteriori risorse troppo gravoso per essere utilmente sostenuto; tutto ciò inevitabilmente ingenera si­tuazioni di impasse che sovente gli interpreti, come emerge da talune recenti decisioni di legittimità [12] e di merito [13], hanno cercato di sbloccare cercando di superare i limiti evincibili dal tenore dell’art. 186 L. Fall. Invero, attraverso varie argomentazioni (tra cui la rimozione del fallimento d’uf­ficio dall’ambito dell’istituto di cui all’art. 186 L. Fall. e l’assenza di un divieto espresso di dichiarare il fallimento in assenza di risoluzione), larga parte della giurisprudenza è orientata ad affermare la possibilità che i creditori concorsuali, così come tutti i soggetti legittimati ex art. 6 L. Fall., possano procedere ad un’autonoma azione diretta alla declaratoria di fallimento “omisso medio”, senza il previo passaggio della risoluzione [14]. In tale contesto giuridico ed economico si innestano le riflessioni sul tema, in questi tempi molto discusso in dottrina ed in giurisprudenza, della possibilità di dichiarare il fallimento dell’imprenditore in concordato senza la preventiva risoluzione del concordato, ove a richiederlo siano i creditori concorsuali, il debitore stesso o il pubblico ministero, secondo quanto previsto dall’art. 6 L. Fall. In particolare, per ciò che in questa sede [continua ..]


3. L’orientamento maggioritario in giurisprudenza

Come già anticipato, si è andato consolidando un orientamento giurisprudenziale, autorevolmente avallato dalla Suprema Corte [18], secondo il quale, una volta omologato il concordato preventivo sarebbe possibile dichiarare il fallimento del debitore concordatario a prescindere da un previo provvedimento di risoluzione del concordato preventivo [19], una volta accertato lo stato d’insolvenza dell’impresa rispetto alla debitoria concordataria, quindi, nel caso in cui risulti, anche solo in termini pre­visionali, l’impossibilità di adempiere agli obblighi assunti dalla proposta concordataria e cristallizzati nel decreto di omologa [20]. Tale conclusione s’iscrive nel più ampio problema del riemergere dell’insolven­za nella fase esecutiva del concordato preventivo, nonostante la falcidia operata dall’omologazione (quindi rispetto alla debitoria concordataria riconosciuta dalla proposta di concordato poi omologata); problema che, nell’interpretazione della giurisprudenza prevalente, andrebbe scisso dal profilo della valutazione degli inadempimenti posti in essere dal debitore concordatario, in conseguenza dei quali i soggetti legittimati (rectius, i soli creditori), potrebbero agire per la risoluzione del concordato ed eventualmente instare per il fallimento del debitore [21]. Da questa prospettiva viene affermato che, una volta intervenuta l’omologazione del concordato preventivo, il creditore insoddisfatto, anche in termini previsionali, rispetto all’esecuzione del piano concordatario, potrebbe chiedere all’autorità giudiziaria di accertare lo stato d’insolvenza del debitore presentando istanza di fallimento ex art. 6 L. Fall., facendo valere il credito insoddisfatto non nella misura originaria, ma nella misura falcidiata dalla proposta concordataria [22], baipassando, quindi, i limiti ed i termini di cui all’art. 186 L. Fall. previsti per l’istanza di risoluzione del concordato [23]. In tal caso l’azione esperita dal creditore costituirebbe «[...] legittimo esercizio della propria autonoma iniziativa ai sensi dell’art. 6 l. fall., non condizionata dal precetto di cui all’art. 184 e dunque a prescindere dalla risoluzione del concordato preventivo, il cui procedimento andrebbe attivato, previamente o concorrentemente, solo se l’istante [continua ..]


4. Sugli effetti del concordato omologato: la posizione dei creditori anteriori alla pubblicazione della domanda di concordato

Nel tentativo di prendere una posizione sul tema, occorre anzitutto verificare se, alla luce della disciplina vigente del concordato preventivo, il sistema consenta di di­chiarare il fallimento del debitore successivamente all’omologa della proposta concordataria ed indipendentemente dalla pronuncia di risoluzione del concordato. Come emerge dalla lettura delle pronunce giurisprudenziali poc’anzi riportate, la questione si rivela connessa con la delicata materia, assai dibattuta, della protezione del patrimonio del debitore nel concordato preventivo, con particolare riguardo alla vexata quaestio se i limiti posti dall’art. 168 L. Fall. e destinati (perlomeno testual­mente) a venir meno con la sopravvenuta definitività del decreto di omologa [34] persistano, invece, anche nella fase successiva, sino a coprire l’intero arco temporale delle operazioni di esecuzione del piano concordatario [35]. La risposta a tale interrogativo richiede all’interprete di operare una lettura del­l’art. 168 L. Fall. attraverso i successivi artt. 184 e 186 L. Fall., anche per poterne offrire una interpretazione sistematica. Occorre allora indirizzare l’indagine alla fase volta ad attuare la proposta di concordato, c.d. “fase esecutiva” del concordato preventivo (art. 185 L. Fall.), muovendo dagli effetti del concordato omologato (art. 184 L. Fall.), in particolare per quanto concerne la stabilizzazione del vincolo che l’accordo concordatario viene a creare, da cui la modifica dei rapporti obbligatori tra debitore e creditori concordatari e gli effetti che ne derivano, sino alla eventuale “fase patologica”, conseguenza dell’i­nadempimento degli obblighi concordatari, il cui rimedio è costituito dall’azione di risoluzione (art. 186 L. Fall.). Dunque, com’è noto, il sistema normativo vigente prevede che il concordato omologato diviene obbligatorio per tutti i creditori il cui titolo del loro credito fosse anteriore alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso contenente la domanda di concordato (art. 184, 1° comma, L. Fall.) e deve essere eseguito secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione (art. 185 L. Fall.), mentre la tutela dei creditori sarebbe assicurata attribuendo al commissario giudiziale il potere di sorveglianza sull’adempimento del concordato (art. 185, 1° [continua ..]


5. (Segue): la posizione dei creditori successivi

Non tutti i creditori sono però vincolati dall’art. 184 L. Fall.: trattasi dei creditori per causa posteriore alla domanda di pubblicazione del concordato, compresi quelli divenuti tali successivamente all’omologazione del concordato, quindi nel corso dell’esecuzione della procedura, le cui pretese sarebbero prededucibili in caso di successivo fallimento (art. 111, 2° comma, L. Fall.), in quanto crediti sorti “in occasione o in funzione” del concordato. Tali creditori non subiscono alcun effetto modificativo dei propri diritti, salvo quelli connessi al vincolo di destinazione che viene impresso ai beni di cui il piano concordatario prevede la cessione [56], per cui hanno diritto all’integrale soddisfazione delle loro ragioni creditorie [57]. Ebbene, in relazione a tali creditori viene sostenuto che, non valendo i vincoli di cui all’art. 184 L. Fall., non siano precluse azioni esecutive individuali e giudiziali per il soddisfacimento del loro credito [58], quand’anche si tratti di concordato con cessione dei beni [59]; di conseguenza, una volta divenuto definitivo il provvedimento di omologa potrebbero agire “in executivis” sul patrimonio del debitore, anche sui beni destinati ai creditori concorsuali [60], chiedendo in caso di esecuzione infruttuosa il fallimento del debitore [61]. A tale tesi se ne contrappone però un’altra, secondo la quale l’art. 184 L. Fall. sarebbe comunque applicabile, in virtù dell’argomento della funzionalità di detti crediti all’attuazione della procedura; per siffatta ragione tali creditori non possono compiere atti volti a disperdere il patrimonio del debitore e ad ostacolare la realizzazione del piano concordatario, aggredendo il patrimonio “segregato” e ledendo la par condicio dei creditori concorsuali [62]. Si ritiene pertanto di dover condividere l’orientamento secondo il quale i creditori divenuti tali successivamente all’omologazione del concordato, pur non subendo alcun effetto modificativo dei propri diritti, potrebbero far valere le loro pretese soltanto su quella parte del patrimonio del debitore concordatario non destinata ai creditori concorsuali (rectius, sul patrimonio “non segregato”), ovvero, ove esistenti, sui beni sopravvenuti all’impresa in concordato [63], potendo eventualmente chiedere, in caso di [continua ..]


6. Sulla necessità della previa risoluzione del concordato per la (successiva ed eventuale) dichiarazione di fallimento del debitore concordatario

La possibilità di dichiarare il fallimento del debitore concordatario in assenza di una preventiva risoluzione del concordato, presuppone inoltre un’indagine volta ad appurare se, nella legge fallimentare vigente, vi siano disposizioni che consentano, in assenza di una pronuncia di risoluzione del concordato, di dichiarare il fallimento del debitore “autonomamente” e non “in consecuzione”. Sul piano motivazionale appare infatti costante, nella giurisprudenza di legittimità e di merito, l’affermazione secondo la quale non vi sarebbe nessuna disposizione che, nell’attuale sistema della legge fallimentare, imponga la risoluzione del concordato preventivo quale presupposto per la declaratoria di fallimento [65]. Cosicché sarebbe percorribile un doppio binario, l’uno tracciato dalla norma di cui all’art. 186 L. Fall., l’altro da quella dell’art. 6 L. Fall. Al riguardo occorre anzitutto rilevare che le due norme sono legate dal binomio lex generalis lex specialis: invero, la norma di cui all’art. 186 L. Fall. si pone in rapporto di specialità rispetto al disposto di cui all’art. 6 L. Fall., il quale trova applicazione solo in mancanza di una legge speciale che disponga diversamente [66]. Non sembra pertanto percorribile per i creditori concorsuali la soluzione di consentire una dichiarazione di fallimento non preceduta dalla risoluzione, anche perché la procedura di fallimento andrebbe a sovrapporsi ad una procedura di concordato ancora pendente [67]. Di conseguenza, anche per una questione di geometria del sistema, non sarebbe possibile aprire la strada ad iniziative fallimentari dirette una volta omologato il concordato preventivo, senza il previo passaggio della risoluzione del concordato da parte dei creditori concorsuali [68]. È tuttavia noto che, in senso contrario, viene invocata una risalente pronuncia della Corte costituzionale [69] secondo la quale una interpretazione costituzionalmente orien­tata delle norme di cui agli artt. 137, 184 e 186 L. Fall. consentirebbe al giudice di verificare se l’inadempimento dei crediti anteriori, ferma restando l’obbligatorietà della falcidia, possa qualificarsi come insolvenza, con conseguente possibile “autonoma” dichiarazione di fallimento e non soltanto “in [continua ..]


NOTE