Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Il procedimento di apertura della liquidazione controllata (di Giuseppe Rana, Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Trani)


L’introduzione della liquidazione controllata nel corpo del codice della crisi e dell’in­solvenza comporta l’assoggettamento del nuovo istituto ai principi generali regolati dallo stesso codice ed al procedimento unitario per l’accesso alle procedure di insolvenza. Si esaminano le numerose problematiche teoriche e pratiche in punto di presupposti oggettivi e soggettivi di accesso, ricorso del debitore e del creditore, documentazione probatoria, coordinamento tra domande contrapposte, regole di istruzione e decisione, misure protettive ed impugnazioni.

The opening procedure for controlled winding-up in the code of business crisis and insolvency

The introduction of controlled winding-up in the body of the Code of Business Crisis and Insolvency entails the subjection of this new proceeding to the general principles regulated by the Code and to the unitary procedure for access to insolvency proceedings. Numerous theoretical and practical issues are examined in terms of objective and subjective prerequisites for access, debtor’s and creditor’s appeal, evidentiary documentation, coordination between opposing claims, rules of collection of evidence and decision, protective measures and appeals.

Keywords: objective and subjective prerequisites – debtor’s and creditor’s appeal – evidentiary documentation – coordination between opposing claims – collection of evidence – decision – protective measures – appeals.

SOMMARIO:

1. Generalità, presupposti di accesso e legittimazione - 2. Il ricorso del debitore ed il ruolo dell’OCC - 3. Il ricorso del creditore, gli oneri probatori e la difesa tecnica (ed assistenza) del debitore - 4. Il concorso di procedure - 5. Il procedimento, le misure protettive e la decisione - 6. La nomina del liquidatore - NOTE


1. Generalità, presupposti di accesso e legittimazione

Il codice regola, nella parte I, titolo V, capo IX, di seguito alla disciplina della liquidazione giudiziale, lo statuto della “liquidazione controllata del sovraindebitato”, che sostituisce, con molte differenze, la precedente disciplina dettata in tema di liquidazione del patrimonio di cui agli artt. 14-ter ss. L. n. 3/2012. Gli altri due istituti del sovraindebitamento (concordato minore e ristrutturazione debiti del consumatore) sono invece affiancati, nella topografia del codice, agli strumenti di regolazione della crisi insieme al concordato preventivo, all’accordo di ristrutturazione dei debiti e al piano attestato. Come vedremo meglio, la collocazione nel codice delle procedure di sovraindebitamento comporta anche la soggezione ai principi generali ed alle definizioni collocate nella primissima parte del codice e, attraverso le disposizioni della parte I, titolo IV, capo II, sezione prima, alle regole del procedimento unitario (artt. 65 e 66 c.c.i.i.), in quanto compatibili. Si vedrà così, ad esempio, che le regole di coordinamento tra istanza di liquidazione controllata del creditore e susseguente domanda di concordato minore o ristrutturazione debiti del consumatore sono disciplinate in modo specifico dall’art. 271, che però dal canto suo rinvia, sempre con clausola di compatibilità, agli artt. da 51 a 55 del codice, che a loro volta disciplinano in via generale le impugnazioni e le misure cautelari e protettive nel procedimento unitario. Si veda poi il richiamo alle regole comuni di competenza di cui all’art. 27, 2° comma, c.c.i.i. operato dall’art. 268, 1° comma. In dottrina si è evidenziato che dietro questo complesso gioco di rinvii [1] e per il fatto stesso dell’inserimento nel codice della crisi della relativa disciplina, emerge un certo rapporto di circolarità, in tema di formalità di apertura, tra questa procedura e quella di liquidazione giudiziale, evidenziato anche dalla stessa topografia del codice sopra ricordata [2] e dalla condivisione di principi e definizioni generali. Per di più lo strumento è ora attivabile anche dai creditori, sia pure entro certi limiti, e si compone, proprio come la sorella maggiore, di una fase di apertura – conclusa con una sentenza collegiale costruita secondo lo schema della corrispondente apertura della liquidazione giudiziale – ed una fase di vera e propria [continua ..]


2. Il ricorso del debitore ed il ruolo dell’OCC

Occorre notare immediatamente che la geometria del procedimento di apertura diverge notevolmente nelle ipotesi in cui ad agire sia un creditore oppure lo stesso debitore, fermo restando che la forma dell’atto introduttivo è sempre quella del ricorso. Non a caso la prima ipotesi è regolata separatamente dall’art. 269 c.c.i.i., il quale dispone che se il ricorso è iniziativa del debitore non è necessaria la difesa tecnica ma (2° comma) al ricorso deve essere allegata una relazione, redatta dall’OCC, che esponga una valutazione sulla completezza e l’attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda e che illustri la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore. La relazione e l’intervento dell’OCC non sono obbligatori in caso di ricorso del creditore: tuttavia dal lato del debitore ricorrente è importante notare che l’art. 268 c.c.i.i. impone dei particolari requisiti di ammissibilità della domanda, tra cui in astratto rientrano anche la stessa presentazione della relazione o la sua completezza, guardando anche a quanto dispone l’art. 269, 2° comma e per converso alle possibili integrazioni successive alla domanda. Senza la relazione il tribunale non potrà esaminare la domanda ma nulla esclude che si possa assegnare un termine sia per depositare la relazione mancante sia per integrarla nel caso di incompletezza o di difetto dei requisiti formali [8]. La relazione, come detto, non è prevista né richiesta nel caso in cui il debitore sia resistente, né sembra convincente la tesi per cui il tribunale dovrebbe nominare un OCC e poi questi avvalersi dei poteri d’indagine di cui agli artt.492-bis c.p.c. e 155-sexies, disp. att. c.p.c. Va poi chiarito che, a differenza di quanto previsto dal codice a proposito del piano di ristrutturazione del consumatore e del concordato minore, nel caso della liquidazione giudiziale vi è una più chiara alternativa per il debitore, il quale può rinunciare alla difesa tecnica, risparmiando i relativi costi, e farsi assistere dal­l’OCC [9]. Poiché sia per la scelta delle iniziative da intraprendere sia per la redazione della relazione di cui al secondo comma sia per il deposito stesso del ricorso occorrono comunque competenze tecniche, è verosimile che nell’ipotesi di ricorso del debitore che [continua ..]


3. Il ricorso del creditore, gli oneri probatori e la difesa tecnica (ed assistenza) del debitore

Detto già degli specifici presupposti oggettivi del ricorso del creditore (insolvenza del debitore e ammontare dei debiti scaduti) e considerato che vi è anche da dimostrare la legittimazione, va ora chiarita la configurazione degli oneri probatori. Riguardo al fallimento ed alla liquidazione giudiziale opera la regola secondo cui è ritenere gravante sull’imprenditore, onerato della prova del fatto costitutivo della domanda di autofallimento, la dimostrazione della sussistenza di almeno uno dei requisiti dimensionali normativamente considerati ai fini della fallibilità: il che equivale a dire il superamento di almeno una delle soglie storiche di ricavi lordi, attivo patrimoniale e debiti. Infatti è da tempo ius receptum che gli artt. 1 e 14 L. Fall. erano espressione di un meccanismo simmetrico, nel senso che nel caso del fallimento richiesto da un creditore era l’imprenditore a dover provare l’inesistenza congiunta di tutti i presupposti dimensionali della fallibilità; invece il debitore ricorrente doveva provare l’esistenza di almeno uno dei presupposti per la fallibilità. In pratica ciò equivale a dire che la fattispecie di cui all’art. 1 L. Fall. si atteggiava a fatto impeditivo quando a ricorrere era il creditore ed in tal caso occorreva l’ecce­zione del debitore; si atteggiava in un certo modo a fatto costitutivo quando a ricorrere era lo stesso debitore, con la ricaduta su di lui del relativo onere probatorio. Ciò si ricollegava peraltro al fatto che la fattispecie di esenzione di cui all’art. 1 L. Fall. non era disponibile, sicché, anche per evitare abusi, occorreva pur sempre dimostrare tutti i fatti costitutivi della domanda. La prospettiva è del tutto nuova quando si tratta di liquidazione controllata, atteso che entra in gioco la nuova nozione di impresa minore di cui all’art. 2, 1° comma, lett. d), c.c.i.i. rispetto a quanto prevedono gli artt. 121 e 268. La formulazione dell’art. 121 c.c.i.i., ricopiata dall’art. 1 L. Fall., fa ancora riferimento, beninteso per la liquidazione giudiziale, all’assenza dei requisiti dimensionali di cui all’art. 2, ossia quelli dell’impresa minore, benché essa non venga nominata espressamente. Dunque, se nulla cambia rispetto agli oneri probatori in ambiente di liquidazione giudiziale, la novità epocale è che, mentre con la [continua ..]


4. Il concorso di procedure

L’attribuzione della legittimazione non solo al debitore medesimo ma anche, seppur entro limiti precisi, ai creditori [17] pone per la prima volta, nel sistema delle procedure minori [18], il problema della definizione delle opportune regole di coordinamento [19]. Potrebbero ben contrapporsi, ad esempio, domanda di liquidazione del creditore e domanda di omologazione di concordato minore: anzi, dato il particolare regime di legittimazione assegnato all’imprenditore agricolo, si è sostenuto che potrebbe darsi perfino un concorso tra liquidazione controllata e richiesta di omologa degli accordi di ristrutturazione proposto dall’imprenditore agricolo ex art. 57 c.c.i.i. [20]. Ciò detto, l’art. 270 c.c.i.i. prevede al primo comma che il tribunale, in assenza di domande di accesso alle procedure di cui al titolo IV e verificati i presupposti di cui agli articoli 268 e 269, dichiara con sentenza l’apertura della procedura della liquidazione controllata: evidente è anche in questo caso, in conformità con l’art. 7 c.c.i.i., l’imposizione per legge di un criterio di coordinamento che prevede da un lato l’iscrizione delle procedure nell’unico contenitore processuale secondo le regole comuni e dall’altro la trattazione prioritaria delle domande alternative alla liquidazione controllata. L’art. 271, 1° comma, a sua volta, prevede che se la domanda di liquidazione controllata è proposta dai creditori [21] e il debitore chiede l’accesso a una procedura di cui al capo II del titolo IV, il giudice concede un termine per l’integrazione della domanda. Il secondo comma chiarisce, ove ve ne fosse bisogno, che alla scadenza del termine di cui al 1° comma, senza che il debitore abbia integrato la domanda, ovvero in ogni caso di mancata apertura o cessazione delle procedure di cui al capo III del titolo IV, il giudice provvede ai sensi dell’articolo 270, commi 1° e 2° ossia a decidere sulla domanda di liquidazione. È evidente il tentativo di articolare, sebbene nel perimetro dei principi di trattazione prioritaria di cui all’art. 7 c.c.i.i. [22], una disciplina più semplificata rispetto ai procedimenti di apertura “maggiori”, attualmente governati, nel loro coordinamento, dall’art. 49 e dai nuovi ultimi due commi dell’art. 40 c.c.i.i. introdotti dal decreto Insolvency. [continua ..]


5. Il procedimento, le misure protettive e la decisione

Il richiamo alle disposizioni comuni in materia di procedimento unitario operato dall’art. 270, 5° comma e dal 2° comma dell’art. 65 c.c.i.i. [33], in quanto compatibili, vale di per sé a far ritenere che trovano applicazione le regole sulla giurisdizione di cui all’art. 26 c.c.i.i. e le regole di competenza di cui all’art. 27, 2° comma, L. Fall., aventi peraltro natura funzionale e inderogabile, mentre trova applicazione anche il successivo art. 28 in materia di trasferimento infrannuale del centro degli interessi principali [34]. Il procedimento, stante il richiamo al procedimento unitario, si fonda sul riferimento al rito della liquidazione giudiziale attraverso la disposizione di cui all’art. 7, 1° comma, ultimo periodo, che rimanda appunto agli artt. 40 e 41 c.c.i.i. [35]. Valgono quindi in generale tutte le considerazioni di ius receptum valevoli per l’apertura della liquidazione giudiziale e, prima ancora, per l’istruttoria prefallimentare, in materia di oggetto, natura e struttura del giudizio e di regole in punto di prove, di notificazione al debitore e spese. Tuttavia i percorsi procedurali sono piuttosto diversi a seconda che il ricorso provenga da un creditore o dallo stesso debitore. In quest’ultimo caso la dottrina esclude intanto la celebrazione necessaria di un’udienza [36]. Dello stesso avviso pare la prima giurisprudenza formatasi sotto il codice [37], la quale argomenta condivisibilmente che dagli artt. 40 e 41 c.c.i.i. non si desume che l’udienza di convocazione delle parti sia necessaria anche nel caso di ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale depositato dall’imprenditore, con la conseguenza che si può dare continuità all’orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione all’art. 14 L. Fall., secondo cui il procedimento promosso dal debitore diviene contenzioso in senso proprio, e richiede quindi la convocazione delle parti, solo nell’ipotesi in cui siano individuabili specifici contraddittori [38]. L’udienza andrà invece celebrata nel caso di ricorso del creditore, secondo le disposizioni di cui agli artt. 40 e 41, tenendosi presente che ove si tratti di persona fisica non esercente attività di impresa la notificazione di regola non avverrà a mezzo PEC ma con le modalità di cui all’art. 40, 8° comma, c.c.i.i. Si [continua ..]


6. La nomina del liquidatore

L’art. 270, 2° comma, lett. b), c.c.i.i. prevede poi che Tribunale nomina il liquidatore, confermando, in caso di domanda presentata dal debitore, l’OCC di cui all’art. 269 o, per giustificati motivi, scegliendolo nell’elenco dei gestori della crisi di cui al decreto del Ministro della Giustizia 24 settembre 2014, n. 202. In questo ultimo caso la scelta è effettuata di regola tra i gestori residenti nel circondario del tribunale competente e l’eventuale deroga deve essere espressamente motivata e comunicata al presidente del tribunale. Si tratta di una scelta significativa di discontinuità rispetto alla L. n. 3/2012 ed alle prassi di molti tribunali, dimostratisi restii ad affidarsi ad un soggetto che non dimostri in radice una significativa indipendenza rispetto alla parte debitrice: discontinuità già segnata efficacemente dalla disposizione generale di cui all’art. 65, 3° comma. Il collegio dovrà pertanto motivare in modo espresso le ragioni per le quali discostarsi dalla conferma del gestore nel ruolo di liquidatore, specie con riferimento alla necessità di una maggiore equidistanza dalle parti. Si potrebbe pensare anche al fatto che la procedura liquidatoria debba passare attraverso complesse attività richiedenti competenze processuali che non appartengono ad esempio, ad un dottore commercialista, così come l’ipotesi inversa in cui prevalga l’attività di liquidazione di beni immobili, richiedendosi così le competenze tipiche del delegato alle vendite. Sembra altresì rientrare nel perimetro della norma anche la nomina, in casi eccezionali di un collegio di liquidatori, ove la complessità delle operazioni e la complessità e diversità delle professionalità lo richiedano. È superfluo osservare che la regola della conferma del gestore quale liquidatore non opera nel corso di ricorso dei creditori, atteso che in questo caso non è necessario rivolgersi all’OCC [39].


NOTE