Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Contratti pendenti nel diritto della crisi di impresa e dell'insolvenza: riflessioni sulla clausola arbitrale (di Daniele U. Santosuosso)


Il presente lavoro prende in considerazione il tema della clausola arbitrale e più in generale della convenzione arbitrale nel diritto concorsuale, nell’ambito sistematico dei contratti pendenti. L’autore propone un approccio sistematico dalle ricadute applicative, per quanto riguarda la liquidazione giudiziale, sul procedimento (ponendosi il tema della interruzione o della improponibilità della domanda) e sulla decisione arbitrale (affrontando il tema della opponibilità e improcedibilità del lodo rispetto alla massa); per quanto riguarda gli strumenti di regolazione della crisi e in particolare il concordato, sulla convenzione arbitrale a seconda che sia stipulata prima e dopo l’apertura della procedura.

Pending contracts in business crisis and insolvency law: reflections on the arbitration clause

This paper analyzes the issue of the arbitration clause and more generally of the arbitration agreement in crisis and insolvency law, in the systematic context of pending contracts. The author proposes a systematic approach with applicative repercussions, (i) with regard to judicial liquidation, on the procedure (focusing on the interruption or inadmissibility of the application) and on the arbitration decision (addressing the issue of the enforceability and improcedibile of the award with respect to the mass); (ii) with regard to the instruments for regulating the crisis and in particular to the composition with creditors, on the arbitration agreement depending on whether it is stipulated before and after the opening of the procedure.

SOMMARIO:

1. Premessa. Peculiarità della fattispecie. - 2. Liquidazione giudiziale, convenzione arbitrale e procedimento arbitrale (come processo privato). La norma sulla clausola arbitrale (art. 83 bis l.fall. e oggi art. 192 CCII) come norma “bicefala”, frutto delle spinte contrapposte dell’autonomia privata-negoziale da un lato e del diritto delle procedure concorsuali e di regolazione della crisi dall’altro. - 3. (segue). Ricadute sistematiche dell’inquadramento proposto. Ambito di applicazione della normativa. Procedure concorsuali. Cause passive e cause attive. - 4. Liquidazione giudiziale, convenzione arbitrale e decisione arbitrale. L’evento interruttivo verificatosi in pendenza di arbitrato non determina l’interruzione del procedimento, ma l’improcedibilità della domanda svolta. - 5. (segue). Convenzione arbitrale e decisione arbitrale. Opponibilità e improcedibilità del lodo rispetto alla massa. Pronuncia e passaggio in giudicato del lodo arbitrale. Lodo parziale. Lodo di condanna generica. - 6. Concordato preventivo e clausola arbitrale. La convenzione arbitrale stipulata dopo l’apertura della procedura. La convenzione arbitrale stipulata prima dell’apertura della procedura. Altri strumenti di regolazione della crisi. Piani di risanamento. Accordi di ristrutturazione


1. Premessa. Peculiarità della fattispecie.

Il tema della clausola arbitrale e più in generale della convenzione arbitrale nel diritto concorsuale assume una collocazione affatto peculiare nell’ambito sistematico dei contratti pendenti nelle procedure di regolazione della crisi, posto invero alla, non sempre pacifica, confluenza di tre ordinamenti giuridici, il diritto dei contratti, il diritto dell’arbitrato e quello concorsuale. Inoltre esso può essere più utilmente analizzato distinguendo i due piani generali del procedimento arbitrale e della decisione arbitrale; e assumendo una diversa prospettiva a seconda del contesto concorsuale, ossia che si tratti della procedura di liquidazione giudiziale o invece di una delle altre procedure concorsuali o paraconcorsuali[1].   * Il presente scritto, rivisitato anche nelle note, trae origine dalla Relazione al Convegno I contratti pendenti nelle procedure di soluzione della crisi e dell’insolvenza tenutosi a Roma il 17 dicembre 2021 confluita nel relativo volume (Pisa, 2022), ed è destinato agli scritti “Colloqui sul diritto con Agostino Gambino”.   [1] Preciso che quanto verrà detto a proposito dell’arbitrato può valere anche per l’arbitrato societario (di cui agli artt. 34 ss. del d.lgs. n. 5/2003), atteso che la componente istituzionale e quindi cogente dal punto di vista procedimentale che caratterizza quest’ultimo non è in grado di sminuire quella privatistica tanto da richiedere una diversificazione ai fini della presente analisi.


2. Liquidazione giudiziale, convenzione arbitrale e procedimento arbitrale (come processo privato). La norma sulla clausola arbitrale (art. 83 bis l.fall. e oggi art. 192 CCII) come norma “bicefala”, frutto delle spinte contrapposte dell’autonomia privata-negoziale da un lato e del diritto delle procedure concorsuali e di regolazione della crisi dall’altro.

Sotto il profilo del procedimento arbitrale la disciplina che riguarda gli effetti del fallimento/liquidazione giudiziale - sul procedimento - appare emblematicamente il prodotto della contrapposizione e difficile composizione degli interessi in gioco tra diritto comune dei contratti e dell’arbitrato da una parte e diritto concorsuale dall’altra; specchio a sua volta delle contrastanti spinte dell’autonomia privata-negoziale e del diritto delle procedure concorsuali e di regolazione della crisi, procedure tutte con diversa - ma pur sempre presente - ispirazione autoritativo-procedimentale. La norma di riferimento (sulla “clausola arbitrale” già contenuta nell’art. 83-bis legge fall., esportato con formulazione identica nell’art. 192 Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza[1]) prevede che il procedimento arbitrale pendente alla data del fallimento oggi liquidazione giudiziale non possa essere proseguito qualora il contratto in cui è contenuta la clausola arbitrale sia sciolto. A contrario il procedimento arbitrale sopravvive ove il contratto non si sciolga. La norma si presenta “bicefala”: da un lato pienamente attuativa dell’autonomia privata contrattuale, dall’altro lato appare comprimere quest’ultima. Invero, e nella prima direzione, si pone una regola di correlazione o accessorietà della clausola arbitrale al contratto cui accede, nel senso di rispettare l’unitarietà e quindi la pienezza del consenso così come originariamente composto e confezionato al perfezionamento del negozio, nella inscindibilità delle “clausole” private tutte, se contenute in un unico programma negoziale laddove tale programma (“patrimonio” del debitore e dell’impresa) sopravviva al fallimento/liquidazione giudiziale o alla volontà del curatore. In questa prospettiva la disciplina non consente di incidere sul rapporto pendente - né sul contenuto del relativo contratto - di cui alla lite (e ciò, vale la pena dirlo, a salvaguardia tanto del debitore fallito/in liquidazione giudiziale quanto del contraente in bonis). In linea di principio infatti una convenzione arbitrale - che acceda a un arbitrato rituale o a un arbitrato irrituale: la norma non distingue - stipulata dal debitore in bonis è opponibile al fallimento/liquidazione giudiziale: per cui il curatore che voglia iniziare o [continua ..]


3. (segue). Ricadute sistematiche dell’inquadramento proposto. Ambito di applicazione della normativa. Procedure concorsuali. Cause passive e cause attive.

Nel tracciato ordine di idee, dell’ambivalenza della normativa, trova giustificazione l’assunto per cui la disciplina sulla clausola arbitrale si applica alle procedure concorsuali dove minore è l’ampiezza della sfera privatistica e pertanto il grado di tutela dell’autonomia privata del debitore, e quindi a quelle liquidatorie (anche alla l.c.a. quindi, grazie all’espresso richiamo all’art. 201 legge fall. e alla liquidazione controllata per il rinvio che oggi fa il 270 comma 6 CCII.) o conservative ma “con vista sulla liquidazione” (l’amministrazione straordinaria, grazie al rinvio di cui all’art. 36 del d. lgs. n. 270/99)[1]. Ed è pure comprensibile che invece la predetta disciplina non si applichi a quelle procedure dove gli interessi privatistici sono maggiormente tutelati: così per la procedura di concordato preventivo, in relazione alla quale non soltanto non si verifica “lo spossessamento” dei beni del debitore e quindi quella indisponibilità da parte del debitore del proprio patrimonio[2] ma non sono richiamati gli artt. 51 e 83-bis legge fall., e vale la regola – immutata nella formulazione dell’art. 97, commi da 8 a 13, CCII - dell’art. 169 bis, comma, comma 3, legge fall. per cui lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta. Nella prospettiva indicata si spiega ancora che da un canto, per le cause passive, l’accordo arbitrale concluso prima del fallimento/liquidazione giudiziale è inopponibile al curatore in ragione di altro principio di procedura, quello dell’inderogabilità della norma sul rito dell’accertamento del passivo “che ha forza attrattiva” al foro concorsuale e che comporta quindi che la cognizione delle relative domande sia attratta dalla competenza naturale del giudice del concorso (principio cardine che ruota intorno all’art. 24 legge fall. 27 CCII)[3]; e si spiega che, d’altro canto e per converso, la possibile opponibilità della convenzione arbitrale alla procedura (e quindi fuori dal contesto processuale concorsuale) operi soltanto in relazione alle cause attive promosse o proseguite dal curatore volte ad incrementare la massa mediante recupero di beni e diritti appartenenti al debitore, a tutela sempre dei creditori: così, ove la curatela attrice agisca per riscuotere un credito derivante da [continua ..]


4. Liquidazione giudiziale, convenzione arbitrale e decisione arbitrale. L’evento interruttivo verificatosi in pendenza di arbitrato non determina l’interruzione del procedimento, ma l’improcedibilità della domanda svolta.

Veniamo al secondo profilo, quello della sorte della decisione arbitrale. Mentre nel caso della convenzione arbitrale in un contratto la regola sopra illustrata di correlazione vincola all’unitarietà nel senso vincolare le scelte del curatore segnando la sorte del procedimento arbitrale prima che esso nasca, ove tale procedimento sia già incardinato può entrare in rotta di collisione con la procedura concorsuale “liquidatoria”: laddove il provvedimento di avvio della procedura subentri prima della fine del procedimento arbitrale si accede ad un altro campo problematico, riassumibile nella questione della opponibilità alla massa del lodo ove successivo appunto alla dichiarazione di apertura della procedura. In tale ordine di casi, non potendosi più risolvere il problema “alla radice” attivando o meno il processo arbitrale, occorre governarne gli esiti e i correlativi effetti che esso abbia già prodotto. È noto dalla disciplina generale (di cui all’art. 300 c.p.c.) che se l’evento interruttivo determinante la perdita della capacità di agire della parte (dichiarato in udienza o notificato alle controparti) si avvera o viene notificato dopo la chiusura della discussione davanti al collegio (i.e. dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni)[1], esso non produce effetto se non in caso di riapertura dell’istruttoria. Ed è altresì noto che tale disciplina è derogata, in ambito fallimentare/liquidatorio, dall’art. 43, comma 3, legge fall. e 143, comma 3, CCII, in virtù del quale l’apertura della procedura determina ipso iure l’interruzione del processo senza che sia necessaria alcuna attività di parte o del procuratore. Su tale terreno normativo si inserisce la disciplina ulteriormente speciale di cui all’art. 816-sexies, c.p.c. in virtù della quale se la parte viene meno per morte o altra causa, ovvero perde la capacità legale, gli arbitri assumono le misure idonee a garantire l’applicazione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio e possono a tal fine sospendere il procedimento. La ratio è quella di consentire la ricostituzione della bilateralità o pluralità del processo in modo da garantire l’effettività del contraddittorio nell’interesse della parte colpita dall’interruzione. In assenza di una norma [continua ..]


5. (segue). Convenzione arbitrale e decisione arbitrale. Opponibilità e improcedibilità del lodo rispetto alla massa. Pronuncia e passaggio in giudicato del lodo arbitrale. Lodo parziale. Lodo di condanna generica.

Volendo ora concentrare l’attenzione sull’opponibilità del lodo rispetto al fallimento/liquidazione giudiziale (rectius alla massa), parte della dottrina ha fatto correttamente notare come sia difficile negare che il lodo, emesso prima della dichiarazione della procedura, e poi passato in giudicato per il mancato esperimento dell’impugnazione per nullità – così come avviene per le sentenze passate in giudicato[1] – sia destinato a produrre pienamente effetto nei confronti della massa dei creditori (salva la possibilità per quest’ultimi di impugnarlo per revocazione con opposizione di terzo ove sia stato l’effetto di dolo o collusione a loro danno). Diversamente, il credito portato nel lodo pronunciato prima del fallimento/liquidazione giudiziale ma non ancora passato in giudicato può essere ammesso con riserva ai sensi degli artt. 96, comma 3, n. 3, legge fall. e 204, comma 2, lett. c) CCII (salva la possibilità per il curatore di impugnare o proseguire l’impugnazione ove già pendente)[2]. Anche in tal caso trova attuazione a mio avviso il principio del buon andamento della procedura a vantaggio della stessa. Schematicamente si può dunque affermare che (i)       se il lodo arbitrale emesso prima della dichiarazione di fallimento/liquidazione giudiziale è già passato in giudicato (dunque non è più impugnabile per nullità), esso è opponibile alla massa; (ii) se il lodo arbitrale emesso prima della dichiarazione di fallimento/liquidazione giudiziale è ancora passibile di impugnazione o la sua validità è già sub iudice, il credito portato in detto lodo può essere opponibile alla massa ma deve essere ammesso con riserva ai sensi degli artt. 96, comma 3, n. 3, legge fall. e 204, comma 2, lett. c) CCII e tale riserva verrà sciolta all’esito del relativo giudizio; (iii) in ogni caso il lodo arbitrale emesso dopo la dichiarazione di fallimento/liquidazione giudiziale rende improcedibili le domande svolte verso il soggetto fallito/in liquidazione giudiziale: l’improcedibilità poggia, come detto, sulla vis attractiva del tribunale fallimentare e dunque sull’esigenza di assicurare, nel simultaneus processus, la par condicio creditorum (principio generale ex art 52 legge fall. e art. 151 CCII applicabile non solo per il [continua ..]


6. Concordato preventivo e clausola arbitrale. La convenzione arbitrale stipulata dopo l’apertura della procedura. La convenzione arbitrale stipulata prima dell’apertura della procedura. Altri strumenti di regolazione della crisi. Piani di risanamento. Accordi di ristrutturazione