Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Il piano di risanamento nel codice della crisi e dell´insolvenza: finalità e struttura, con una nota Su qualche aporia normativa * (di Giuseppe Fauceglia, Professore ordinario di Diritto commerciale nell’Università degli Studi di Salerno)


Lo scritto analizza i profili del Piano di risanamento nel Codice della crisi e dell’insolvenza, esaminando le novità introdotte e valorizzando lo strumento nel contesto del superamento della crisi dell’impresa, in ciò delineando le differenze rispetto agli strumenti negoziali soggetti ad omologazione. Vengono, altresì, esaminati gli itinerari della giurisprudenza in tema di valutazione del Piano ai fini sia dell’esenzione da revocatoria degli atti compiuti in sua esecuzione sia della prededucibilità per i crediti dei professionisti che hanno collaborato con il debitore nella fase predispositiva, delineando le differenze riscontrabili tra la legge fallimentare e il Codice della crisi e dell’insolvenza. Particolare attenzione viene data al profilo negoziale del Piano, alla sua struttura e alle finalità che con lo strumento in oggetto il legislatore ha inteso valorizzare.

The following paper analyses the profiles of the Recovery Plan in the Code of the Crisis and Insolvency, by examining the innovation introduced and by valorising the instruments in the context of overcoming the economic crisis, with an outline on the different negotiated instruments that are subject to homologation. Furthermore, the jurisprudence paths in the field of valuation of the Plan are examined, whose aims are both the exemption from revocatory proceedings of performed acts when executed and the pre-deductibility of the claims of the practitioners, who have collaborated with the debtor in the pre-organized phase by defining the verifiable differences between the Bankruptcy Law and the Code of the Crisis and Insolvency. Major attention is put on the negotiated profile, the structure and the aims of the Plan the aims which the legislator desired to valorise.

Keywords: corporate crisis – recovery plans – Insolvency Code

SOMMARIO:

1. L’espressione “strumenti negoziali stragiudiziali”: la nuova terminologia del Codice della crisi - 2. L’utilizzo dello strumento in caso di insolvenza - 3. Il Piano nelle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi - 4. La compatibilità con finalità liquidatorie - 5. La struttura negoziale del Piano - 6. Le questioni sulla prededucibilità del credito dei professionisti incaricati per la predisposizione del Piano: il perimetro della “concorsualità” - 7. Il controllo “idoneità-inidoneità” del Piano e l’esenzione da revocatoria nel contesto della legge fallimentare - 8. Il contenuto del Piano e la data certa - 9. La conformazione dell’esenzione da revocatoria nel Codice della crisi: conseguenze - 10. Il Piano di ristrutturazione del gruppo e delle imprese del gruppo - NOTE


1. L’espressione “strumenti negoziali stragiudiziali”: la nuova terminologia del Codice della crisi

Il Codice ha disciplinato nel Titolo IV, Capo I, Sezione I e Sezione II gli strumenti negoziali di regolazione della crisi d’impresa, con rinvio ad altre disposizioni relative all’esenzione degli atti compiuti in “esecuzione” da azione revocatoria (art. 166) e da responsabilità penale (art. 324), in una prospettiva per quanto riguarda i Piani di risanamento, per altro, già introdotta nell’ordinamento concorsuale italiano dalla riforma del 2005, e, nella prospettiva della sanzione penale, novellata dalla L. n. 122/2010 e dalla L. n. 134/2012 [1]. Invero, la disposizione dell’art. 56 sul piano attestato di risanamento ha ora assegnato allo strumento una autonomia, ed una certa organicità e completezza, che non era possibile rinvenire nell’art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall., che lo disciplinava nel solo ambito delle disposizioni relative alla revocatoria fallimentare, in tal modo manifestando come il piano resti caratterizzato da una rilevanza ben più ampia di quella connessa alla mera esenzione da revocatoria [2]. Innanzi tutto, è evidente una innovazione terminologica o lessicale, che non può restare confinata nell’universo semantico del Codice, ed infatti la Sezione I del Capo I del Titolo IV definisce gli accordi come “strumenti negoziali stragiudiziali”, con ciò volendo valorizzarne la natura squisitamente negoziale (contrapponendola all’altra categoria, quella degli strumenti negoziali stragiudiziali soggetti ad omologazione), così facendoli rientrare nella sfera dell’autonomia privata, la quale si traduce nell’attività esclusivamente riconosciuta al debitore che si risolve nella “predisposizione di un piano, rivolto ai creditori, che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria” dell’impresa (art. 56). Invero, il Codice utilizza il termine “strumenti negoziali”, con ciò superando quella certa timidezza terminologica che aveva caratterizzato le riforme della legge fallimentare, laddove il “negozio” (come manifestazione dell’autonomia privata) non è mai evocato esplicitamente, preferendo ricorrersi ad altre endiadi linguistiche, quali quella rinveniente nel 1° comma dell’art. 160 L. Fall. (“l’imprenditore che si trova in [continua ..]


2. L’utilizzo dello strumento in caso di insolvenza

Pare opportuno evidenziare come il Piano di risanamento possa essere utilizzato nelle situazioni di crisi o di insolvenza, e ciò viene esplicitato proprio dal 1° comma dell’art. 56, con la conseguenza che ormai risulterebbero privi di fondamento i rilievi – manifestati nel contesto della legge fallimentare – secondo cui non era possibile ricorrere allo strumento quando l’impresa veniva a trovarsi in una situazione di insolvenza, confinandolo alle sole ipotesi di crisi transitoria o temporanea. L’art. 56, utilizzando il termine “insolvenza” (come definita dall’art. 2, 1° comma, lett. b), implica un’evidente omogeneità operativa con gli strumenti negoziali che richiedono l’omologazione: il piano resta (ontologicamente) precluso in ragione della preesistenza di una domanda di accesso alla procedura di liquidazione giudiziale (anche perché gli effetti processuali “concorrenti” con la procedura di liquidazione giudiziale sono previsti solo per l’accordo di ristrutturazione dei debiti e per il concordato preventivo) [4]. Vi è, però, che il risultato appena raggiunto sembra porsi in contraddizione con la successiva espressione utilizzata dal legislatore, a mente della quale il piano è finalizzato “a consentire il risanamento dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria”, e ciò soprattutto con riferimento al sostantivo “riequilibrio”, che si presenta più coerente con la “crisi” piuttosto che con l’“insolvenza”. Invero, lo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del Codice della crisi e dell’insolvenza, all’art. 8 (che modifica l’art. 56), aggiunge all’espressione “equilibrio finanziario” anche l’attributo “economico”, in tal modo volendo meglio caratterizzare lo strumento, non limitandolo alla sola crisi (squilibrio) finanziario e finalizzando ad una più complessiva operazione di ristrutturazione dell’impresa. Proprio l’espressione utilizzata dal legislatore sembra misurare la distanza con gli altri strumenti stragiudiziali soggetti ad omologazione, posto che sia l’art. 57 in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti, sia l’art. 85 in tema di concordato preventivo, indicano lo stato di crisi o di [continua ..]


3. Il Piano nelle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi

Non si può negare che uno dei presupposti di un piano di risanamento può individuarsi in quella inadeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa o nello squi­librio economico-finanziario, che giustificano gli obblighi di segnalazione da parte dell’organo societario di cui all’art. 14, 1° comma; nonché esso può essere predisposto anche in presenza della ricorrenza degli indici previsti per la segnalazione dei creditori pubblici qualificati, di cui all’art. 15. In sostanza, la ricorrenza di queste situazioni può essere il motivo determinante che può indurre il debitore a ricorrere al Piano, quale idoneo strumento per superare le criticità in oggetto; mentre in parte diverso resta il profilo connesso alla utilizzabilità dello strumento nel contesto di una procedura di composizione assistita della crisi, in ragione del 1° comma dell’art. 19, a mente del quale “su istanza del debitore, formulata anche all’esito dell’indicazio­ne di cui all’art. 18, il Collegio OCRI fissa un termine non superiore a tre mesi (nello schema del D.Lgs. integrativo, 90 giorni), prorogabile sino ad un massimo di ulteriori tre mesi (nello schema di d.lgs. sempre 90 giorni) solo nel caso di positivi riscontri sulle trattative, per la ricerca di una soluzione concordata della crisi del­l’impresa, indicando il relatore di seguire le trattative” [14]. Come emerge, dal punto di vista semantico, il piano attestato di risanamento non è (in senso stretto) una soluzione concordata della crisi (nella tradizione del linguaggio concorsuale, quest’ul­tima espressione viene riferita agli accordi di ristrutturazione dei debiti e ai concordati), in ragione del fatto che esso è il frutto esclusivo della volontà predispositiva ed organizzativa dell’imprenditore (tanto che esso può prevedere anche un solo accordo a valle con un creditore strategico), non richiede alcuna percentuale di adesione, non presuppone necessariamente una preventiva negoziazione con i creditori, e resta, in quanto tale, solo rilevante per escludere l’ipotesi revocatoria dei contratti a valle nella successiva insolvenza (oltre che ai fini della responsabilità penale). Invero, però, il 4° comma dell’art. 19 prevede che “l’accordo con i creditori deve avere forma scritta, è depositato [continua ..]


4. La compatibilità con finalità liquidatorie

Altra questione è se il Piano di risanamento possa o meno essere compatibile con opzioni connesse alla liquidazione dell’impresa. Le finalità proprie del Piano sono indicate dall’art. 56 in sostanziale continuità espositiva con l’art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall., nel cui contesto era stato ritenuto che il ricorso allo strumento restasse possibile solo in un quadro di continuità aziendale, in ciò solo giustificandosi l’uni­lateralità del progetto e il complesso, in ipotesi neppure negoziato, dei sacrifici dei creditori [19]. Invero, pur risultando dalla Relazione illustrativa al Codice (sub art. 56) che il Piano è finalizzato all’ipotesi di continuità aziendale (opzione non rinvenibile, ad esempio, negli altri strumenti di soluzione negoziale sottoposti ad omologazione) [20], pare che il predetto risultato interpretativo possa essere (parzialmente) superato in considerazione della previsione di una limitata attività di liquidazione di assets non rilevanti dell’azienda in uno alla continuazione dell’attività, e ciò al fine proprio di realizzare il risanamento [21]. Invero, anche in quest’ultima conformazione, resterebbe fermo il principio che, in una dimensione tipicamente dinamica dell’atti­vità dell’impresa e di riequilibrio della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della stessa, il Piano sia effetto di una gestione che preluda, con il superamento della crisi, alla continuità aziendale (il dibattito antecedente al Codice ha considerato, sia pure implicitamente, come presupposti la sostanziale intangibilità del complesso aziendale e la immutabilità – almeno nell’immediatezza del Piano – dell’as­setto proprietario) [22]. La soluzione resta coerente qualora il Piano si presenti funzionale ed idoneo al superamento di una crisi, ma tale evidenza tende a scolorirsi nel caso in cui lo stesso sia finalizzato ad evitare l’insolvenza, nel qual caso pur essendo evidente che il suo contenuto non possa essere esclusivamente di tipo liquidatorio, non è escluso che lo strumento sia orientato ad una valorizzazione di quegli assets idonei ad accrescere il valore aziendale ai fini di una successiva migliore allocazione sul mercato (essendo, per pacifico riconoscimento, anche detta opzione finalisticamente protesa ad [continua ..]


5. La struttura negoziale del Piano

Per quanto riguarda la struttura negoziale del Piano, pur essendo dato per scontato nella prassi che nella maggioranza dei casi vi sia un preventivo accordo con i creditori ad esso sottostante [24] (per altro, finanche presupposto nel 1° comma, lett. d), che richiama lo stato di “eventuali trattative”), la questione va esaminata alla luce dell’art. 56 del Codice, che indica un elemento che a prima vista potrebbe apparire secondario, e che non è presente nella lettera dell’art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall., ovvero che “il piano è rivolto ai creditori” [25], e ciò significa che non è “proposto” ai creditori in un consequenziale procedimento formativo del consenso, il quale normalmente si sviluppa nell’endiadi proposta-accettazione, con la conseguente formazione di un accordo [26]. Naturalmente, ciò non esclude la circostanza che il piano per trovare attuazione presuppone il compendio attuativo degli atti e dei contratti in esso previsti (dunque, successiva e conseguente attività negoziale), presupposto questo indefettibile per la realizzazione delle finalità connesse allo strumento. Invero, se gli accordi “a valle” possono “spiegarsi” (trovare giustificazione) solo nel contesto del piano (quale elemento affidato alla esclusiva attività predispositiva del debitore) l’elemento negoziale (di programmazione che ricade nel contesto più articolato della “libertà” d’impresa) non può restare svalutato, sino al punto di ritenerlo un semplice “piano aziendale programmatico” [27], né concludere nel senso che la qualificazione come veri e propri atti giuridici collide con la mancanza di obbligatorietà del piano, che non resta vera e propria promessa [28] (opzione che escluderebbe valore negoziale ad un atto di programmazione cui è connessa l’“esecuzione” di atti e negozi che in questo trovano “causa giustificativa”). Non è, poi, senza rilievo il disposto del 6° comma dell’art. 56, a mente del quale “gli atti unilaterali e i contratti posti in essere in esecuzione del piano devono essere provati per iscritto e devono avere data certa”, laddove il termine utilizzato – “esecuzione” – implica proprio la circostanza che, almeno dal punto di vista [continua ..]


6. Le questioni sulla prededucibilità del credito dei professionisti incaricati per la predisposizione del Piano: il perimetro della “concorsualità”

La questione relativa alla valutazione di “meritevolezza” del piano, al fine di assicurare l’idoneità dello stesso alle finalità volute dall’art. 56, 1° comma, si muove nel contesto del Codice in una prospettiva del tutto differente da quanto, invece, poteva trarsi non solo dall’art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall., ma pure dal successivo riconoscimento nel successivo fallimento della prededuzione dei crediti vantati dai professionisti che avevano assistito il debitore nell’attività predispositiva. I profili innanzi considerati si presentano in qualche modo sovrapposti, ma nel­l’impianto del Codice vanno tenuti distinti [34], pur non sottacendo della complessità collegata alla recente conformazione della prededuzione, problematica che non può essere affrontata in questa sede [35]. Come è noto la giurisprudenza di legittimità, con due sentenze rese nello stesso giorno e dallo stesso Collegio, è pervenuta a soluzioni diametralmente opposte in relazione all’individuazione del requisito della prededucibilità dei suddetti crediti professionali. Con la prima, ha ritenuto che il credito sorto in relazione all’attività professionale svolta in funzione della predisposizione, da parte di una società poi fallita, di un piano di risanamento attestato non è prededucibile nel fallimento successivo [36]. Lo sviluppo motivo della sentenza si snoda sulla scorta della negata natura concorsuale del piano in oggetto, che in sostanza: a) non presenta quei presupposti che si devono ritenere caratterizzanti le procedure concorsuali; b) il piano si risolve in atti unilaterali posti in essere dall’imprenditore in esecuzione dello stesso (es. pagamento integrale dei creditori strategici) ovvero in contratti che danno esecuzione al piano conclusi con i creditori (es. pactum de non petendo, datio in solutum, ristrutturazione del credito, concessione di garanzie a fronte di nuove erogazioni); c) non sussiste la necessità di rispettare la par condicio creditorum, potendosi l’esecuzione del piano risolversi in trattamenti differenziati dei cre­ditori. In sostanza, si è ritenuto che il credito del professionista, derivante da attività funzionali all’esecuzione di un “piano di risanamento attestato”, pur se rese in epoca prossima al fallimento e nella consapevolezza [continua ..]


7. Il controllo “idoneità-inidoneità” del Piano e l’esenzione da revocatoria nel contesto della legge fallimentare

Proprio in relazione all’esenzione dalla disciplina della revocatoria fallimentare ed ordinaria, si è registrato un intervento significativo della giurisprudenza, in cui è emerso, nel contesto della legge fallimentare, il profilo riguardante la idoneità del Piano di ristrutturazione a consentire il superamento della esposizione debitoria del­l’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria. In una prospettiva meramente ontologica, può ritenersi che detta valutazione, sia pure estranea al perimetro che caratterizza le fasi processuali dell’ammissibilità e dell’omologa­zione del concordato preventivo o dell’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, si sviluppi lungo le prospettive di controllo sulla “causa concreta” che caratterizza il Piano nella sua natura negoziale (per quanto l’esame poi si sposti dal Piano agli atti compiuti per la sua esecuzione), e tanto in sostanziale continuità con il precipitato valutativo che ha contraddistinto l’esperienza più recente del concordato preventivo nella giurisprudenza di legittimità e di merito [42]. Ciò ha implicato, nel contesto della legge fallimentare, che il Piano possa essere sottoposto ad un giudizio di “liceità”, ovvero che per lo stesso trovi (sia pure indirettamente) applicazione il principio di cui all’art. 1322 c.c., con la conseguente che a fronte della sua evidente inidoneità a realizzare le finalità indicate dalla norma, venga esercitato un giudizio sulla ricorrenza o meno di una causa concreta tutelabile dall’ordinamento (in una valutazione appuntata ex ante, ovvero al momento stesso in cui il Piano è stato predisposto). In sostanza, la locuzione utilizzata dal legislatore “appaia idoneo”, ha disvelato la possibilità di un margine di apprezzamento e di valutazione circa l’ido­neità del Piano stesso a perseguire l’obiettivo del risanamento e del riequilibrio, trasferendo, dappoi, tale valutazione sulla conseguente e discendente attività negoziale che ha dato luogo alla sua esecuzione: anche in tal caso, però, si tratta di un esame che, pur appuntandosi sul profilo “causale” del Piano, conosce concrete conseguenze nella prospettiva propria dell’esenzione da revocatoria, ovvero di inefficacia degli atti [continua ..]


8. Il contenuto del Piano e la data certa

Il Codice, nell’esigenza di delineare un contenuto minimo ed imprescindibile del Piano (art. 56, 2° comma), indica una serie di elementi idonei a predeterminarne le caratteristiche e la funzionalità (nei termini dell’efficienza e dell’efficacia che debbono contraddistinguere tutti gli strumenti predisposti dal legislatore per il superamento della crisi e dell’insolvenza) [50], ciò restando di particolare interesse nella pre­visione dei “tempi” entro cui debbono realizzarsi le attività previste nel piano (il requisito “temporale” può ritenersi, ormai, un dato comune e, per certi versi, imprescindibile di ogni soluzione negoziale della crisi [51]). Dal punto di vista contenutistico, resta di tutta evidenza che la specificazione degli elementi del Piano, ben più ricca ed articolata dalla blanda ed anodina previsione dell’art. 67, 3° comma, lett. d) L. Fall., consenta ora di ritenere che lo stesso si presenta per il suo contenuto omogeneo rispetto a quello indicato nell’art. 85 per il concordato preventivo ed è del tutto simile a quello indicato nell’art. 57 per gli accordi di ristrutturazione dei debiti, che addirittura nel 2° comma prevede che “gli accordi devono contenere l’indicazione degli elementi del piano economico-finanziario che ne consentono l’esecuzione. Il piano deve essere redatto secondo le modalità indicate dall’art. 56” [52]. È prevista, inoltre, l’allegazione, così come per le altre ipotesi di soluzione stragiudiziale della crisi, dei documenti di cui al 1° comma dell’art. 39 (che non a caso è rubricato “Ob­blighi del debitore che chiede l’accesso a una procedura regolatrice della crisi e del­l’insolvenza”). La previsione dell’allegazione non è più proposta nello schema del decreto legislativo recante disposizioni integrative e modificative del Codice, ritenendosi che il contenuto dell’attestazione dovrà necessariamente tener conto, ed allegare, di tutta la documentazione già indicata con il rinvio all’art. 39 (così da evitare inutili duplicazioni). Infine, il Piano, su iniziativa del debitore, può essere pubblicato nel Registro delle imprese (la facoltatività è qui connessa ad un certo grado di riservatezza che può [continua ..]


9. La conformazione dell’esenzione da revocatoria nel Codice della crisi: conseguenze

Così delineato il quadro interpretativo, occorre verificare se il risultato raggiunto dalla giurisprudenza in tema di esenzione da revocatoria nel contesto della legge fallimentare, possa riproporsi nell’ambito del Codice, con particolare riferimento al disposto dell’art. 166, 3° comma, lett. d) ovvero se proprio questa disposizione possa ancora consentire una valutazione del Piano nei termini innanzi enunciati. È opportuno, pertanto, muovere da una serie di considerazioni: l’art. 56 indica un elemento non presente nella lettera dell’art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall., ovvero che “il piano è rivolto ai creditori”, ed in tal modo il legislatore individua in questi i soggetti cui è assegnato il compito, tutto astretto nel contesto dell’autonomia negoziale, di valutare il piano predisposto dall’imprenditore, e qui può richiamarsi quel criterio di diligenza o di “autoresponsabilità” evocato dalla giurisprudenza di legittimità. La ratio della disposizione, se così interpretata, finisce però per perdere ogni rilevanza alla luce della lettera d) del 3° comma dell’art. 166, a mente del quale “gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse sui beni del debitore, posti in essere in esecuzione del piano attestato di cui all’art. 56 e di cui all’art. 284 e in esso indicati. L’esclusione non opera in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore o di dolo o colpa grave del debitore, quando il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell’atto, del pagamento o della costituzione della garanzia. L’esclu­sione opera anche con riguardo all’azione revocatoria ordinaria”. L’innovazione si distacca dalla previgente disposizione in tema di revocatoria fallimentare, che faceva esplicito riferimento al solo effetto esentivo, nel mentre la “diligenza” valutativa dei creditori era richiamata solo in sede di questioni insorte per l’esenzione da revocatoria. È evidente, infatti, che la formula utilizzata devitalizza l’orientamento assunto dalla S.C. in tema di necessaria verifica da parte del creditore sulla manifesta (in)attitudine del piano, posto che l’art. 166 precisa, con funzione escludente di qualsiasi altra fattispecie soggettiva, che l’esenzione da revocatoria non opera nel solo caso di dolo o colpa grave [continua ..]


10. Il Piano di ristrutturazione del gruppo e delle imprese del gruppo

Ultima osservazione, necessariamente sintetica, riguarda il Piano di risanamento per la crisi e l’insolvenza del gruppo, come disciplinato dal 5° comma dell’art. 284 (“Concordato, accordi di ristrutturazione e piano attestato di gruppo”): il piano può assumere la forma unitaria (involgendo cioè tutte le società del gruppo) oppure la forma alternativa di piani reciprocamente collegati o interferenti, rivolti ai creditori delle singole imprese. Il contenuto del piano resta quello di cui all’art. 56, 2° comma, ed identiche anche le finalità ovvero essere “idonei a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria di ciascuna impresa e ad assicurare il riequilibrio complessivo della situazione finanziaria di ognuna” [67]. L’espressione utilizzata fa comprendere che, pur in presenza di un piano unitario per il gruppo, resti la necessità di assicurare il riequilibrio di ognuna delle imprese allo stesso appartenenti, con evidente elisione di quell’interesse complessivo del gruppo che pare caratterizzare il fenomeno corrispondente alla disciplina civilistica. Questo elemento risulta ancor più valorizzato nell’art. 32 dello schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e modificative del Codice della crisi, che, integrando il 5° comma dell’art. 284, prevede che il piano debba indicare, in uno agli altri elementi, “le ragioni di maggiore convenienza della scelta di presentare un piano unitario ovvero piani reciprocamente collegati e interferenti invece di un piano autonomo per ogni singola impresa” (ciò, naturalmente, non escludendo la convenienza di una soluzione complessiva della crisi del gruppo, ma richiedendo per questa opzione una più pregnante valutazione), aggiungendo che deve essere rappresentata “la quantificazione del beneficio stimato per i creditori di ciascuna impresa del gruppo, operata ai sensi del comma 4°”. Orbene, se la distinzione tra l’autonomia delle singole masse attive e passive resta un elemento ritenuto essenziale dal legislatore nell’ipotesi di concordato preventivo e, sia pure con minore intensità, nell’accordo di ristrutturazione dei debiti, non è dato comprendere perché l’interesse della singola impresa debba essere richiamato nel Piano attestato, laddove proprio per le caratteristiche [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3-4 - 2020