Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Alcune riflessioni sulla rilevanza del fenomeno circolatorio delle aziende bancarie in crisi. (di Luigi Scipione, Ricercatore di Diritto commerciale nell’Università di Napoli “Federico II”)


Scopo di questo articolo è di indagare sulle questioni inerenti il regime di responsabilità per i debiti pregressi applicabile al cessionario di un’azienda bancaria sottoposta a risoluzione o ad una procedura ordinaria di insolvenza.

Gli artt. 2558, 2559 e 2560 c.c. e l’art. 58 t.u.b. definiscono in maniera esaustiva se ed in quali limiti il cessionario subentri nelle posizioni attive e passive relative all’azienda “in bonis” ceduta.

Tuttavia, a fronte di un quadro normativo così consolidato, il legislatore ha dedicato alla successione degli enti-ponte nei rapporti con i terzi delle banche poste in liquidazione una disciplina assai peculiare.

Ben consapevoli della difficoltà di enunciare criteri valevoli in generale, l’intento del presente lavoro è di enucleare alcune regole o linee guida di massima alla luce dei clamorosi casi di salvataggio bancario, di cui ancora si avverte l’eco, che hanno riguardato diversi istituti italiani.

Se è certo l’intento generale veicolato da una disciplina siffatta (quello cioè “protettivo” ovvero “eso­nerativo, del soggetto acquirente), meno scontata sembra manifestarsi, invece, la portata effettiva della sottrazione stabilita dalla normativa in questione.

The aim of this article is to investigate issues related to the liability regime for previous debts applicable to the assignee of a bank subject to resolution or to an ordinary insolvency procedure.

The articles 2558, 2559 and 2560 c.c. and the art. 58 t.u.b. define exhaustively if and to what extent the transferee takes over the active and passive positions relating to the “in bonis” company sold.

In the face of such a consolidated regulatory framework, the legislator has dedicated a very peculiar discipline to the succession of bridge entities in relations with third parties of the liquidation banks.

Well aware of the difficulty of enunciating generally valid criteria, the intent of this work is to enumerate some rules or general guidelines in the light of the resounding cases of bank bail out, of which the echo is still felt, which involved several institutions Italian.

Keywords: bridge-institution – sale of business – assignee’s liability – accounting records – esolution – bonds – equity securities – no creditor worse off principle – public interest – compulsory administrative winding up

SOMMARIO:

1. Note preliminari - 2. Sulla portata derogatoria dell’art. 58 t.u.b. e sulla conseguente inapplicabilità dell’art. 2560 c.c. nel trasferimento di azienda bancaria in bonis - 2.1. (Segue): il problema della corretta identificazione dei criteri funzionali ad individuare la responsabilità del cessionario - 3. La misura della responsabilità degli “enti ponte” (e, successivamente, delle banche che ne hanno acquistato il controllo) per le passività anteriori all’apertura della procedura di “risoluzione” - 4. La costituzione degli ente ponte nella risoluzione delle “quattro banche” e l’assenza di alcuna esplicita esclusione delle pretese risarcitorie - 4.1. La fluidità del perimetro della cessione dell’ente-ponte negli orientamenti della giurisprudenza - 4.1.1. (Segue): alcune critiche all’inversione operata dal Tribunale di Milano che disconosce il dato letterale (positivo) adottando una interpretazione in senso negativo (cosa non dice la norma) - 4.1.2. (Segue): ulteriori indici ermeneutici tesi a valorizzare il dato positivo - 4.2. Le ragioni sul piano sistematico tese ad avversare la successione ex lege dell’ente ponte in tutti i debiti pregressi dell’azienda bancaria - 5. La valenza derogatoria del D.L. n. 99/2017 con riferimento alla cessione delle banche venete - 5.1. La portata effettiva della sottrazione delineata dall’art. 3 del D.L. n. 99/2017 - 5.1.1. (Segue): alcune precisazioni in relazione all’ambito di applicazione della disciplina derogatoria del D.L. n. 99/2017 - 5.1.2. (Segue): e sul regime di responsabilità esterna ex art. 2560, 2° comma, c.c. - 5.2. (Segue): un tentativo di ricomposizione del quadro derogatorio - 6. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Note preliminari

Il fenomeno della cessione d’azienda risulta doppiamente caratterizzato: sul piano funzionale dall’attuare la sostituzione di un soggetto all’altro nell’esercizio del­l’attività; e sul piano oggettivo, dal disporre il trapasso di un complesso di beni, attività e passività. In ambito civilistico il legislatore detta una disciplina tesa, per un verso, a tutelare il cessionario onde consentirgli di acquisire adeguata e specifica cognizione dei debiti assunti e, per altro verso, a porre sullo stesso piano l’interesse dell’acquirente e quello dei terzi (creditori non ceduti). Il tema della fluidità del perimetro della vicenda traslativa si arricchisce di ulteriori aspetti, allorquando una cessione aggregata del complesso aziendale si perfezioni all’interno di una procedura di crisi bancaria. In simili fattispecie, generalmente, ci si trova di fronte ad ipotesi di cessione il cui oggetto risulta determinato su base analitica e cioè attraverso l’adozione di un codice unitario di identificazione della pluralità di elementi ceduti. L’ordinamento bancario attribuisce, infatti, alla cessione dell’azienda (bancaria) in bonis effetti diversi da quelli prodotti dalla stessa fattispecie allorché si applichi il diritto comune. Discostandosi dalla voluntas legis sottesa alla disciplina codicistica (che si preoccupa innanzitutto di offrire un patrimonio aggiuntivo su cui soddisfarsi, pur senza concepire un incongruo diritto di sequela sui beni che compongono l’azien­da ceduta), l’art. 58 t.u.b. postula la successione dell’acquirente in tutti i debiti pregressi [1]. Il nuovo quadro normativo di gestione delle crisi, codificato a livello europeo con la Direttiva 2014/59 e recepito a livello nazionale con i decreti legislativi 180 e 181 del 2015, persegue l’obiettivo di interesse pubblico di garantire la continuità delle attività delle banche in crisi e, attraverso esse, la stabilità del sistema, che l’in­solvenza e la liquidazione atomistica degli istituti bancari in crisi rischierebbero altrimenti di pregiudicare. Mutata la prospettiva, in quanto l’attenzione si è spostata dal profilo originario a quello del risanamento, si è dato maggior rilievo agli interessi dell’impresa e del mercato. Gli obiettivi da perseguire in [continua ..]


2. Sulla portata derogatoria dell’art. 58 t.u.b. e sulla conseguente inapplicabilità dell’art. 2560 c.c. nel trasferimento di azienda bancaria in bonis

Nella sistematica del codice civile, l’iscrizione nei libri contabili obbligatori dei debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta è elemento costitutivo della responsabilità dell’acquirente. Il 2° comma dell’art. 2560 c.c. prevede un’ipotesi di mera responsabilità in aggiunta, con esplicita esclusione di una novazione soggettiva ex latere debitoris del rapporto obbligatorio, senza il consenso del creditore. Tale aggravio di responsabilità vale anche per debiti non contemplati nel contratto di cessione, seppure nei limiti in cui tali passività risultino da una fonte attendibile (trattandosi, cioè, di passività evincibili da una registrazione contabile), obiettivamente conoscibile dal cessionario con minimo dovere di diligenza [3]. Con l’avvertenza che i suddetti debiti non sono trasferiti al cessionario, nel senso che quest’ultimo è tenuto a “rispondere” di essi, pur senza averli assunti, e senza succedere nel rapporto obbligatorio dal lato passivo [4]. Mantenendo fermo il principio ora espresso, l’art. 58 t.u.b. delinea uno statuto apposito per la cessione a banche di aziende, rami di azienda, nonché di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco, «giacché prevede il trasferimento delle passività al cessionario e non la semplice aggiunta della responsabilità di quest’ultimo a quella del cedente sulla quale prevarrebbe in virtù del principio di specialità» [5]. Al tempo stesso la liberazione del cedente opera in deroga anche all’art. 2560, 1° comma, c.c. [6]. La tendenza prevalente, tanto tra gli interpreti quanto in giurisprudenza, è quella di prospettare una ricostruzione particolarmente estesa, se non perfino onnicomprensiva, del compendio aziendale ceduto, in quanto fattispecie traslativa idonea a dar luogo alla successione dell’acquirente in tutti i rapporti obbligatori e contrattuali e, in genere, nel complesso delle situazioni giuridiche attive e passive di ogni natura e oggetto intessute nell’attività dell’azienda o del ramo di essa. Nel sistema così delineato, l’art. 58 t.u.b. introduce un regime che attiene non al negozio di disposizione in quanto tale, bensì al segmento particolare del suo oggetto [7]. Di [continua ..]


2.1. (Segue): il problema della corretta identificazione dei criteri funzionali ad individuare la responsabilità del cessionario

Nel quadro della disciplina recata dalla legge bancaria del 1936 (artt. 53-55), il fenomeno della cessione d’azienda bancaria risultava contraddistinto da una doppio intento: da un lato, l’autorizzazione della Banca d’Italia veniva concessa all’esito di una valutazione tesa ad appurare che, sul piano funzionale, la sostituzione di un soggetto all’altro nell’esercizio dell’attività risultasse congruente con la configurazione del mercato; dall’altro, si forniva una disciplina degli effetti della cessione che, data la carenza all’epoca di corrispondenti norme di diritto comune in tema di trasferimento d’azienda, sul piano oggettivo consentisse di disporre la “migrazione” tra banche di un complesso di beni e rapporti giuridici [8]. Sebbene, ad oggi, la previsione in commento debba valutarsi in una mutata prospettiva di regolamentazione del mercato del credito, è giocoforza constatare che tra le due finalità, l’enfasi normativa risultava già all’epoca prevalentemente rivolta «alla proiezione funzionale della vicenda alla continuità di esercizio imprenditoriale, più che al profilo traslativo-successorio nel relativo complesso di rapporti giuridici» [9]. A detta di un consolidato orientamento giurisprudenziale [10], formatosi in costanza della citata legge bancaria del ’36 e poi reiterato con l’entrata in vigore del successivo art. 58 t.u.b., l’assenza di un principio di solidarietà tra cedente e cessionario determina – trascorsi tre mesi dal completamento degli adempimenti pubblicitari di cui al 2° comma dell’art. 58, – un vero e proprio transito di tutte le passività del­l’azienda bancaria [11]. Il complesso di beni trasferiti si intende, pertanto, comprensivo della totalità dei debiti e crediti dell’impresa ceduta [12], con conseguente subingresso dell’avente causa nella totalità dei suddetti rapporti funzionalmente riconducibili all’esercizio dell’attività, e ciò indipendentemente dall’origine contrattuale o extracontrattuale degli stessi. Il mancato riconoscimento della responsabilità del cessionario in relazione ai debiti non iscritti in contabilità lascerebbe, tuttavia, i relativi creditori ingiustificatamente pregiudicati [13]. Da qui la [continua ..]


3. La misura della responsabilità degli “enti ponte” (e, successivamente, delle banche che ne hanno acquistato il controllo) per le passività anteriori all’apertura della procedura di “risoluzione”

La disciplina europea sulla risoluzione ordinata delle crisi contempla la successione degli ente ponte solo nei rapporti giuridici, nei crediti e nei debiti analiticamente individuati dalle autorità di risoluzione e non si traduce, per contro, in un fenomeno di successione universale in tutti i rapporti facenti capo alla banca risolta [24]. La “nuova” banca è un soggetto giuridico totalmente nuovo, destinato ad operare a fini pubblicistici nel quadro della procedura di risoluzione, disciplinata sul piano interno dal D.Lgs. n. 180/2015, quale ente ponte cessionario dell’azienda bancaria sottoposta a risoluzione [25]. L’art. 42 del D.Lgs. n. 180/2015 (da leggersi in combinato disposto con l’art. 34 dello stesso decreto) dispone che l’autorità di risoluzione provveda a costituire una società ad hoc, destinata a «gestire beni e rapporti giuridici» della banca in stato di dissesto, al fine di consentire la continuità delle funzioni essenziali da quest’ultima svolte [26] e, una volta che le condizioni di mercato lo consentano, di «cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate» [27]. Escludendo, quindi, che si tratti di una fattispecie meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, nel qual caso la banca conserverebbe la propria identità pur in un rinnovato assetto organizzativo, con formula ampia l’art. 43 del D.Lgs. n. 180/2015 prevede che la cessione all’ente ponte, possa riguardare: a) la totalità delle azioni o delle altre partecipazioni emesse dagli enti sottoposti a risoluzione; b) tutti i diritti, le attività o le passività, anche individuabili in blocco, di uno o più enti sottoposti a risoluzione, o parte di essi [28]. A seguire, il 4° comma precisa che «fermo restando l’articolo 47, comma 9, l’ente ponte succede all’ente sottoposto a risoluzione nei diritti, nelle attività o nelle passività ceduti, salvo che la Banca d’Italia disponga diversamente ove necessario per conseguire gli obiettivi della risoluzione». Assicurata la verifica del rispetto della par condicio dei creditori e del no creditor worse off principle, la specificità del quadro normativo vigente consente infatti all’autorità di [continua ..]


4. La costituzione degli ente ponte nella risoluzione delle “quattro banche” e l’assenza di alcuna esplicita esclusione delle pretese risarcitorie

Nella vicenda delle “quattro banche” l’art. 1, 843° comma, L. n. 208/2015, ha previsto che alle good banks potessero essere trasferiti «azioni, partecipazioni, diritti, nonché attività e passività delle banche sottoposte a risoluzione, ai sensi dell’arti­colo 43 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180» [37]. Il perimetro della cessione all’ente ponte è stato integralmente determinato dal Provvedimento di risoluzione adottato dalla Banca d’Italia alla quale, come si è già illustrato, è consentito, in veste di autorità di risoluzione, di scomporre il complesso aziendale definendo l’estinzione [38] di alcune selezionate passività nel solo rispetto dell’ordine stabilito dall’art. 52, D.Lgs. n. 180/2015. Il tenore letterale dei Provvedimenti adottati per ciascuna delle quattro banche ricalca in buona parte le disposizioni del D.Lgs. n. 180/2015 che, a loro volta, non consentono di affermare con certezza che vi sia stata la successione degli enti ponte in tutti i debiti risarcitori verso gli investitori, sorti in capo alle banche risolte a fronte di illeciti pre-contrattuali od ex contrattuali posti in essere prima dell’apertura della procedura di risoluzione [39]. Proprio la mancata indicazione analitica da parte della Banca d’Italia di eventuali passività escluse dalla cessione ha dato luogo a più di un’incertezza interpretativa [40] e ha alimentato un indirizzo giurisprudenziale di cui pare opportuno di seguito dar conto.


4.1. La fluidità del perimetro della cessione dell’ente-ponte negli orientamenti della giurisprudenza

Così ricostruito l’articolato substrato normativo, un punto dirimente dell’intera questione è individuabile nel trattamento riservato agli azionisti e ai titolari di obbligazioni subordinate. Come emerso in sede civile, i giudici di merito hanno ritenuto che, essendo previsto il trasferimento all’ente ponte di tutti i diritti, tra essi andrebbero ricomprese anche le passività corrispondenti ad obblighi risarcitori dell’e­mittente derivanti da condotte antecedenti la cessione, in quanto non espressamente escluse dallo stesso. Anche in ragione della particolare attenzione riservata dal Tribunale di Milano rispetto alla vicenda de qua, diversi sono gli spunti di riflessione che meritano di essere approfonditi. Basandosi sul presupposto che la cessione di rapporti del tipo in questione (cioè di natura bancaria) debba essere disciplinata, ex artt. 43 e 47 del D.Lgs. n. 180/2015, i giudici sono pervenuti a decretare una situazione analoga, sul piano degli effetti, a quella prevista dall’art. 58 t.u.b. [41]. Intendendo tali discipline come derogatorie del principio di diritto comune di cui all’art. 2560, 2° comma, c.c. in cui, come si è già ricordato, il cessionario risponde solo dei «debiti (…) se risultano dai libri contabili obbligatori» [42], il Collegio di Milano, in mancanza di espressa esclusione, ha optato per il passaggio, in termini lati e omnicomprensivi, in capo al cessionario – oltre che di tutti i “diritti” e le “attività” – anche di “tutte le passività” – e, quindi, pure di quelle “potenziali” e “latenti”, di natura risarcitoria, derivanti da condotte anteriori alla cessione. Con la conseguenze che l’ente ponte sarebbe da ritenersi subentrato, senza soluzioni di continuità, nelle situazioni giuridiche attive e passive facenti capo alla vecchia banca, con la sola eccezione di quelle specificamente escluse, e ciò a prescindere dalla loro effettiva e corretta registrazione nelle scritture contabili (e, quindi, dall’effettiva conoscenza o anche conoscibilità da parte del cessionario). Orbene, posto che il 7° comma dell’art. 47 esclude l’azione verso l’ente ponte per coloro che sono titolari di posizioni non cedute alla nuova banca, – ovverosia, [continua ..]


4.1.1. (Segue): alcune critiche all’inversione operata dal Tribunale di Milano che disconosce il dato letterale (positivo) adottando una interpretazione in senso negativo (cosa non dice la norma)

Rifacendosi alla giurisprudenza della Corte di legittimità sul rapporto tra la disciplina codicistica e quella bancaria, il collegio milanese rinviene una linea di continuità a sostegno della diversità d’oggetto della cessione “speciale” all’ente-ponte rispetto agli “ordinari” trasferimenti aziendali. In questa prospettiva, dunque, il D.Lgs. n. 180/2015 delineerebbe una nuova ipotesi di estensione del giudicato ultra partes, rendendo pertanto opponibili al cessionario anche gli esiti dei giudizi di impugnazione promossi dai creditori non ammessi o solo parzialmente ammessi allo stato passivo, al momento in cui ha luogo il trasferimento del­l’azienda per effetto del contratto di cessione. Se non fosse che, ad un esame più attento, rilevano alcuni dati normativi, probabilmente poco esplorati dal giudice di prime cure, che consentono di spostare il pendolo della questione in ben altra direzione. Del resto, l’in­ver­sione ermeneutica tesa ad includere nella cessione anche le pretese risarcitorie azionate successivamente alla data di messa in risoluzione della banca, si fonda sulla “assorbente” quanto discutibile valutazione del dato letterale negativo: nella normativa rilevante non si evince alcuna esplicita esclusione di tale peculiare categoria di “passività” dal perimetro dell’azienda ceduta. Il dato letterale positivo, per contro, si limita espressamente a considerare riconducibili nel novero di quelle “passività” oggetto di cessione con l’azienda, solo le azioni risarcitorie esistenti alla data di cessione. D’altronde, si è ripetutamente sottolineato che con l’art. 47, 7° comma, il legislatore lascia fuori dal perimetro della vicenda traslativa l’obbligazione risarcitoria nascente dall’inadempimento della banca sottoposta a risoluzione in relazione a rapporti contrattuali estinti prima della cessione. L’effetto che si produce è che l’ente ponte-cessionario non possa ritenersi legittimato passivo rispetto alle pretese di azionisti, titolari di altre partecipazioni, creditori dell’ente sottoposto a risoluzione e altri terzi i cui diritti, attività o passività non siano stati oggetto di trasferimento [57]. Merita poi segnalare come il tenore della citata disposizione venga ripreso, in maniera pedissequa, nel senso [continua ..]


4.1.2. (Segue): ulteriori indici ermeneutici tesi a valorizzare il dato positivo

Gli è che, nel continuativo contrappunto che si genera tra i due piani interpretativi qui proposti, la ricerca di ulteriori indici chiarificatori conduce a dover prendere in considerazione anche quanto precisato nel punto 1.1 del Provvedimento della Banca d’Italia, ove è esplicitamente e inequivocabilmente previsto che tra «i giudizi attivi e passivi» oggetto di cessione con l’azienda bancaria, dovessero essere ricomprese anche le “azioni risarcitorie” (da intendersi, allora, sia quelle “attive” che “passive”) in quanto, però, risultassero già azionate («in essere») alla data di efficacia della cessione, dovendosi quindi ipotizzare, a contrario, che quelle non ancora intraprese a quella data potessero anch’esse costituire oggetto di trasferimento al cessionario [60]. La sentenza del Tribunale di Milano conferma che non è nella normativa di settore che si può rinvenire la immediata soluzione ai quesiti inerenti, in siffatte vicende, alla legittimazione passiva dell’ente ponte e/o del cessionario. Se infatti si esclude l’appli­cabilità dell’art. 58 t.u.b. al trasferimento di aziende bancarie in risoluzione, con la sola eccezione del 3° comma, deve di riflesso ritenersi applicabile in queste circostanze il disposto dell’art. 2560, 2° comma, c.c. [61]. L’effetto che ne consegue è che il cessionario non debba rispondere di passività non risultanti dai libri contabili obbligatori. A rinsaldare tale conclusione milita la previsione di cui al punto 1.3 con cui si specifica che l’ente ponte succede «senza soluzione di continuità» alla banca in risoluzione nelle attività e passività, nei rapporti e nei giudizi di cui al punto 1.1. Allorché si optasse per una diversa soluzione, si finirebbe con l’attribuire rilevanza ad un mero rischio di sopravvenienza passiva, con la conseguente produzione di un pregiudizio per il legittimo affidamento del cessionario, la cui tutela è essenziale per il corretto svolgimento della circolazione di beni di particolare rilievo com­merciale [62]. Si aggiunga che lo stesso Provvedimento dimostra che non tutte le passività della banca risolta siano state trasferite en bloc all’ente ponte. Come, d’altro canto, si apprende osservando [continua ..]


4.2. Le ragioni sul piano sistematico tese ad avversare la successione ex lege dell’ente ponte in tutti i debiti pregressi dell’azienda bancaria

Se, dunque, l’anelito dei Tribunali e di una certa parte della dottrina è, nella maggior parte dei casi, manifestamente proteso a cercare una qualche via per ottenere una giustizia redistributiva, tale intento, per quanto apprezzabile, non deve tuttavia indurre a sottovalutare il rischio che sul piano fattuale scaturirebbe dalla possibilità in tal modo prospettata di allargare a dismisura le maglie della responsabilità del cessionario. Relegata sullo sfondo, vi è però anche una seconda, concorrente ragione ostativa, questa volta di carattere sistematico, che consentirebbe di escludere una così lata ed incontrollata successione ex lege dell’ente ponte in tutti i debiti pregressi del­l’azienda bancaria. Nel delicato bilanciamento tra gli interessi in gioco che la normativa persegue, occorre rilevare che l’interesse pubblico sotteso al principio di conservazione appare distinto e contrapposto rispetto a quello dei creditori che, sull’altare della continuità, vedono sacrificate autoritativamente le proprie posizioni creditorie [80]. D’altra parte, come si è chiarito nelle battute iniziali, nell’impianto della BRRD lo strumento della banca ponte è pensato proprio al fine di assicurare la continuità delle attività essenziali della banca risolta, non già per offrire un patrimonio aggiunto o per rimborsare o risarcire gli investitori, in ipotesi vittime di illeciti da parte della banca risolta. È in fondo una finalità dichiarata dal legislatore comunitario l’intento di liberare la nuova banca o il cessionario dalle poste passive, il cui trasferimento, peraltro, ridurrebbe drasticamente le possibilità di cessione sul mercato della good bank. Obiettivo questo che sarebbe inevitabilmente compromesso ove si optasse per un’estensione della responsabilità che spingesse l’ente ponte a rispondere pure “ultra vires”, ossia anche per debiti risarcitori pregressi, sorti per effetto di illeciti compiuti prima della cessione, ma non conosciuti né conoscibili ex ante al momento della cessione autoritativa e perciò non “costituenti” l’azienda della banca risolta perfino sotto un profilo di sindacato di inerenza e di ponderabilità dell’insieme trasferito [81]. Segnatamente, nell’ipotesi in [continua ..]


5. La valenza derogatoria del D.L. n. 99/2017 con riferimento alla cessione delle banche venete

Nel disciplinare con caratteri di specialità la l.c.a. delle due banche venete, il D.L. 25 giugno 2017, n. 99 (convertito con modificazioni nella L. 31 luglio 2017, n. 121) si caratterizza per sua natura come ampiamente derogatorio – implicitamente o esplicitamente – riguardo alla normativa vigente: esso contiene norme speciali se confrontate con quelle previste dal testo unico bancario, le quali peraltro a loro volta sono norme speciali rispetto a quelle generali che regolano la liquidazione coatta amministrativa. Tant’è che la successione dell’acquirente nei rapporti con i terzi trova la sua regolamentazione all’interno di un quadro disciplinare assai peculiare o, meglio, composito, in quanto costituito dal combinato disposto dell’art. 3 del D.L. n. 99/2017 e del “contratto di cessione di azienda” concluso da Banca Intesa e dai commissari liquidatori il 26 giugno 2017 [85]. Nel caso di specie l’acquisto da parte del cessionario ha riguardato un perimetro segregato [86] che esclude i crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili e esposizioni scadute), le obbligazioni subordinate emesse, nonché le partecipazioni e gli altri rapporti giuridici considerati non funzionali all’acquisizione [87]. Si osservi che i contratti di cessione d’azienda conclusi tra le due banche in liquidazione coatta amministrativa e Intesa Sanpaolo non hanno, alla luce di quanto stabilito dall’art. 1, 1° comma, p.to 1, trasferito alla banca cessionaria la totalità delle attività, passività e dei rapporti giuridici facenti capo alla cedente. Per stabilire in maniera puntuale il confine entro il quale le parti hanno collocato l’oggetto del trasferimento a favore della cessionaria, occorre fare riferimento all’art. 3 di detto contratto, intitolato “Perimetro dell’Insieme Aggregato”. In particolare, per quanto con­cerne le posizioni giuridiche passive, l’art. 3, 1° comma, p.to 2 stabilisce che le stesse, per essere trasferite, devono derivare da «rapporti inerenti e funzionali» all’eserci­zio dell’impresa bancaria, essere «regolarmente evidenziate nella contabilità aziendale» e «individuate e precisamente indicate per categoria nell’Allegato D». Ne consegue che, anche sulla scorta di tali [continua ..]


5.1. La portata effettiva della sottrazione delineata dall’art. 3 del D.L. n. 99/2017

Riguardo allo scenario prospettato, un supplemento di indagine, che viene a riprendere la sostanza di quanto già osservato sopra, pertanto s’impone, visto che un punto dirimente dell’intera questione è individuabile proprio nel trattamento riservato agli azionisti e ai portatori di obbligazioni senior. Tra le disposizione più discusse vi è senz’altro quella introdotta dall’art. 3, 1° comma, lett. b). Vero è che essa appare veicolare un titolo discriminatorio a danno di taluna parte della clientela (di per sé difficilmente giustificabile anche alla luce degli artt. 2 e 47 Cost.), nella misura in cui stralcia dal perimetro della cessione le passività derivanti da operazioni di investimento in azioni ed obbligazioni subordinate proprie delle banche risolte, che avevano dato luogo ad un esteso contenzioso prima della liquidazione coatta. L’alinea dell’art. 3, 1° comma, menziona pure i «rapporti giuridici», oltretutto «individuabili in blocco» [92], così “lasciando fuori” l’intero rapporto, senza possibilità di distinguere tra effetti sul rapporto contrattuale fra cedente e cessionario ed effetti sul rapporto fra istituto di credito e azionisti od obbligazionisti. Poiché l’esclusione dalla cessione concerne anche le passività derivanti da “violazioni” della normativa vigente, è evidente l’intento del legislatore di tenere il cessionario indenne da responsabilità nei confronti dei terzi. Diversamente opinando si dovrebbe concludere che la responsabilità non risieda nel rapporto fra cedente e cessionario, ma dimori nel rapporto fra responsabile civile e parti civili [93]. Risalta tuttavia all’attenzione come, per effetto del discrimen introdotto da tale disposizione, lo stesso soggetto potrebbe coltivare le pretese relative a titoli emessi da istituti diversi dalle due banche venete nei confronti di Intesa San Paolo mentre dovrebbe dolersi con i commissari liquidatori delle operazioni di investimento in titoli emessi direttamente dai due istituti veneti, sebbene in entrambe le ipotesi venga in rilievo la violazione degli obblighi nascenti dal medesimo contratto. La stessa disparità assume, in realtà, connotati assai preoccupanti, perché, al di là di questo [continua ..]


5.1.1. (Segue): alcune precisazioni in relazione all’ambito di applicazione della disciplina derogatoria del D.L. n. 99/2017

Due sono le fattispecie che, sulla scorta di quanto si è detto sin’ora e soprattutto in considerazione delle ricadute sul piano applicativo che ne possono discendere, meritano più di altre di essere approfondite. Con riguardo alla prima delle questioni accennate, sulla base dell’argomento sostanziale per cui ubi lex voluit dixit, va puntualizzato che non rientrano nel novero delle esclusioni contemplate dalla lett. c), in quanto non espressamente citati, i debiti derivanti dalle condotte individuate dalla norma in esame che abbiano riguardato strumenti di investimento, diversi dalle azioni od obbligazioni subordinate, pur emessi dai due istituti di credito. Si pensi ai casi in cui le banche abbiano operato come intermediari di strumenti finanziari di altre società o ad esempio ai contratti derivati da esse conclusi. Con tutta probabilità, la ragione di un simile discrimen va ravvisata nel fatto che i debiti, risarcitori o restitutori, di importo più rilevante scaturiscono dalla vendita di strumenti finanziari delle stesse banche venete, dato il consistente numero dei soci-investitori che hanno visto quasi azzerato il valore dei titoli acquistati, e di cui Intesa Sanpaolo non è stata disposta a farsi carico. In merito, la giurisprudenza ha avuto occasione di chiarire che il perimetro delle passività escluse dalla cessione non ricomprende quelle delle controllate delle due banche poste in liquidazione, poiché si tratta di autonomi soggetti di diritto, per i quali non è stata aperta, né pende, alcuna procedura e che quindi sono legittimati passivamente rispetto alle domande fondate sulla violazione della disciplina regolante l’at­tività di intermediazione finanziaria [105]. Venendo alla seconda fattispecie qui presa a riferimento, se non può dubitarsi che l’esclusione riguardi anche i debiti risarcitori nei confronti degli azionisti-inve­stitori, stante l’espressa menzione delle violazioni della normativa sulla prestazione di servizi di investimento, è controverso se nell’espressione, invero alquanto atecnica, di “operazioni di commercializzazione di azioni” siano ricomprese anche le operazioni di trasferimento di azioni dei due istituti di credito nell’ambito di rapporti societari, ed in particolare quelle tra società dello stesso gruppo. [continua ..]


5.1.2. (Segue): e sul regime di responsabilità esterna ex art. 2560, 2° comma, c.c.

Per riprendere le fila del discorso sulle interazioni tra il regime di responsabilità verso terzi previsto dalla disciplina civilistica e la speciale normativa emanata per “regolare” la vicenda circolatoria susseguente ai noti casi di dissesto bancario quivi esaminati, si ritiene utile partire da una tesi minoritaria, stando alla quale la previsione di cui alla lett. c) costituirebbe un’ulteriore deroga al disposto dell’art. 2560, 2° comma, c.c. [106]. Questo perché, alla stregua di una sanatoria volta a neutralizzare in toto le anomalie suscettibili di incidere sulla pienezza delle posizioni o dei rapporti ceduti, la disposizione di rango speciale stralcia dal perimetro trasferito le passività aziendali derivanti da controversie sorte dopo la cessione ma che hanno la loro genesi in atti o fatti antecedenti, estromettendo in tal modo anche i debiti che rilevano dalle scritture contabili delle due società. È evidente come l’assetto delineato dall’art. 3, lett. b) e c) del D.L. n. 99/2017 sia del tutto eccentrico rispetto a questa ricostruzione che invece è postulata dal già citato art. 47, 7° comma, D.Lgs. n. 180/2015, che fa salva la possibilità per i terzi i cui diritti siano stati ceduti di agire verso l’ente ponte. Collocandosi in una posizione antitetica a quella poc’ora illustrata, altra dottrina ritiene che, nella copiosa lista di deroghe di cui è costellato il D.L. n. 99/2017, in realtà mancherebbe proprio quella volta ad escludere l’applicabilità dell’art. 2560, 2° comma, c.c. Secondo questa corrente di pensiero, visto che l’art. 3, 1° comma, del decreto rifiuta esplicitamente l’applicazione dell’art. 58 t.u.b. tranne che per il 3° comma, nulla osta a che si applichi la disciplina più restrittiva di cui all’art. 2560 c.c. L’incipit della norma dell’art. 3 si limita, infatti, a considerare l’oggetto della cessione («sono esclusi»), senza occuparsi in modo specifico e puntuale del regime di responsabilità esterna che, normalmente, consegue a una siffatta operazione. Onde, deve ritenersi che in tema di responsabilità verso i creditori trovi accoglimento il prin­cipio fissato in ambito civilistico [107]. Il che consente di sostenere che il cessionario subentri nei [continua ..]


5.2. (Segue): un tentativo di ricomposizione del quadro derogatorio

Pur volendo considerare legittimo il richiamo all’art. 2560 c.c. allorché si tratti di includere nel perimetro della vicenda traslativa le pretese restitutorie e risarcitorie indicate dall’art. 3 del D.L. n. 99/2017 alla lett. b), altrettanto non si può sostenere quando le medesime ragioni creditorie si vengano in rilievo con riferimento alla lett. c) dello stesso articolo [114]. Orbene, poiché non risulta che il debito risarcitorio nei confronti delle parti civili fosse stato iscritto come tale nei libri contabili obbligatori dei due istituti, o che vi fosse un fondo rischi specificamente istituito a tal fine, deve escludersi che l’obbli­gazione risarcitoria facente capo al cedente quale responsabile civile si sia trasferita a carico del cessionario anche in base alle norme civilistiche generali. Sennonché, si noti che l’effetto cui tale interpretazione conduce è identico, in termini di ricadute applicative, a quello cui si perverrebbe adottando la ricostruzione esaminata nel paragrafo precedente, tesa per contro ad escludere tout court l’ap­plicazione dell’art. 2560 c.c. Tutt’al più, nel tentativo di ricomporre lo scollamento che sul piano ermeneutico le due soluzioni presentano, si può sostenere che la lett. b) dell’art. 3 introduca una deroga, invero, solo parziale al disposto dell’art. 2560, 2° comma, c.c.; onde può ri­tenersi che l’esclusione dalla vicenda traslativa riguardi soltanto “i debiti”, derivanti dalle predette operazioni, che risultino dai libri contabili obbligatori. Mentre per le passività non iscritte o future valga la disciplina di cui alla successiva lettera c). Ad ogni buon conto, tanto dall’interpretazione letterale delle disposizioni richiamate quanto dalla volontà del legislatore ad esse sottesa emerge in maniera nitida la preoccupazione assorbente di definire in via generale oneri e benefici della cessione, anche considerando le situazioni soggettive dei terzi. Ne è prova evidente, per quanto indiretta, la circostanza per cui il decreto che mette in l.c.a. le due banche si occupa, altresì, della sorte degli investitori, disponendo al 1° comma dell’art. 6 che alcune categorie «possono accedere alle prestazioni del Fondo di solidarietà». Questa può a ragione considerarsi una norma di chiusura del [continua ..]


6. Osservazioni conclusive

I due testi normativi, sui quali l’indagine è stata incentrata, sono l’emblema di una legislazione settoriale e d’emergenza che, derogando a molteplici principi di diritto comune (civile, commerciale, fallimentare, finanziario, amministrativo e penale) – anche di vertice –, rivendica la predisposizione di un corpus normativo del tutto autosufficiente e autoreferenziale in tema di cessione di azienda bancaria. In entrambe le vicende analizzate le misure adottate hanno consentito la cessione di diritti, attività e passività delle banche sottoposte a liquidazione (ovvero delle loro aziende, depurate delle passività azzerate e liberate dall’elevata mole di crediti deteriorati) secondo un regime singolare deformalizzato, diretto a consentire (agevolare) la cessione della parte sana ad un terzo acquirente e garantire, per tale via, la stabilità nell’esercizio dei servizi bancari e di investimento (rectius “funzioni essenziali”) sul territorio da parte delle strutture delle “vecchie” banche. Come si è tentato di dimostrare, a configurare un “inedito” è risultata la volontà del legislatore di incidere ortopedicamente sul regime dei rapporti contrattuali e delle attività e/o passività transitati in capo alla banca cessionaria, «per disattivarne tutti quei risvolti in grado di modificare, a vantaggio del cliente, i saldi risultanti dal negozio di cessione» [120]. In ambito bancario, la disciplina generale dettata dal codice è oggi stravolta dalla normativa speciale in tema di risoluzione introdotta a seguito del recepimento della Direttiva 2014/59. In base all’art. 42, D.Lgs. n. 180/2015, sono trasferiti all’ente ponte tutti i diritti, le attività e le passività, salva espressa esclusione disposta dall’autorità di risoluzione. In linea teorica e in assenza di un intervento selettivo dell’autorità competente riguardo a cosa includere e a cosa lasciare fuori dal perimetro della vicenda traslativa, un’interpretazione estensiva della nuova disciplina ingenera una dilatazione indeterminata della responsabilità dell’ente ponte produttiva di effetti dannosi sul suo patrimonio e, a cascata, su quello del cessionario; uno scenario che si pone in chiaro contrasto con le finalità della procedura [continua ..]


NOTE