Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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La garanzia della continuità del servizio pubblico locale nella crisi e nell'insolvenza delle società pubbliche affidatarie del servizio (di Davide De Filippis, Assegnista di ricerca in Diritto commercialenell’Università LUM-Jean Monnet di Casamassima)


Lo scritto si interroga sull’utilizzabilità degli strumenti negoziali di soluzione della crisi – quali, in particolare, il concordato preventivo con continuità aziendale, gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il piano attestato di risanamento ex art. 67, 3° comma, lett. d),L. Fall. –, nonché quelli endofallimentari (esercizio provvisorio dell’impresa e affitto d’azienda), in ipotesi di crisi o di insolvenza della società pubblica affidataria del servizio pubblico locale. Ciò al fine di appurare quali siano i più idonei ad assicurare la continuità del servizio stesso (in favore specialmente dell’utenza), avendo sempre a mente il (necessario) bilanciamento con la tutela del ceto creditorio che resta comunque centrale quando si adoperano detti strumenti. In quest’ottica qualche cenno viene, infine, dedicato all’opzione del ricorso, da parte delle società oggetto di scrutinio, agli strumenti di anticipazione della crisi appena introdotti dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

The paper deals with the usability of negotiating instruments for resolving the crisis – such as the preventive agreement with continuity of the company, the debt restructuring agreements and the recovery plan pursuant to art. 67, 3° co., lett. d),L. Fall. – as well as the ones within the bankruptcy (provisional operation of the enterprise and company lease), in case of crisis or insolvency of the public company entrusted with the local public service. This in order to establish which are the most suitable to ensure continuity of the same service (especially for users), always having in mind the (necessary) balance with the protection of the creditor class that remains central when these instruments are used. In that view, some mention is touched about the appeal for the companies examined to the instruments for anticipating the crisis just introduced by the Code of the business crisis and insolvency.

SOMMARIO:

1. Alcune riflessioni preliminari: le prospettive di riforma della legge fallimentare e l'inapplicabilità del nuovo codice dei contratti pubblici - 2. Sull'applicabilità degli artt. 67, 3° comma, lett. d) e 182-bisL. Fall. alle società a partecipazione pubblica - 3. Il concordato preventivo con continuità aziendale (ri)letto alla luce dell'art. 14 TUSPP - 4. L'esercizio provvisorio dell'affidatario di un servizio pubblico locale dichiarato fallito - 4.1. L'esercizio provvisorio "urgente" - 4.2. L'esercizio provvisorio "successivo" - 5. L’affitto d'azienda e il problema della compatibilità con l'interesse alla continuità del servizio pubblico locale - 5.1. Ancora sull'inammissibilità dell'affitto endoconcorsuale: il ruolo del curatore nella scelta del contraente - 6. L'interesse degli utenti alla continuità del servizio quale (possibile) «pietra di paragone» nel (nuovo) "diritto della crisi delle società a partecipazione pubblica" - 7. Postilla: il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, l'allerta e le società pubbliche - NOTE


1. Alcune riflessioni preliminari: le prospettive di riforma della legge fallimentare e l'inapplicabilità del nuovo codice dei contratti pubblici

Accanto alle società a partecipazione pubblica e al settore dei servizi pubblici locali [1], anche i contratti pubblici e le procedure concorsuali [2] sono stati attinti da quel moto riformatore che ha contraddistinto il legislatore del 2016. Ad una prima impressione, parrebbero ambiti d’intervento tra loro eterogenei; si tratta, tuttavia, di una diversità soltanto apparente stante la possibilità di enucleare, nella nostra materia, un momento di intersezione. Con riferimento alla riforma della legge fallimentare, si può osservare che, oltrealla tendenza all’emersione precoce della crisi d’impresa [3] – della quale, del resto, si trova ampiamente traccia nel Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica [4]–, la legge delega parrebbe esprimere, altresì, una preferenza per le soluzioni che siano in grado di assicurare la continuità aziendale e la conservazione dei residui valori produttivi delle imprese in crisi [5]. Invero, il ricorso a soluzioni concordatarie ha rappresentato il viatico, vieppiù valorizzato dalle recenti riforme della legge fallimentare, per la conservazione del­l’or­ganismo produttivo [6], fermo, in ogni caso, il miglior soddisfacimentodei creditori. In tale contesto, segnatamente quest’ultimo criterio sarebbe assurto, secondo una tesi [7], al rango di clausola generale utilizzabile ogniqualvolta manchi un parametro di valutazione nella selezione degli interessi giuridicamente rilevanti. Da un’analoga prospettiva potrebbe guardarsi anche all’esercizio provvisorio dell’impresa, il quale presenta, come sarà più chiaro nel prosieguo, interessanti margini applicativi quanto alla garanzia della continuità aziendale del gestore di un servizio pubblico locale e, dunque, della regolarità del servizio stesso. Del pari, la continuazione dell’attività non sarebbe preclusa anzi favorita dal ricorso all’affitto endofallimentare d’azienda, del quale si cercherà, altresì, di sperimentare le possibilità di utilizzo per garantire la permanenza sul mercato del­l’azienda del gestore di un servizio pubblico locale. Purtuttavia, anche in questo caso si tratta – come emergerebbe dalla formula utilizzata nell’art. 104-bis, 1° comma, L. Fall. (“quando appaia utile al fine della [continua ..]


2. Sull'applicabilità degli artt. 67, 3° comma, lett. d) e 182-bisL. Fall. alle società a partecipazione pubblica

Prima di procedere a tale verifica, non pare possibile esimersi dal dedicare qualche breve riflessione in ordine all’utilizzabilità, da parte delle società pubbliche, del piano attestato di risanamento previsto dall’art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall. e degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bisL. Fall.: fattispecie che risulterebbero, in ogni caso, utili ai fini della continuazione del servizio pubblico locale da parte dell’affidatario in stato di crisi. In proposito può rilevarsi che le difficoltà maggiori si rinvengono nell’assenza all’interno della proposizione normativa – contenuta nel 1° comma dell’art. 14 TUSPP – di ogni riferimento ai predetti strumenti di soluzione della crisi. Con riguardo al primo, è possibile rilevare che in corrispondenza di una crisi finanziaria o di una crisi industriale da cui consegua una crisi finanziaria, ove que­st’ultima si manifesti in maniera, comunque, “lieve”, l’idoneo piano di risanamento cui si riferisce il 2° comma del richiamato art. 14 potrebbe assumere le sembianze di un vero e proprio piano attestato di risanamento (contemplato, per l’appunto, dal­l’art. 67, 3° comma, lett. d, L. Fall.) [23], stante l’identica finalità che le due fattispe­cie perseguirebbero. Per converso, maggiormente problematica sarebbe la spiegazione relativa al­l’assenza di ogni riferimento [24] sull’ammissibilità degli accordi di ristrutturazione dei debiti al verificarsi della crisi d’impresa delle società a partecipazione pubblica. La norma, come si anticipava, fa parola dell’assoggettabilità “alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo”, escludendo, almeno dal punto di vista letterale [25], il ricorso all’accordo in esame. Il problema appare, chiaramente, intersecarsi con quello, alquanto noto, concernente la collocazione sistematica di questa fattispecie. Ora, se la si inquadra – come, peraltro, fa una parte della dottrina e della giurisprudenza esaltando gli aspetti, per dir così, processual-pubblicistici della relativa disciplina – alla stregua di un concordato semplificato o sub-concordato [26] o, comunque, secondo una prospettiva concorsuale [27], non sussisterebbero particolari ostacoli [continua ..]


3. Il concordato preventivo con continuità aziendale (ri)letto alla luce dell'art. 14 TUSPP

All’interno della disciplina della crisi delle società a controllo pubblico è stato introdotto l’obbligo di predisporre “specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale” (cfr. art. 6, 2° comma, TUSPP): cogliere tempestivamente le prime avvisaglie della crisi implica la possibilità di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause tempestivamente, evitando che la crisi stessa (o l’insolvenza) diventi irreversibile. A tale scopo, il legislatore offrirebbe un armamentario comprendente il piano di risanamento e il piano di ristrutturazione aziendale. Si tratterebbe di misure connotate da finalità di risanamento, diversamente (ma v. infra) da quella che sembrerebbe connotare la fattispecie della quale mette conto, ora, occuparci: il concordato preventivo con continuità aziendale [35]. Nella disciplina del concordato preventivo, la continuità aziendale rappresenterebbe, infatti, soltanto una modalità operativa, relativa al piano di concordato, atta a generare quella liquidità destinata, almeno in parte, al soddisfacimento parziale dei creditori anteriori [36]: da tanto si ricaverebbe l’estraneità, a questo sottotipo di procedura concordataria, del perseguimento di un obiettivo di risanamento [37]. Così distinte le finalità degli esaminati strumenti utili al mantenimento in essere dell’operatività aziendale, bisognerebbe interrogarsi su quale soluzione debba privilegiare l’organo gestorio al quale pare rimessa, con buona probabilità, la scelta delle misure da adottare per eliminare i fattori che mettono in pericolo la continuità aziendale, una volta che ne sia stata rilevata la presenza [38]. Invero, l’art. 14 TUSPP, pur ponendo in capo all’amministratore l’obbligo di adottare i “provvedimenti necessari” per “prevenire l’aggravamento della crisi, correggerne gli effetti ed eliminarne le cause”, non tipizza il contenuto dell’idoneo piano di risanamento: è possibile desumere, in via negativa, che non costituisca provvedimento adeguato una misura [39] che, altrimenti, sarebbe destinata a violare il noto divieto di soccorso finanziario. Tali previsioni potrebbero essere poste, invece, alla base di un piano di ristrutturazione aziendale,ma ciò solo in ragione della circostanza per cui quest’ultimo si [continua ..]


4. L'esercizio provvisorio dell'affidatario di un servizio pubblico locale dichiarato fallito

Nell’eventualità in cui non si riesca ad intervenire tempestivamente sulla crisi e in tutti gli altri casi in cui la dichiarazione di fallimento rappresenti un epilogo inevitabile, potrebbe saggiarsi la possibilità, per le nostre società, di disporre l’eser­cizio provvisorio. In proposito, l’espressa previsione della fallibilità delle società pubbliche consente di ritenere superato il problema dell’astratta ammissibilità dell’esercizio provvisorio dell’impresa (in forma collettiva) che gestisce un servizio pubblico locale [54], mentre resta da indagare l’atteggiarsi della fattispecie in commento in ragione della pluralità di interessi coinvolti e della peculiare relazione che lega il socio (pubblico) alla società affidataria del servizio, specie se in house providing, distinguendosi, per comodità espositiva, tra esercizio provvisorio contestuale alla sentenza dichiarativa di fallimento e quello disposto successivamente.


4.1. L'esercizio provvisorio "urgente"

Già in passato era stata avanzata l’opinione secondo cui l’esercizio provvisorio potesse essere preordinato alla tutela di interessi ulteriori rispetto a quelli dei soli creditori [55]; da questo punto di vista diviene essenziale delimitare la portata del limite negativo (“purché non arrechi pregiudizio ai creditori”) attualmente previsto. Il tenore letterale della norma lascerebbe, infatti, intendere che il “danno grave” non sia esclusivamente quello subito dai creditori concorsuali; in ogni caso, il pregiudizio per questi ultimi si configurerebbe quale condizione negativa per l’apertura dell’esercizio provvisorio nella misura in cui si potrebbe ritenere di rilievo un interesse “estraneo” a quello dei creditori purché questo non si rifletta negativamente sui creditori stessi [56]. In particolare, nella ricerca dei soggetti altri che a seguito dell’interruzione del­l’impresa potrebbero subire un danno grave,sono state ricomprese [57] categorie per lo più accomunate da una “spiccata valenza sociale”, tra le quali si annoverano proprio i clienti dell’impresa che fornisce beni o servizi di pubblica utilità. Tuttavia, gli ulteriori interessi di cui tali soggetti sono portatori sembrerebbero tutelati in via gradata dalla fattispecie di cui si tratta [58]. Verrebbe, viceversa, accordata una prevalenza assoluta all’interesse dei creditori da quell’opinione [59] che correla il danno grave al valore del patrimonio dell’im­presa: quando l’interruzione dell’attività comporti una diminuzione di quel valore,per ciò stesso si determinerebbe un pregiudizio per i creditori che a quel patrimonio affidano l’aspettativa di soddisfare le proprie pretese, conseguendone l’impossibilità di disporre l’esercizio provvisorio e restando irrilevanti eventuali istanze sociali. Va dato conto, infine, di una (solo in parte diversa da quella da ultimo considerata) chiave di lettura [60] dell’esercizio provvisorio “urgente” la quale predilige, in luogo di un’aprioristica graduazione degli interessi, un’interpretazione volta ad isolare il significato da attribuire al “danno grave” alla luce non tanto dell’art. 104 L. Fall. quanto dell’art. 105 L. Fall. Considerando i diversi orientamenti sinora [continua ..]


4.2. L'esercizio provvisorio "successivo"

Il 2° comma dell’art. 104 L. Fall. prevede che “successivamente, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza, con decreto motivato, la continuazione temporanea dell’esercizio del­l’impresa, anche limitatamente a specifici rami dell’azienda, fissandone la durata”. Ora, se si accoglie l’opinione [66] (prevalente) secondo cui l’esercizio provvisorio possa essere autorizzato dal giudice delegato anche in assenza di una precedente autorizzazione in sede di declaratoria fallimentare, nulla osta a che lo strumento in commento possa, almeno in via di principio, essere disposto anche successivamente alla dichiarazione di fallimento del gestore di un servizio pubblico locale. Tuttavia, resta da verificare se gli interessi tutelati dalla previsione di cui al 2° comma del­l’art. 104 L. Fall. siano idonei a ricomprendere interessi ulteriori rispetto a quelli del solo ceto creditorio. È utile, a questo punto, verificare l’affermazione, fatta poco prima, in base alla quale l’interesse pubblicistico di utile conservazione dell’impresa risulta più sfumato nell’ipotesi dell’esercizio provvisorio disposto successivamente alla dichiarazione di fallimento. Più precisamente, tale impressione sembrerebbe trovare conferma nell’assenza nel 2° comma dell’art. 104 L. Fall., diversamente dal 1° comma, di ogni indicazione circa i presupposti sulla scorta dei quali il provvedimento può essere adottato. Potrebbe, quindi, ritenersi che, a seguito della proposta del curatore, la prosecuzione dell’attività d’impresa dipenda, prevalentemente, dal parere favorevole dell’organo rappresentante gli interessi del ceto creditorio, salvo poi verificare se la successiva autorizzazione dell’organo delegato costituisca, come pure è stato sostenuto [67], un atto dovuto. Il punto appare (piuttosto) pacifico nella dottrina che si è occupata del problema: il parere del comitato sulla proposta di esercizio provvisorio vincolerebbe, il curatore, se negativo [68], mentre quest’ultimo potrebbe disattendere la delibera positiva del comitato medesimo (rinunciando a darvi esecuzione o ritardandone l’attuazione) solo per ragioni di opportunità [69]. Il giudice delegato, nonostante il vaglio positivo da parte dei [continua ..]


5. L’affitto d'azienda e il problema della compatibilità con l'interesse alla continuità del servizio pubblico locale

Anche l’affitto d’azienda (al pari dell’esercizio provvisorio) si pone come una misura di conservazione del patrimonio dell’imprenditore fallito in funzione della liquidazione dei beni [79] con la peculiarità, però, che in questo caso il curatore trasferirebbe all’affittuario il rischio e la responsabilità della gestione dell’im­pre­sa [80]. La finalità così enucleata parrebbe, in linea di principio, adeguata alla realizzazione della continuità aziendale dell’organismo produttivo e, ove si tratti del gestore di un servizio pubblico locale, a garantire la continuità del servizio medesimo consentendo, in tal modo, la tutela dell’utenza. Ma, per verificare l’attendibilità di una simile affermazione occorre, innanzitutto, procedere all’esame della compatibilità tra gli interessi tutelati dalla fattispecie che occupa e quelli (ormai noti) che vengono in emersione nell’ipotesi dell’insolvenza del gestore di un servizio pubblico locale. A tal uopo, sembra preferibile prendere le mosse non tanto dal 1° comma del­l’art. 104-bis L.Fall. che descrive il procedimento necessario per addivenire al­l’auto­rizzazione dell’affitto d’azienda endofallimentare, ma dal 2°comma ove si contemplano i criteri di scelta dell’affittuario. Nella seconda parte della norma si prevede, in particolare, che si debba tener conto “oltre che dell’ammontare del canone offerto, delle garanzie prestate e della attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali”, precisandosi “avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali”. In sede di interpretazione di questa parte della norma si è, condivisibilmente, osservato [81] che mentre l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva sarebbe correlato alla possibilità di una più proficua vendita dell’azienda, la conservazione dei livelli occupazionali costituirebbe un elemento estraneo a tale finalità, legato, invece, ad esigenze di carattere sociale. Uno degli interrogativi che la norma solleva consiste, proprio, nell’individuare quale tra i criteri appena menzionati debba considerarsi prevalente e ciò sarebbe funzionale, in un secondo momento, a comprendere se nella fattispecie de qua possano [continua ..]


5.1. Ancora sull'inammissibilità dell'affitto endoconcorsuale: il ruolo del curatore nella scelta del contraente

L’art. 104-bis L. Fall. attribuirebbe, effettivamente, al curatore il compito (fondamentale) di valutare le ragioni di convenienza di un eventuale affitto d’azienda: questo non soltanto nel momento della predisposizione del programma di liquidazione ai sensi della lett. a) del 2° comma dell’art. 104-terL. Fall., ma anche in un momento anteriore, qualora il curatore medesimo ritenga di procedere rapidamente, subito dopo la dichiarazione di fallimento, senza attendere i tempi necessari per la redazione del programma di liquidazione dell’attivo fallimentare. Alla base della scelta a favore dell’affitto dovrebbe porsi, in entrambi i casi, l’esistenza di un’effettiva convenienza per i creditori concorsuali, essendo, altrimenti, impensabile che l’organo esponenziale di questi ultimi approvi il programma di liquidazione o dia parere favorevole alla proposta [91]. Allora, scartata l’opzione che sia il curatore, almeno in questa fase, a poter aprire un varco per consentire l’ingresso ad interessi diversi da quello dei creditori, si potrebbe, in parallelo alle considerazioni svolte a proposito dell’esercizio provvisorio “urgente”, pensare che, attraverso la possibile neutralizzazione del pregiudizio nei loro confronti, questi ultimi si determinino ad esprimere parere favorevole alla proposta di affitto d’azienda o ad accettare il programma di liquidazione, realizzando pure la soddisfazione degli interessi dell’utenza. Come detto, nella fattispecie in esame la finalità perseguita consiste nel consentire il recupero e la conservazione delle componenti attive dell’impresa seppur finalizzati ad “una più proficua vendita dell’azienda o di parte di essa” per cui il ceto creditorio intanto accetterebbe l’affitto d’azienda in quanto s’incrementino le prospettive di realizzo. Di conseguenza, costoro potrebbero essere propensi all’am­mettere l’affitto d’azienda se tale eventualità ricorra [92]: in ipotesi, dunque, potrebbe accadere che, pur nella loro eterogeneità, si possa individuare un punto di contatto tra gli interessi creditorii e quelli dell’utenza. Gli è, però, che il soggetto che versa in stato di insolvenza ed è stato dichiarato fallito presenta delle caratteristiche tipologiche (si pensi alla società in house providing, ma [continua ..]


6. L'interesse degli utenti alla continuità del servizio quale (possibile) «pietra di paragone» nel (nuovo) "diritto della crisi delle società a partecipazione pubblica"

Conclusivamente, si può osservare come il diritto della crisi delle società a partecipazione pubblica, che viene delineandosi all’indomani dell’entrata in vigore del T.U. partecipate (segnatamente dell’art. 14), abbisogni di (continui) adeguamenti al diritto fallimentare in vigore (e, in prospettiva futura, con quello che è di là da venire). Tali “aggiustamenti” si rendono indispensabili non solo per effetto delle caratteristiche tipologiche delle società a partecipazione mista pubblico-privata e, specialmente, in house providing, ma anche in ragione della compresenza – all’interno della pletora degli interessi meritevoli di tutela a fronte della crisi della società affidataria del servizio pubblico locale – dell’interesse degli utenti alla regolarità del servizio pubblico locale. Quest’ultimo, a ben vedere, non rappresenta una posizione giuridica tale da assurgere al rango di diritto soggettivo in quanto – benché gli indici normativi, in punto, siano alquanto scarsi – tale interesse rileva unicamente nell’ambito di (un più generico) diritto dell’utente ad una prestazione secondo standard di qualità e di efficienza [101]. D’altra parte, il diritto fallimentare persegue la tutela dei creditori (o, utilizzando la clausola generale di cui si è detto, il miglior soddisfacimento dei creditori), i quali, al contrario, sono portatori di una posizione giuridica soggettiva certamente qualificabile alla stregua di diritto soggettivo. Ne discende che nel bilanciamento tra l’interesse degli utenti alla continuità del servizio – rientrante, secondo la prospettazione qui divisata, nel diritto dell’utente ad una prestazione secondo standard di qualità ed efficienza – e il diritto soggettivo di cui sono titolari i creditori della società partecipata in crisi o in stato di insolvenza, il primo sarebbe, inevitabilmente, destinato a soccombere. Tale conclusione non va, comunque, assolutizzata. Difatti, guardando agli strumenti fallimentari e concordatari secondo l’ottica della valorizzazione della continuità aziendale – la quale, peraltro, parrebbe accentuata dalla legge delega n. 155/2017 –, la permanenza in vita dell’organismo produttivo permetterebbe di assicurare un risultato, per dir così, circolare. Più [continua ..]


7. Postilla: il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, l'allerta e le società pubbliche

Sulla possibilità di evitare l’interruzione del servizio per effetto della crisi (o dell’insolvenza) della società partecipata affidataria del servizio un’ultima annotazione s’impone. Infatti, nelle more della redazione del presente contributo, è stato approvato dal Consiglio dei ministri il decreto legislativo recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge delega già più volte menzionata [102]. Il nuovo testo normativo reca indubbiamente una serie di novità che attingono i tradizionali istituti del diritto fallimentare i quali, nella nostra prospettiva, sono stati esaminati al fine di sperimentarne l’utilizzabilità nell’ipotesi della crisi o dell’insolvenza della società pubblica affidataria della gestione di un servizio pubblico locale. Ad una prima lettura, le predette innovazioni non paiono suscettibili di incidere sulle riflessioni che sono state svolte poco sopra. Al contrario, essendo l’intero impianto riformatore ispirato alla salvaguardia dell’organismo produttivo, è possibile affermare che le conclusioni alle quali si è pervenuti vengano in certa misura confermate. Ciò non esclude che, quando il Codice della crisi d’impresa e dell’in­solvenza entrerà in vigore, si renderanno in ogni caso necessari alcuni “adeguamenti” [103]. In questa sede, è appena il caso di soffermarsi – seppure per cenni – su un aspetto della riforma che pure potrebbe rappresentare una (valida) soluzione per la gestione della crisi, specialmente quando quest’ultima non si sia ancora manifestata o si trovi in uno stato embrionale. Il riferimento è, con tutta evidenza, agli strumenti di anticipazione della crisi che sono contenuti all’interno del titolo III, parte I, del Codice [104]. Ivi si prevede l’attivazione di un procedimento destinato a svolgersi davanti ad organismi di composizione della crisi d’impresa (OCRI) quando si verifichi il superamento di determinati indicatori (secondo la previsione di cui all’art. 13 del Codice). Tale meccanismo di allerta vede il coinvolgimento degli organi di controllo societario (allerta c.d. interna) [105] oppure dei creditori pubblici qualificati (allerta c.d. esterna) ed è volto proprio all’individuazione di una “soluzione [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3-4 - 2019