Nella sentenza qui in commento, la Suprema Corte di Cassazione esamina gli effetti che il fallimento pronunciato in pendenza dei termini per la risoluzione del concordato preventivo produce sul successivo procedimento di accertamento del passivo, affermando che i crediti già oggetto del concordato vanno insinuati per il loro importo originario.
In the judgement here commented, the Supreme Court of Cassation examines the effects that the bankruptcy pronounced pending the terms for the resolution of the arrangement with creditors produces on the subsequent procedure for the assessment of the liabilities, stating that the loans already subject to the arrangement must be paid for their original amount.
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1. Il caso di specie - 2. La decisione della Suprema Corte - 3. La possibilità di dichiarare il fallimento durante la pendenza del termine per la risoluzione del concordato preventivo - 4. Mancata risoluzione del concordato e successivo fallimento: i crediti vanno ammessi in misura falcidiata o per l’intero? - NOTE
L’esame del provvedimento che qui si commenta costituisce l’occasione per approfondire il tema – sinora oggetto di una limitata attenzione in dottrina e in giurisprudenza – circa gli effetti della mancata risoluzione del concordato preventivo nella successiva procedura fallimentare. Questa la vicenda portata all’attenzione del Supremo Collegio: una società, ottenuta l’omologazione del concordato preventivo, veniva poi dichiarata fallita, sebbene fosse ancora pendente il termine per la proposizione della domanda di risoluzione del concordato. In sede di accertamento dei crediti, il giudice delegato del fallimento, a fronte dell’istanza di insinuazione al passivo proposta da un istituto bancario, accoglieva la domanda, ammettendo tuttavia il credito non nella sua interezza, ma nella «limitata misura ritenuta vincolante per i creditori in virtù dell’omologazione del concordato preventivo e della mancata risoluzione dello stesso». Il provvedimento veniva confermato in sede di reclamo; avverso il decreto del Tribunale veniva proposto ricorso per cassazione, osservandosi che per effetto del successivo fallimento il credito aveva ripreso la sua originaria estensione, a nulla rilevando che non fosse stata disposta la risoluzione del concordato.
La Corte accoglie il ricorso. Per il S.C., la circostanza che ancor prima della scadenza del termine per la risoluzione del concordato preventivo omologato fosse stato chiesto e dichiarato il fallimento fa sì che nel corso del procedimento di insinuazione al passivo il credito debba essere accertato nella sua consistenza originaria, perché l’attuazione del concordato non può dirsi avvenuta, a causa del sopravvenire della più drastica procedura fallimentare, che travolge ogni autolimitazione frutto di atti dispositivi o volitivi dei creditori. Peraltro, si aggiunge, sarebbe incoerente ammettere al passivo il credito falcidiato senza che il creditore – che aveva accettato il piano concordatario nella prospettiva di un celere seppur parziale realizzo – abbia potuto instare per la risoluzione del concordato; d’altronde, la stessa ammissibilità di una domanda di risoluzione dopo il fallimento è difficilmente ipotizzabile, «non solo per la difficoltà di individuare il soggetto passivo al quale indirizzarla, ma anche perché, in presenza dell’insolvenza accertata a norma dell’art. 5 legge fall., viene meno l’interesse dei creditori ad accertare l’inadempimento (di non scarsa importanza) delle singole obbligazioni riconfigurate nel piano concordatario». Da tali premesse segue che la falcidia non opera, per cui il credito singolo rivive nella sua latitudine originaria. Precisa la Cassazione che tale conseguenza, tuttavia, si giustifica solo qualora il termine per la proposizione della domanda di risoluzione non sia ancora spirato. Diversamente, laddove sia scaduto il termine per la risoluzione del concordato, poiché il piano concordatario si è definitivamente consolidato, il debitore continua ad essere obbligato secondo le sue prescrizioni e in caso di successivo fallimento i creditori concordatari vedranno ammessi i loro crediti in misura falcidiata. In altre parole, i creditori devono continuare a sopportare gli effetti esdebitatori del concordato soltanto se è scaduto il termine per la sua risoluzione, giacché solo in tal modo si determina il consolidamento del piano concordatario e il conseguente obbligo dei creditori nella nuova forma come modificata dal concordato omologato. «Al contrario, quando intervenga medio tempore il fallimento, il concordato non può dirsi più pendente, poiché [continua ..]
Il provvedimento in commento non prende posizione sul tema della possibilità della dichiarazione di fallimento senza la preventiva risoluzione del concordato preventivo, affermando che, poiché l’intervenuta dichiarazione di fallimento non è stata oggetto di contestazione tra le parti, alla Cassazione è preclusa la questione dell’ammissibilità del fallimento omisso medio. Secondo la Corte, dunque, l’unica questione di cui essa è investita è quella riguardante la possibilità di ammettere in sede di insinuazione al passivo il credito in precedenza fatto oggetto di falcidia concordataria quale credito nella sua totalità. Ciò nonostante, la Corte tiene a precisare che nel caso portato alla sua attenzione: 1)poiché il fallimento era stato richiesto dal P.M., mai si sarebbe potuta pronunciare la risoluzione del concordato, non essendo il P.M. legittimato a proporre la relativa domanda; 2)essendosi nel frattempo conclamata l’intervenuta insolvenza del debitore era venuto meno l’interesse dei creditori di agire per far valere l’inadempimento delle singole obbligazioni previste nel piano concordatario. Da tali affermazioni si desume in via implicita (ma inequivoca) l’adesione del S.C. alla tesi dell’ammissibilità del fallimento nella pendenza del termine per la proposizione della domanda di risoluzione del concordato. Tale opzione ermeneutica pare assolutamente condivisibile, nonostante il silenzio della legge. Come è noto, dal combinato disposto degli artt. 184 e 186 L. Fall., si evince che il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al decreto con il quale il tribunale ha disposto l’apertura della procedura, vincolo che può essere sciolto solo in conseguenza della sentenza con la quale è disposta la risoluzione o l’annullamento del concordato; nulla si stabilisce per il caso in cui, nella fase esecutiva del concordato, si manifesti l’incapacità di adempiere ai debiti anteriori al concordato ovvero insorga una nuova insolvenza per l’incapacità di pagare i debiti contratti dopo l’apertura della procedura e l’omologa dello stesso concordato [1]. Ora, sebbene da questi articoli si desuma che, anche in caso di suo inadempimento, il vincolo nascente dal concordato omologato – qualora non ne sia stata [continua ..]
Confermata l’assenza di ostacoli, di tipo letterale o sistematico, alla possibilità di dichiarare il fallimento del debitore in mancanza di una preventiva risoluzione del concordato omologato, è possibile scendere funditus all’esame della questione concernente la possibilità che la mancata risoluzione del concordato omologato produca o meno effetti nell’ambito della successiva procedura fallimentare (in particolare, nella fase di ammissione al passivo). Per la decisione in epigrafe, determinante è la verifica dell’avvenuta scadenza del termine per la proposizione della domanda di risoluzione del concordato omologato: nel caso in cui detto termine sia già spirato, i creditori devono continuare a sopportare gli effetti esdebitatori del concordato, per cui vedranno ammessi i loro crediti nella misura prevista dal piano concordatario; laddove il fallimento sia stato chiesto pendente il termine per la risoluzione, invece, poiché il fallimento rende ineseguibile il piano, la falcidia dei crediti non opera più. Ora, per prendere posizione sulla questione, mi sembra opportuno fissare alcuni punti fermi. In primo luogo, l’effetto esdebitatorio conseguente all’omologazione del concordato, in virtù dell’art. 184, 1° comma, 1° periodo, L. Fall., opera nei confronti dei «creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’art. 161». Per questi ultimi, quindi, la loro collocazione nel concordato determina la modifica del rapporto originario di credito, che viene rimodellato nei termini e alle condizioni previste nel piano. Indipendentemente dal fatto che essi abbiano o meno partecipato alla procedura, «tali creditori subiranno dunque la falcidia e/o la dilazione convenute, con la conseguenza che non potranno più richiedere il pagamento della parte del credito, rispetto alla quale opera l’esdebitazione» [5]. La norma, inserita nel contesto del concordato preventivo di cui alle (pen)ultime riforme, ha indubbiamente assunto un volto diverso rispetto al passato, giacché per effetto della riforma del 2006-2007, l’effetto esdebitatorio assume una dimensione non necessariamente correlata, come in passato, alla meritevolezza del debitore, trovando la sua base nella necessità che, anche in presenza di gravi crisi d’impresa, si attui il rapido reinserimento del [continua ..]