Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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L'affaire "popolari venete" e il modello italico di gestione delle crisi bancarie. Ricadute applicative e profili di incoerenza sistemica (di Luigi Scipione (Ricercatore di Diritto commerciale e Professore aggregato di Diritto bancario dell’Unione europea presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli "Federico II"))


Il processo di “aggiustamento in corsa” che ha riguardato la configurazione delle misure intraprese per il salvataggio di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca è risultato alquanto caotico e ha suscitato non poche polemiche.

Potevano essere configurabili altre strade per proteggere i possessori di obbligazioni senior, i depositi dei risparmiatori e i livelli occupazionali?

Nel presente lavoro si cercherà di dare una risposta a questo interrogativo, spiegando le ragioni tecniche alla base della decisione presa dalle autorità italiane, d’intesa con le istituzioni europee, di disporre, con l’emanazione del D.L. n. 99/2017, la liquidazione ordinata delle due “banche venete”, dopo il fallimento del ricorso al mercato e l’abbandono dell’ipotesi della ricapitalizzazione pubblica precauzionale.

The “pace adjustment” process that involved the configuration of the measures taken to rescue Banca Popolare di Vicenza and Veneto Banca was quite chaotic and aroused little controversy.

Could be configured other ways to protect senior bondholders, saver’s deposits and employment levels?

In this paper we will try to answer this question by explaining the technical reasons behind the decision taken by the Italian authorities, in agreement with the European institutions, to arrange, by issuing the D.L. n. 99/2017, the orderly liquidation of the two “Veneto banks” after the failure to resort to the market and the abandonment of the precautionary public recapitalization hypothesis.

SOMMARIO:

1. Note introduttive - 2. Il fallimento del ricorso a "soluzioni di mercato" e l'abbandono dell'i­potesi della "ricapitalizzazione precauzionale" - 3. "Fuga" dalla resolution e approdo alla procedura ordinaria di insolvenza - 4. La "ritirata sul Piave" e la definizione di un piano di salvataggio "sumi­sura" - 5. Il ricorso al "liquidation state aid" - 5.1. La valutazione della Commissione UE sulla compatibilità delle misure pubbliche di sostegno con la disciplina in materia di aiuti di Stato - 6. Il rapporto tra la risoluzione e la procedura ordinaria di insolvenza - 7. La continuità delle funzioni aziendali come presidio della stabilità sistemica - 8. L'esclusione dell'interesse pubblico nelle motivazioni del SRB. Profili di incoerenza sistemica - 8.1. Alla ricerca dell'interesse pubblico: dal piano europeo a quello nazionale - 8.2. Public interest test e principio di proporzionalità - 9. Il D.L. n. 99/2017: un tentativo di restaurazione dell'ordine bancario previgente? - 10. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Note introduttive

La crisi del sistema bancario e creditizio italiano si protrae da diversi anni senza che sia stata intrapresa alcuna riforma strategica del settore e mediante interventi di volta in volta dettati dall’emergenza di coprire le perdite. Questa peculiarità, che sembrava un dato quasi scontato, è stata messa ben in luce dai recenti episodi di salvataggio di banche in crisi. Il Governo e le autorità preposte alla salvaguardia del sistema ne hanno colpevolmente ed irresponsabilmente sottovalutato la portata, gestendola con logica emergenziale, come, ad esempio, per fronteggiare il default di quattro istituti di credito (Banca delle Marche, Banca popolare dell’Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara e la Cassa di Risparmio di Chieti), per il quale si è forzatamente ed a mezzo di decreto-legge inaugurata nel nostro Paese l’entrata in vigore del nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie [1]. Nonostante il suddetto contesto preconizzasse il rischio di una crisi sistemica del settore, alla stessa logica (emergenziale) è stata improntata anche la gestione del sal­vataggio delle banche venete. La gravità della situazione in cui versavano i due istituti, acuita dalla scarsa reattività da parte delle autorità preposte a prevenire e gestire la crisi, appare cosa non discutibile; così come evidente si mostra la dimensione prospetticamente crescente che, dal punto di vista dei valori economici in gioco, il problema è andato via via assumendo. In una prospettiva di sistema, non v’è dubbio che l’introduzione di strumenti ido­nei a consentire un’efficace rimozione della patologia è coessenziale alla naturastessa dei rimedi specifici contemplati dall’ordinamento o utilizzati nella prassi, i quali sono accomunati da una funzione preventiva del fallimento. Pur ammettendo molteplici modalità di intervento nella soluzione di una crisi bancaria, il nuovo plesso normativo sulla gestione della crisi [composto dalla Direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 (BRRD) e dal Regolamento (UE) 15 luglio 2014, n. 806/2014 sul meccanismo di risoluzione unico e sul Fondo di risoluzione unico (Regolamento SRM)] appare non del tutto compiuto e in parte carente di norme di cautela che possano evitare rischi di instabilità per singoli [continua ..]


2. Il fallimento del ricorso a "soluzioni di mercato" e l'abbandono dell'i­potesi della "ricapitalizzazione precauzionale"

Multa sceleri indicia praeveniunt: vi è stata, nel caso delle banche venete, una precisa catena casuale che dalle scelte strategiche azzardate e intempestive ha fatto discendere perdite e scoperture patrimoniali, e da queste i tentativi di tamponare le falle per tirare avanti con un modello strategico e assetti di governance non più sostenibili. Non aver colto il punto di svolta che ha inesorabilmente scaraventato le due popolari venete in una condizione di dissesto irreversibile e aver ritardato e limitato il ventaglio delle soluzioni esperibili (mediante risorse pubbliche o di sistema) per un risanamento preventivo, ha fatto sì che gli squilibri si aggravassero fino a diventare sovrastanti. Per vero, l’emersione della situazione di pericolo per Veneto Banca deve farsi risalire al 2013 a seguito di un’ispezione di Banca d’Italia, mentre per la Popolare di Vicenza era stata un’ispezione della BCE del 2015 ad imporre una drastica “pulizia nei conti” [5]. Nel 2016 le due popolari avevano, invano, tentato di aumentare il capitale privato per rafforzare la propria solvibilità come richiesto dell’esercizio di stress effettuato dalla BCE. Sicché, rifacendosi al modello tradizionale di gestione preventiva delle crisi, retto da forti vincoli di solidarietà a livello di sistema bancario [6], il Governo italiano aveva incoraggiato l’apporto al capitale dei due istituti per complessivi 3,5 miliardi da parte del Fondo Atlante 1: una ricapitalizzazione preventiva formalmente affidata a un soggetto privato [7]. Agendo da prestatore di ultima istanza, Atlante aveva evitato la risoluzione immediata dei due istituti dando continuità alle due banche sofferenti ed evitando il bail-in e lo smembramento; ma ne aveva anche distribuito il rischio nei bilanci di tutto il settore bancario italiano. Il Fondo aveva poi immesso un altro miliardo a cavallo della fine del 2016. E in ogni caso, Atlante non aveva risolto i problemi strutturali dei due istituti, dato che nel 2017 entrambi avevano manifestato la necessità, accertata dalla BCE, di reperire nuovo capitale [8]. Di fronte al riproporsi di uno scenario avverso, la soluzione passata al vaglio delle autorità italiane era stata di nuovo quella di promuovere una “colletta [continua ..]


3. "Fuga" dalla resolution e approdo alla procedura ordinaria di insolvenza

La procedura per decidere sulla risoluzione di una banca indica chiaramente che il passaggio dalla fase di pre-crisi a quella di dissesto irreversibile è individuato nella decisione della BCE di dichiarare la non viability della banca e, quindi, di attivare il pro­cesso di risoluzione, come previsto dal Regolamento SRM. Nel caso delle banche venete, pur di scongiurare il pericolo di incorrere nella falcidia del bail-in, si è scelto di abbandonare il perimetro normativo della BRRD e di virare verso la liquidazione coatta amministrativa. All’inizio del 2017 i due istituti erano stati considerati dalla BCE di “rilevanza sistemica”, cioè tali da provocare “forti perturbazioni all’economia del Paese” di fronte al prodursi di uno scenario avverso. In mancanza di investitori privati pronti a farsi carico del rilancio dei due istituti (sottoscrivendo nuovo capitale), pochi mesi più tardi le stesse banche erano state retrocesse alla categoria di operatori di importanza regionale. In data 23 giugno 2017, la Banca Centrale Europea aveva accertato che i due istituti versavano in situazione di rischio di dissesto ai sensi dell’art. 18, par. 1, lett. a), Regolamento n. 806/2014 [24]. A differenza dell’ipotesi di mera crisi di liquidità, ancora reversibile mediante un’adeguata ricapitalizzazione, la situazione di dissesto o rischio di dissesto ha carattere strutturale. Occorre infatti rilevare che nella BRRD il concetto di deterioramento patrimoniale è assimilato per finalità prudenziali al vero e proprio dissesto in quanto gli strumenti previsti dal legislatore tendono ad anticipare i rimedi esperibili, a fronte della mera possibilità che si manifesti una situazione di deterioramento patrimoniale. Di tal che, al provvedimento di cui sopra faceva seguito, nella medesima data, la decisione del Comitato di risoluzione unico con cui: i) si accertava l’assenza di misure alternative (del settore privato o della vigilanza), che avrebbero permesso di superare la situazione di rischio di dissesto in tempi adeguati (art. 18, par. 1, lett. b), del Re­golamento n. 806/2014), e ii) si escludeva altresì il ricorrere di un pubblico interesse alla risoluzione [25] (art. 18, par. 1, lett. c), e 5, del medesimo [continua ..]


4. La "ritirata sul Piave" e la definizione di un piano di salvataggio "sumi­sura"

Dato che non vi è ancora una legislazione europea sulla liquidazione, questa è regolata dalla legge italiana e può essere modificata per decreto. Ciò ha permesso di “confezionare” una soluzione su misura per le due popolari e di ottenere proprio quello che le norme europee intendono scongiurare: la protezione degli obbligazionisti a scapito dei contribuenti [27]. Il D.L. 25 giugno 2017, n. 99 (“Disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.” – d’ora in avanti anche “decreto”) [28] ha disciplinato l’avvio della procedura di lca ai sensi della normativa del Testo Unico Bancario (D.Lgs. n. 385/1993, artt. 80-95) e contestualmente ha disposto l’adozione di misure di aiuto pubblico volte a consentire una gestione ordinata della crisi delle due banche (art. 1). La soluzione varata del Governo italiano è complessa e si articola in più passaggi che sono indicati all’art. 2 del decreto: i) le due banche vengono, con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, su proposta della Banca d’Italia, dichiarate in stato di insolvenza e sottoposte a lca; quindi ii)si disponela continuazione, ove necessario, dell’esercizio dell’impresa o di de­terminati rami di attività, per il tempo tecnico necessario ad attuare le cessioni previste ai sensi del provvedimento in esame;   iii) si prevede, inoltre, la cessione dell’azienda bancaria o di rami di essa ad un acquirente, e iv) si attuano, infine, misure di intervento pubblico a sostegno della cessione. Come viene poi specificato nell’art. 3, la cessione delle attività ha ad oggetto: a) il trasferimento della parte sana(impieghi in bonis, depositi, obbligazioni senior, altra raccolta, sportelli, personale) ad un cessionario, al fine di preservare ilvalore di tutte le passività delle due banche diverse dalle obbligazioni subordinate [29]; b) lospin off del portafoglio di crediti deteriorati alla SGA (Società di Gestione delle Attività S.p.A., veicolo non bancario, storico operatore che svolse la stessafun­zione per il Banco di Napoli) mediante cessione degli stessi a un valore netto [continua ..]


5. Il ricorso al "liquidation state aid"

Incalzate dall’esigenza di contemperare le diverse esigenze in gioco, le autorità coinvolte nel salvataggio delle due banche hanno volutamente escluso la risoluzione e la conseguente applicazione del bail-in, privilegiando una soluzione che garantisse adeguata tutela per i depositanti e i titolari di bond senior. Dopo aver constatato che anche l’applicazione della procedura di liquidazione ordinaria avrebbe comportato il coinvolgimento di tali categorie di creditori, si è cerca­to, sfruttando le pieghe della disciplina europea, di creare un ambiente normativo idoneo ad aggirare le regole europee e a promuovere una versione della lca su misura per le due banche. Va tenuto presente, tuttavia, che in caso di liquidazione coatta amministrativa non è possibile utilizzare le risorse del Fondo di risoluzione; al contempo, alla luce dei criteri introdotti dalla Commissione europea in tema di aiuti di Stato, «risulta più difficile ricorrere all’intervento dei fondi di garanzia obbligatori per favorire, nel­l’ambito della procedura ordinaria di insolvenza, la cessione di attività e passività ad altra banca attraverso il finanziamento dello sbilancio di cessione, soluzione che invece garantirebbe la continuità aziendale» [42]. Per questa serie di vincoli è risultato indispensabile affiancare un aiuto di Stato alla procedura di liquidazione intrapresa per le due banche: ciò ha consentito di indi­viduare un acquirente e di preservare, senza cesure, la continuità delle funzioni creditizie essenziali [43]. Fuori dal contesto della risoluzione, le regole europee richiedono l’approvazione preventiva della Commissione UE nel caso in cui si ricorra ad aiuti pubblici per facilitare la liquidazione (c.d. liquidation state aid). Sulla base di quanto previsto dal­l’art. 107, par. 3, lett. b), TFUE, che consente un sostegno statale quando sia rivolto a rimediare ad un grave perturbamento dell’economia [44], la Banking Communication del 2013 prevede (parr. 65-88) che un intervento pubblico sia possibile, sia in favore dell’azienda da cedere sia in favore dell’acquirente, per assicurare la “liquidazione ordinata” di una banca in crisi, evitando in tal modo che si generino turbolenze, effetti di contagio [continua ..]


5.1. La valutazione della Commissione UE sulla compatibilità delle misure pubbliche di sostegno con la disciplina in materia di aiuti di Stato

Per consentire una «gestione ordinata della crisi», il D.L. n. 99/2017 fa, dunque, uso di forme di sostegno pubblico, giustificate dal fatto che «l’applicazione della pro­cedura ordinaria avrebbe rischiato di produrre conseguenze negative per il tessuto produttivo e sociale» [48]. Di prassi l’aiuto alle banche in crisi è in prevalenza basato su garanzie statali e su spese potenzialmente recuperabili nel corso della liquidazione [49]. Volendo riassu­mere in poche righe, l’intervento pubblico concesso dal MEF alle banche venete mette insieme le misure a favore del cessionario della good bank e quelle rivolte a tutelare la solvibilità delle bad bank. Lo Stato eroga dei contributi che versa subito al cessionario e si impegna a effettuare dei pagamenti futuri a fronte della retrocessione dei crediti ad alto rischio deteriorati nonché a coprire il mancato rimborso dei finanziamenti erogati dalla stessa banca alla lca. Chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità di dette misure con la disciplina in materia di aiuti di Stato [50], la Commissione europea ha ritenuto che tali interventi sono in linea con la relativa normativa in tema di concorrenza [51], giacché i possessori di azioni e di obbligazioni subordinate hanno pienamente contribuito ai costi del risanamento (burden sharing), riducendo così l’onere dell’intervento per lo Stato [52]. Nello specifico, la Commissione ha rilevato che sia le garanzie sia gli apporti di capitale sono coperti dai crediti di rango più elevato (senior) vantati dallo Stato italiano sulle attività comprese nella massa fallimentare: di conseguenza, il costo netto per le finanze pubbliche sarà assai più basso del valore nominale delle misure. Inoltre, a parere della Commissione, il soggetto acquirente (Intesa) è stato scelto nell’ambito di una procedura aperta, equa e trasparente, gestita interamente dalle au­torità italiane, che hanno assicurato la vendita degli asset secondo la migliore offerta ricevuta [53]. Nel complesso, pur nei ristrettissimi tempi a disposizione, la procedura ha consentito agli acquirenti potenzialmente interessati di valutare l’opportunità di formulare una proposta. I tempi per la selezione [continua ..]


6. Il rapporto tra la risoluzione e la procedura ordinaria di insolvenza

Non v’è dubbio che la normativa nazionale di recepimento rifletta ampiamente l’intervenuto mutamento di approccio, maturato in sede globale ed europea, circa le tecniche e gli strumenti di prevenzione e gestione delle crisi degli intermediari finanziari. Eppure, gli strumenti introdotti dalla BRRD non sono del tutto “nuovi”, in quanto in parte già disciplinati dal nostro ordinamento; ma è sicuramente possibile definirli “di nuova portata”. In prima approssimazione si può ritenere che, rispetto ad altri, proprio l’ordinamento italiano già conosceva procedimenti amministrativi di intervento in caso di crisi bancarie. In particolare, il nuovo portato disciplinare contempla una molteplicità graduata di misure volte, in primo luogo, ad assicurare la sana e prudente gestione degli enti creditizi attraverso dispositivi di risanamento e di intervento precoce e, in secondo luogo, a garantire una gestione ordinata dei dissesti bancari, per mezzo dell’internalizzazione e della condivisione dei relativi costi [56]. Nell’ordinamento italiano gli istituti di nuovo conio previsti dalla BRRD convivono con l’amministrazione straordinaria e la liquidazione coatta amministrativa(seb­bene anch’esse “rimaneggiate” in sede di recepimento). Basti osservare sul punto che, mentre l’amministrazione straordinaria è stata profondamente rivisitata al fine di coordinare l’istituto con le c.d. “misure di intervento precoce” (art. 69 octiesdecies ss. TUB), la procedura di lca è rimasta in vigore quale misura alternativa alla risoluzione. Il ricorso alle procedure di risoluzione risulta concepito alla stregua di un’extre­ma ratio cui “affidarsi” solamente nei casi in cui non vi siano soggetti privati potenziali acquirenti, né risulti possibile porre rimedio alla situazione di dissesto attraverso misure di intervento precoce. Dunque, la risoluzione è l’eccezione alla soluzione ordinaria che, nella costruzione della Direttiva 2014/59, è la liquidazione [57]. Occorre precisare che ai sensi dell’art. 2, 1° comma, n. 47, BRRD devono intendersi come «procedure ordinarie di insolvenza», quelle «procedure collettive di insolvenza che comportano lo spossessamento parziale o totale di un debitore e la [continua ..]


7. La continuità delle funzioni aziendali come presidio della stabilità sistemica

La disciplina introdotta con il recepimento della Direttiva 2014/59/UE segna un passaggio epocale [68] dalla gestione della crisi delle banche mediante l’utilizzo di risorse pubbliche (c.d. bail-out) verso una che coinvolge le risorse private (bail-in), favorendo il più possibile soluzioni che consentano di preservare la continuità azien­dale, sul presupposto che la risoluzione liquidatoria determini sul piano degli asset la disgregazione del valore della banca [69]. Fin dalle premesse della “BRRD” (Considerando 13, 24, 29, 49), si prende atto della incontestabile idoneità degli strumenti previsti per la risoluzione della crisibancaria, nel perseguire gli obiettivi di salvaguardia della continuità delle funzioni bancarie onde evitare o limitare effetti negativi sulla stabilità finanziaria, fino ad incidere sui diritti degli azionisti e dei creditori, così come sulla libertà d’impresa dello stesso ente bancario come attore economico. La banca non è un’impresa come un’altra; la contezza della sua specificità la si coglie se si tengono presenti “le funzioni di interesse pubblico” [70] che coinvolgono le sue attività e se si guarda alle conseguenze negative che lo stato di dissesto finanziario di un ente creditizio può implicare su scala sistemica. Come si è poc’anzi illustrato, la scelta, per vero non sempre agevole, tra una ordinaria procedura di insolvenza e la resolution, tenuto conto anche delle diversecon­seguenze sugli interessi in gioco che si accompagnano all’applicazione dell’una ovvero dell’altra, rappresenta il punto nodale dell’intero impianto regolatorio [71]. La procedura di risoluzione viene, pertanto, a ritagliare uno spazio operativo tra l’interesse collettivo alla conservazione della banca in stato di dissesto(continuità delle funzioni critiche e mantenimento della stabilità finanziaria) e l’istanza di contenimento della “deriva” verso il sostegno pubblico, che l’autonomo intervento degli Stati aveva provocato nel soccorrere il proprio apparato bancario. Orbene, nel delicato bilanciamento tra gli interessi in gioco che la normativa persegue, occorre rilevare che l’interesse pubblico sotteso al principio di conservazione appare distinto [continua ..]


8. L'esclusione dell'interesse pubblico nelle motivazioni del SRB. Profili di incoerenza sistemica

Come si è più volte rimarcato nel presente lavoro, la BRRD (art. 32, par. 1, lett. c) e i decreti di recepimento (in particolare, il D.Lgs. n. 180/2015, all’art. 20,2° comma) prevedono che la risoluzione sia disposta quando la relativa autorità ha accertato la sussistenza dell’interesse pubblico [83]. Per verificare se nel caso in esame l’interesse pubblico potesse o meno trovare riscontro – e dunque se vi fossero o meno i presupposti per porre i due istituti in resolution – occorre esaminare le motivazioni che sono state addotte dalle diverse autorità, a vario titolo, coinvolte nella vicenda. Questo bisogno di fare chiarezza sorge giacché il tema dell’interesse pubblico, ancora insufficientemente meditato e definito, in assenza di approdi ricostruttivi e dogmatici stabili ed affidabili, risulta allo stato dell’arte bisognoso di ulteriori approfondimenti che ne permettano una più accurata catalogazione. Come si avrà modo di spiegare nel prosieguo dell’analisi, l’estrema genericità sul punto della disciplina sembrerebbe depotenziare fin dall’origine l’ambito di operatività della resolution, anche in considerazione del fatto che la liquidazione ordinata dei due istituti veneti è vicenda doppiamente eccezionale (ovvero eccezionale ri­spetto alla risoluzione, di cui sembrerebbero comunque ricorrere i presupposti, risoluzione che a sua volta è l’eccezione alla soluzione ordinaria, che nella costruzione della BRRD è per l’appunto la liquidazione). Il raggio di azione di tale disciplina dipende, ad ogni buon conto, dall’interpretazione, più o meno lata, che si intende accogliere di stabilità finanziaria e soprattutto dalla latitudine del concetto di interesse pubblico, dai contorni sfuggenti e forse preferibilmente definibili in negativo [84]. Sicché, quando si è dovuto affrontare il vero passaggio sul quale si regge tutta l’impalcatura del D.L. n. 99/2017 – e cioè come tutelare il risparmio e il rapporto di fiducia con le banche, salvaguardando nel contempo le ragioni del rischio di impresa e soprattutto le tasche dei contribuenti – tutti i nodi sono venuti al pettine [85]. Numerose al riguardo sono le distonie che emergono [continua ..]


8.1. Alla ricerca dell'interesse pubblico: dal piano europeo a quello nazionale

Viene allora da chiedersi in base a quali criteri si possa giungere ad accertare o a escludere la sussistenza dell’interesse pubblico, posto che, secondo l’opinione di au­torevoli commentatori, quella compiuta dalle autorità di risoluzione è una scelta sì altamente tecnica, ma che inevitabilmente, come in un sistema di vasi comunicanti, presenta evidenti tratti di contaminazione politica [96]. E non v’è dubbio che nel caso delle popolari venete, la necessità di impedire il bail-in abbia agito da catalizzatore nell’indurre le autorità coinvolte a dare prioritario rilievo alle ragioni della politica su quelle della tecnica [97]. A fronte di valutazioni distoniche che si contrappongono a quelle di coerenza sistemica (auspicate dalle istituzioni europee quando si diede avvio al processo di creazione dell’Unione bancaria), sono state applicate due definizioni diverse di “interesse pubblico”, una a livello comunitario e l’altra a livello domestico, che, secondo i primi commenti, rischiano seriamente di compromettere la coerente applicazione del quadro comunitario per la gestione delle crisi [98]. Rispetto al Governo italiano, che, se chiamato a farlo, valuta l’interesse pubblico relativamente ad un ambito separato e più ristretto, il Comitato unico di risoluzione (organo super partes) agisce in un’ottica di parità di trattamento e di salvaguardia di un interesse pubblico europeo globalmente inteso, che ovviamente è cosa diversa dagli interessi pubblici nazionali. Va da sé che l’indagine condotta dal SRB si fonda su una valutazione omnicomprensiva del mercato bancario europeo dinnanzi a singoli fallimenti; valutazione che, a causa della forte frammentazione che caratterizza tale settore, può persino appare difficilmente giustificabile e accettabile all’esterno [99]. In fondo, possono sussistere svariati fattori in grado di incidere sull’equilibrio generale di mercato; in mancanza di chiare linee comportamentali predefinite dal legislatore, non vi sono elementi di segno contrario volti ad escludere che l’interesse pubblico possa (debba?) essere individuato anche in ciascuno di essi [100]. Il problema sorge anzitutto perché la normativa speciale, regolatrice della materia, non risulta di grande ausilio [continua ..]


8.2. Public interest test e principio di proporzionalità

Le soluzioni ora richiamate mostrano, dunque, un’estrema farraginosità e scontano tutte le difficoltà connesse all’estrema eterogeneità della conformazione normativa dell’impianto regolatorio delle crisi bancarie, palesando, così, la sua incapacità di offrire soluzioni valide (in astratto) per tutte le tipologie di esplicazione dei pub­blici poteri nel quadro dei provvedimenti esperibili dalle autorità preposte ad avviare e gestire tali interventi. Gli è che, rispetto alla realtà fattuale in cui si collocano le criticità che interessano l’ente creditizio in difficoltà, ogni interpretazione dell’interesse pubblico risulterà strutturata secondo uno schema del tutto peculiare che impedisce a monte l’affer­mazione di paradigmi univoci e universali e che costringe a limitare tale indagine all’enunciazione di canoni necessariamente generici (ancorché funzionali ad essere declinati rispetto alla specifica fattispecie normativa quiviesaminata) [104]. Ne discende che il parametro generale alla cui stregua va circoscritto il relativo perimetro non può che essere ravvisato nel principio di proporzionalità [105], da cogliersi nella specifica declinazione riconosciutagli dal legislatore europeo in tale peculiare settore disciplinare [106]. L’intero procedimento teso a constatare la sussistenza o meno dei presupposti per l’avvio della resolution, vede pertanto l’autorità pubblica, cui è demandata detta fun­zione, protesa a soppesare, “ponderandoli”, i diversi interessi coinvolti nella situazione fattuale sottoposta al suo esame. Ciò si traduce nell’esigenza di verificare l’i­doneità della misura al raggiungimento degli scopi istituzionali, la necessità di quella misura e l’assenza di misure alternative e, infine, il rispetto della proporzionalità in senso stretto, ossia dell’imposizione del minor sacrificio possibile in capo al destinatario della misura [107]. A ben vedere, peraltro, nel singolare ambito settoriale in esame, la proporzionalità stricto sensu sembra assumere l’ulteriore significato della “minimizzazione dei costi della risoluzione” e, in particolare, del “contenimento degli oneri a carico della finanza pubblica”, [continua ..]


9. Il D.L. n. 99/2017: un tentativo di restaurazione dell'ordine bancario previgente?

Prima di porre termine a queste note di primo commento, appare ancora opportuno effettuare delle brevi osservazioni di segno ulteriore e – per qualche verso – più particolare. La storia delle crisi bancarie dimostra che le banche eccezionalmente sono state eliminate dal mercato e molto difficilmente sono fallite, nel senso che di rado esse sono state sottoposte ad una procedura liquidatoria che ne coinvolgesse tutte le attività e passività. In Italia la presenza di un sistema banco-centrico impone al Governo e alle autorità di settore la ricerca di soluzioni che minimizzino gli impatti più devastanti delle crisi bancarie sul sistema finanziario e sull’economia reale. Dalla fine del 2015 l’Italia ha sperimentato, in accordo con le autorità europee, tre diverse opzioni di intervento. La prima è il burden sharing con risoluzione, vendita delle banche risolte e rimborso dei detentori di titoli subordinati. La seconda è la ricapitalizzazione precauzionale con continuità aziendale e ristoro dei detentori di titoli. La terza è la liquidazione amministrativa con scorporo delle sofferenze e cessione a un soggetto terzo con risorse pubbliche e ristoro dei creditori. E mai è stata sperimentata la quarta fattispecie, quella tanto temuta del bail-in. In ognuna delle occasioni si è operato tutelando depositanti, correntisti, prenditori di credito e lavoratori dipendenti, con un’ottica di sistema che ha prevalso anche quando la grandezza delle banche non aveva un valore sistemico. Semmai, va detto che è stato fronteggiato un effetto di contagio che non si è mai concretamente manifestato, ma che in alcune circostanze poteva certamente presentarsi. La domanda che è stata posta in tutte e tre le occasioni è: si poteva fare diversamente? Onestà intellettuale vuole che si accettino le differenti condizioni date per i tre casi citati, che si comprenda il ruolo attivo del Governo nell’interlocuzione con le autorità europee e che si tenga conto del contributo degli enti privati. A condizioni date, si può ritenere che anche la soluzione “confezionata” per la crisi delle banche venete sia la più rispondente alle finalità enunciate in precedenza. La lca aveva funzionato egregiamente nel nostro ordinamento fino agli stravolgimenti del quadro normativo [continua ..]


10. Osservazioni conclusive

Pur nella consapevolezza della difficile reversibilità – quantomeno nel breve ter­mine – di molte delle scelte di politica legislativa da ultimo compiute, la perplessità maggiore è su come potrà conciliarsi una filosofia di intervento palesemente dirigistica e di stampo pubblicistico (che pare riportare il pendolo verso la legge bancaria del 1936, scolorendosi alquanto la svolta ideologica del TUB del 1993), con un impianto che è e rimane – almeno formalmente e vieppiù sostanzialmente sul lato del burden sharing della crisi – privatistico (e liberistico?) [131]. A fronte di evidenti carenze del sistema normativo ovvero in presenza di meccanismi disciplinari di indubbia complessità, si è passati con immediatezza da un sistema all’altro senza preoccuparsi di regolare questo transito nella fase di recepimento e di prima applicazione delle nuove disposizioni. L’Unione europea ha creato un corpus di norme, peraltro in continua e magmatica evoluzione, e ha moltiplicato le autorità di regolamentazione, di vigilanza e di gestione delle crisi. Ed è in qualche modo normale che si stia ancora cercando una sintesi fra tutte queste novità [132]. Un meccanismo ancora poco oliato, in cui la regolamentazione europea ha avocato a sé il processo di risanamento e risoluzione degli enti creditizi mentre è rimasto appannaggio dei singoli Stati nazionali l’istituto liquidatorio. All’interno del quadro normativo di gestione della crisi bancaria, il processo decisionale si articola in una serie di meccanismi concatenati ed a formazione progressiva, che vede coinvolte un ginepraio di autorità (Banca Centrale Europea e Single Resolution Mechanism, Commissione europea, governi e autorità nazionali) portatrici anche di interessi talora contrastanti e dove ampia è la discrezionalità sul se e il come una banca debba essere risolta, salvata oppure liquidata. Dove prevale chi riesce più rapidamente a «collegare e coordinare regole e saperi tecnocratici, indirizzi politici prevalenti in sede europea ed interessi nazionali» [133]. Dove non esiste un quadro comune per la liquidazione e le procedure nazionali che sono ancora applicabili, vuoi da sole – se non vi è interesse pubblico – vuoi in combinazione con [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3-4 - 2018