Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Considerazioni su una recente sentenza della Corte di Appello di Venezia in tema di prova della inscientia in capo al notaio dello stato di insolvenza di uno dei contraenti (di Girolamo Bongiorno, Professore emerito nell’Università di Roma “Sapienza”)


Muovendo da brevi considerazioni sull’onere della prova della conoscenza da parte del terzo dello stato di insolvenza del debitore, viene preso in esame il meccanismo delle presunzioni. Si esclude che tale strumento comporti l’automatica equiparazione tra conoscenza effettiva e conoscibilità dello stato di dissesto.

Nella specie si trattava di valutare se al notaio potesse attribuirsi la qualifica di operatore professionale in presenza della quale la valutazione della prudenza ed avvedutezza, ai fini dell’accertamento della scientia decoctionis, deve essere condotta con maggior rigore.

La Corte veneziana ha risposto in senso negativo osservando nella motivazione che il notaio non è aduso a valutazioni di natura economica e finanziaria e quindi non può pretendersi che egli effettui preliminarmente la verifica della solvibilità di uno dei contraenti.

Nella nota viene rilevato criticamente che, attraverso un abile uso della tecnica delle presunzioni, il curatore che agisce in revocatoria può raggiungere agevolmente il suo scopo equiparando l’a­stratta conoscibilità dell’evento alla sua effettiva conoscenza.

Analysis of a recent decision of the Court of Appeal of Venice concerning the proof, by the notary public, that he ignored the insolvency of the other contracting party

The author examines the presumptions that may lead to the prove of awareness of the debtor’s insolvency in revocatory actions. After a brief survey on the burden of proof of knowledge – by the third party – of the debtor’s state of insolvency, the author denies any equivalence between the effective knowledge and the knowability of the state of insolvency.

In the case studied, the Court of Appeal had to evaluate whether the notary public could be attributed as a “professional operator” which implies that the assessment of prudence and shrewdness, for the purposes of ascertaining the scientia decoctionis, must be conducted with greater rigor.

The Court of Appeal of Venice answered negatively, stating that the notary public is not used to assessments of an economic and financial nature and therefore cannot be expected to carry out a preliminary analysis of the solvency of the contracting parties.

The author critically points out that, through a skillful use of the technique of presumptive evidence, the trustee in bankruptcy can easily succeed in a revocatory action assuming that the hypothetical awareness of insolvency is equivalent to its actual knowledge.

Keywords: Actio pauliana in bankruptcy proceedings – presumptive evidence – effective knowledge and knowability – notary public.

MASSIMA In relazione al concreto contesto in cui opera è da escludere che il notaio, facendo uso della normale prudenza ed avvedutezza rapportata alle sue qualità personali e professionali, possa percepire i sintomi rilevatori di una situazione di difficoltà finanziarie dei contraenti. Non può pretendersi dal notaio la verifica dei dati di bilancio di una società con la quale entra in relazione per la conclusione di un affare al fine di accertarne il grado di solvibilità. Di conseguenza vanno rigettate le domande di revocatoria fallimentare di un atto di compravendita proposte ai sensi dell’art. 67, 1° e 2° comma, L. Fall. PROVVEDIMENTO: (Omissis) La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata perché, nell’escludere che i convenuti fossero riusciti a fornire la prova della ignoranza dello stato di insolvenza del debitore, idonea a vincere la presunzione iuris tantum contemplata, in tema di revocatoria fallimentare, nell’art. 67, primo comma, n. 1, legge fall., si è limitata a negare valore indiziario agli elementi presi in considerazione dal tribunale, senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento. Segnatamente, è stata ravvisata la violazione dei criteri di logica formale che presiedono al ragionamento presuntivo, in quanto “la Corte di Appello ha esaminato solo partitamente i singoli elementi circostanziali presi in considerazione dal Tribunale: in parte, ritenendoli solo “singolarmente” inconcludenti ossia inidonei a fornire una conoscenza univoca del fatto ignorato: tanto in relazione all’indizio fornito dalla prosecuzione dei rapporti in corso che non appare dirimente, potendo il debitore essere indotto a continuare le proprie prestazioni dalle più varie motivazioni, come quella di ottenere, almeno, dei pagamenti parziali o di accrescere le proprie garanzie. Tale conclusione è condivisibile in relazione all’indicato elemento indiziario preso e valutato come “unico fatto indiziante” (conformemente ai precedenti richiamati nella stessa sentenza di appello nei quali si ribadisce che “il semplice fatto della prosecuzione...non può di per sé...”: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 189 del 05/01/1995; id. Sez. 1, Sentenza n. 28299 del 21/12/2005; id. Sez. 1, Sentenza n. 1617 del 22/01/2009), ma non esonera il Giudice di merito a riconsiderare anche tale elemento indiziario unitamente a tutti gli altri, onde verificare se tutti gli indizi concorrenti, non si elidano a vicenda e realizzino un diverso grado di connessione logica tale da pervenire, secondo una valutazione unitaria complessiva, alla conoscenza del fatto ignorato; in parte, [continua..]
SOMMARIO:

1. Conoscenza effettiva e conoscibilità astratta dello stato di insolvenza - 2. Le decisioni blindate dei giudici di merito - 3. La portata ed i limiti dell’art. 2729 del codice civile - 4. Gli indizi, le congetture, i segni, i sospetti, gli ammennicoli - 5. L’equiparazione dell’azione revocatoria di cui al 2° comma dell’art. 166 c.c.i. alle ipotesi del 1° comma - 6. La decisione della Corte di Appello di Venezia sull’attribuzione al notaio della qualifica di operatore professionale - NOTE


1. Conoscenza effettiva e conoscibilità astratta dello stato di insolvenza

Come ho avuto occasione di ricordare in un mio recente scritto [1] quando il curatore agisce in revocatoria ai sensi del secondo comma dell’art. 166 del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (già art. 67 L. Fall.) si avvale quasi sempre del meccanismo delle presunzioni per fornire la prova della conoscenza, da parte del terzo, dello stato di insolvenza del debitore [2]. Considerato che l’utilizzazione della prova per presunzioni implica l’apprezzamento del giudice degli indici rivelatori del dissesto, si è sempre discusso e si continua a discutere sulla ricostruzione della condizione soggettiva di revocabilità [3]. Va subito avvertito che il ricorso allo strumento delle presunzioni non comporta l’automatica equiparazione tra conoscenza effettiva e conoscibilità astratta dello stato di dissesto da parte del soggetto che abbia intrattenuto rapporti con il debitore, poi fallito. Al riguardo sarà bene notare che la giurisprudenza tende ad introdurre surrettiziamente una sostanziale equiparazione tra i concetti di conoscenza e conoscibilità, consentendo al curatore di assolvere all’onere di provare la scientia decoctionis del convenuto in revocatoria mediante l’utilizzazione di elementi presuntivi attinenti alla conoscibilità dell’insolvenza. Si tratta, solitamente, di circostanze esterne che dovrebbero ingenerare in un soggetto di ordinaria prudenza e avvedutezza il ragionevole convincimento della situazione di dissesto dell’altro contraente [4]. Come ognun vede, equiparando l’astratta conoscibilità dell’evento alla sua effettiva conoscenza, attraverso un abile uso della tecnica delle presunzioni il curatore che agisce in revocatoria può raggiungere agevolmente il suo scopo. Con riferimento alla situazione psicologica del terzo convenuto in revocatoria si tende infatti a ridurre la scientia decoctionis ad uno stato d’animo puramente soggettivo; sicché per stabilire se gli indici sintomatici dell’insolvenza siano stati tali da poter essere percepiti dal convenuto in revocatoria nella loro effettiva portata viene attribuito particolare rilievo alla concreta posizione assunta dal destinatario dell’atto nei confronti del debitore (frequenza, continuità e tipologia dei rapporti intrattenuti), nonché dal suo ruolo professionale, indice della disponibilità di [continua ..]


2. Le decisioni blindate dei giudici di merito

Consapevoli di essere accusati di forzature interpretative dirette a ridurre l’onere probatorio del curatore fallimentare mediante il ricorso a presunzioni di non rigorosa logicità, i giudici di merito tendono a blindare le proprie decisioni osservando che in tema di revocatoria fallimentare il principio che assimila la conoscibilità alla effettiva conoscenza dello stato di dissesto in cui versa il debitore, muovendo da un ragionamento di tipo presuntivo, deve considerarsi a tutti gli effetti fondato su elementi gravi, precisi e concordanti, attraverso il riferimento a criteri di comune capacità di comprensione e indagine. Si legge in numerose decisioni che la revoca può fondarsi anche su elementi indiziari, tali da fare presumere l’effettiva scientia decoctionis da parte del creditore. Come è agevole rendersi conto in questo modo la valutazione del giudice si basa sulla concreta situazione psicologica del terzo convenuto in revocatoria «attraverso il riferimento a criteri di comune capacità di comprensione ed indagine» (espressione ricorrente in numerose decisioni). Ma altro è dire, in astratto, che determinati soggetti (operatori professionali e comunque qualificati nel mondo dell’economia) sono dotati di specifiche conoscenze tecniche, altro è far discendere, automaticamente ed acriticamente da questa premessa che tali soggetti, accedendo a speciali fonti informative, si avvalgono di strumenti di indagine privilegiati che ad essi consentono di venire a conoscenza, prima di ogni altro, dello stato di dissesto in cui sono venuti a trovarsi coloro con i quali intrattengono rapporti. L’errore di base di questa impostazione sta nel modo non corretto con il quale vengono utilizzate le presunzioni semplici per fornire la prova della conoscenza effettiva della scientia decoctionis da parte del convenuto in revocatoria. Ciò significa che l’uso improprio delle presunzioni finisce con l’attribuire significato eccessivo alla circostanza che l’atto da revocare sia stato compiuto da un operatore professionale o comunque qualificato (quali le banche e le società esercenti l’attività di finanziamento); da tale circostanza infatti si inferisce che il convenuto in revocatoria, per la sua peculiare posizione, ha maggiore sensibilità nel cogliere e nel valutare i segnali sullo stato di decozione del soggetto col quale [continua ..]


3. La portata ed i limiti dell’art. 2729 del codice civile

Quel che interessano in questa sede sono le presunzioni semplici; in base a questa tecnica il giudice, da una pluralità di fatti secondari, desume l’esistenza del fatto principale ignoto. Fonti di presunzioni possono essere i fatti non contestati, i fatti notori, le regole di esperienza storicamente accertate, le pratiche individuali e collettive solitamente seguite in determinati contesti. Il legislatore si è inoltre dato carico di precisare che l’esistenza del fatto ignorato può essere desunta solo in presenza di presunzioni «gravi, precise e concordanti» che non si possono ammettere «nei casi in cui la legge escluda la prova per testimoni». Un chiaro invito alla prudenza del giudice: prima di affermare l’esistenza del fatto principale occorre verificare se effettivamente più fatti secondari concorrono verso lo stesso risultato. Sicché «la maggiore o minore certezza, probabilità del risultato dipende dalla maggiore o minore esattezza, sicurezza della regola o massima esperienza adoperata nella deduzione, cosa che era ben presente al legislatore laddove ha parlato di gravità e precisione» [7]. Il vero problema delle presunzioni è che la formula della «gravità, precisione e concordanza» non riesce a definire in modo netto quando ed a quali condizioni le presunzioni semplici costituiscano una prova del fatto; può infatti accadere che le fonti di presunzione «non consentano di trarre alcunché di utile per la prova dei fatti, perché assolutamente vaghe o contraddittorie, ma può anche accadere che esse dicano qualcosa di significativo rispetto ai fatti da provare» [8]. Ancora più difficile è individuare la portata e i limiti dei criteri fissati dall’art. 2729 del codice civile ed appare quanto mai problematica la determinazione del significato dei requisiti della «precisione», della «gravità» e della «concordanza». In questo stato di cose, la diffidenza verso il modo, spesso non corretto, con cui potrebbero essere utilizzate le presunzioni semplici dovrebbe suggerire una lettura restrittiva della norma; di contro la tendenza dei giudici di merito, specialmente nelle azioni revocatorie fallimentari, è quella di ritenere che una sola presunzione semplice sia sufficiente per fornire la prova del fatto. Si pensi [continua ..]


4. Gli indizi, le congetture, i segni, i sospetti, gli ammennicoli

Occorre prendere le mosse dalla significativa posizione di Carlo Lessona che distingueva la prova dalla presunzione, dall’indizio, dalla congettura, dal segno, dal sospetto e dall’ammennicolo [11]. Ora, a ben guardare, molti dei c.d. fenomeni rivelatori dello stato di insolvenza, sui quali solitamente si basano i giudici di merito, non assurgono neppure al rango di presunzioni e quindi non consentono di trarre concreti elementi di convincimento o argomenti di prova. In questi casi, per dirla con Lessona, spesso si tratta di indizi, di congetture, di segni, di sospetti, talvolta addirittura di ammennicoli, destinati a svolgere una funzione meramente accessoria nel contesto della valutazione delle prove. Non sembra corretto invocare quali prove della scientia decoctionis fenomeni che assumono un valore probatorio minimo, e comunque una portata di gran lunga inferiore a quella delle presunzioni semplici. Si tratta, a tutto concedere, di semplici indizi, di per sé insufficienti a determinare il convincimento del giudice; come tali essi possono soltanto concorrere ad integrare altre fonti di prova.


5. L’equiparazione dell’azione revocatoria di cui al 2° comma dell’art. 166 c.c.i. alle ipotesi del 1° comma

I criteri seguiti dalla giurisprudenza per aggirare le difficoltà che sorgono quando appare arduo e difficile fornire la prova analitica e completa di un fatto particolarmente complesso «e per qualche aspetto sfuggente» sono stati sottoposti a severe critiche da parte della dottrina prevalente. È stato osservato che in questi casi i giudici fanno ricorso alla creazione di schemi tipici di situazioni di fatto «che tendono a ripetersi in modo relativamente costante in particolari settori dell’esperienza». All’interno di questi schemi vengono individuate costellazioni di indizi, considerate tipiche di quelle fattispecie, sul presupposto che quando si verificano determinate circostanze si è in presenza del fatto che occorre accertare; sicché l’attore assolverebbe all’onere della prova del fatto posto a fondamento della propria domanda mediante il ricorso ad uno schema tipico ovvero a costellazioni di indizi da cui far derivare il fatto da provare [12]. Applicando queste tecniche alle azioni revocatorie fallimentari di cui all’art. 66 del Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza (in avanti c.c.i.) il curatore verrebbe esonerato dal fornire la piena prova del fatto costitutivo, essendo sufficiente un singolo indizio tipico, anche se non idoneo a fondare la dimostrazione presuntiva del fatto. Per converso il convenuto in revocatoria, non potendo avvalersi di indizi, avrebbe l’onere di dimostrare il contrario attraverso vere e proprie prove e quindi sarebbe tenuto ad allegare fatti e circostanze idonei a dimostrare che al momento dell’ope­razione (pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, atti a titolo oneroso o costitutivi di un diritto di prelazione, ecc.) effettivamente ignorava lo stato di dissesto dell’altra parte. Ma non v’è chi non veda come in tal modo si finisca col sovvertire giudizialmente le regole in materia di prova; ed infatti, nel momento stesso in cui il giudice consente al curatore di addurre soltanto fatti secondari o semplici elementi indiziari, senza pretendere che vengano fornite prove in senso proprio del fatto costitutivo, sostanzialmente si ribalta sul terzo convenuto in revocatoria l’onere di provare il contrario. Si perviene così ad una vera e propria equiparazione dell’azione revocatoria di cui al secondo comma dell’art. 67 L. Fall. (oggi 166 c.c.i.) alle ipotesi [continua ..]


6. La decisione della Corte di Appello di Venezia sull’attribuzione al notaio della qualifica di operatore professionale

In tal senso si è espressa la Corte di Appello di Venezia con la sentenza n. 727 del 29 marzo 2022 che ha deciso un giudizio di revocatoria fallimentare. Nella specie si trattava di valutare se al notaio potesse attribuirsi la qualifica di operatore professionale “in presenza del quale è richiesto che la valutazione della prudenza ed avvedutezza, ai fini dell’accertamento della scientia decoctionis, debba essere condotta con maggior rigore”. La motivazione della sentenza muove dalla considerazione che il procedimento logico al quale i giudici di legittimità devono attenersi nella valutazione delle risultanze probatorie acquisite nelle fasi di merito si articola: a) in primo luogo nei due momenti della valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza; b) nell’osservare, invece, quelli che, presi singolarmente presentino una potenzialità parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria. Soltanto dopo va compiuta “la valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova preventiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi”. La Curatela aveva rilevato che in tema di revocatoria fallimentare deve attribuirsi peculiare rilevanza alla condizione personale dell’accipiens, sicché la misura della diligenza esibile da quel soggetto va riferita alla categoria di appartenenza dello stesso ed all’oneri di informazione tipico del relativo settore di operatività. Sicché ad un professionista esperto come il notaio convenuto in revocatoria ex art. 166 c.c.i. non poteva sfuggire che i bilanci della venditrice denotassero “un drastico peggioramento dell’andamento aziendale rispetto agli esercizi precedenti”, come risultava da una consulenza tecnica disposta nel corso del giudizio. Al riguardo la Corte veneziana osserva che “Da un notaio, non aduso a valutazioni di materia economica e finanziaria non può pretendersi che effettui la verifica dei dati di bilancio della società con la quale entra in relazione per la conclusione di un affare personale al fine di accertarne il grado di solvibilità, condotta che è normalmente richiesta, invece, agli erogatori istituzionali del credito, in [continua ..]


NOTE