Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Profili e problemi dell´esdebitazione dell´imprenditore commerciale insolvente durante la procedura di liquidazione giudiziale: l´occasione mancata del recepimento della direttiva (UE) 2019/1023 (di Massimo Rossi, Professore associato di Diritto commerciale nell’Università LUMSA di Roma)


Il saggio affronta il tema delle esdebitazioni e delle interdizioni disciplinate nella direttiva europea sui quadri di ristrutturazione preventiva del 2019, confrontandolo con quanto previsto dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, all’indomani del recepimento in Italia di quella direttiva. Infatti, per quanto l’esdebitazione esistesse già nell’ordinamento italiano, sia nell’ambito del concordato preventivo sia nel contesto della liquidazione giudiziale, la Direttiva ha suggerito al legislatore alcuni interventi; tuttavia, il D.Lgs. n. 83/2022, di recepimento della normativa unionale, ha lasciato irrisolti alcuni problemi applicativi del nuovo istituto, che il saggio mette in rilievo e per i quali prospetta alcune soluzioni.

Outlines and problems of the entrepreneurs' discharge of debt during the judicial liquidation procedure: the wasted opportunity of the transposition of directive (EU) 2019/1023

The essay deals with the field of the discharge of debt and disqualifications included in the Preventive restructuring framework directive of 2019, comparing it with that which is indicated by the Italian Crisis and Insolvency Code after the transposition of the European directive into the domestic insolvency regime. Although discharge of debt already existed in the Italian regime, both in composition with creditors and in judicial liquidation, the Directive had an impact; nevertheless, the Legislative Decree No. 83/2022, the aim of which was the transposition of the Directive, left some application problems of the new institute unresolved, which the essay highlights and for which it suggests some solutions.

Keywords: composition with creditors – discharge of debt – disqualifications – judicial liquidation – directive on preventive restructuring framework – fresh start.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’esdebitazione dell’imprenditore commerciale insolvente - 3. Liberazione dai debiti e interdizioni - 4. Disciplina europea e concordato preventivo: l’esdebitazione - 5. (Segue): il piano di rimborso - 6. L’esdebitazione nella liquidazione giudiziale - 7. (Segue): l’attuazione della disciplina “europea” e l’esdebitazione liquidatoria: profili problematici - 8. Interpretazione adeguatrice dell’ordinamento interno ed effetti diretti della Direttiva - 9. (Segue): effetti diretti della Direttiva e procedura di liquidazione giudiziale - 10. Conclusione - NOTE


1. Premessa

La Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, in tema di quadri di ristrutturazione e di insolvenza, che è stata recepita in Italia col D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, il cui intervento normativo si è risolto nella novella delle disposizioni del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (c.c.i.), di là dall’insistito richiamo alla ristrutturazione (preventiva) delle imprese in crisi, al fine di consentire «loro di continuare a operare» (cfr. Considerando 1), sembra in realtà risolversi, a ben vedere, nell’intento di permettere l’esdebitazione tanto dell’impresa, quanto dell’imprenditore, vale a dire del referente soggettivo cui l’attività e, soprattutto, i suoi risultati, sono imputati: la liberazione dai debiti pregressi è, infatti, il mezzo attraverso il quale, nel primo caso, l’impresa può continuare a operare, mentre, nel secondo, l’imprenditore può concretamente beneficiare «di una seconda opportunità» (ancora il Considerando 1). Si noti, del resto, dal primo punto di vista, che la ristrutturazione e, più in particolare, quelli che il testo italiano della Direttiva chiama i “quadri di ristrutturazione”, vale a dire, in un linguaggio a noi più consueto, le misure, gli accordi e le procedure [1], pur diffusamente evocati nel provvedimento unionale, non trovano in esso una compiuta disciplina, giacché il testo normativo europeo si risolve, piuttosto, nel prevedere le circostanze nelle quali è consentita la «modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell’impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell’impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti operativi necessari, o una combinazione di questi elementi» (art. 2, par. 1, n. 1, Dir. cit.), al fine di «impedire l’insolvenza e assicurare la loro sostenibilità economica, fatte salve altre soluzioni volte a evitare l’insolvenza, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale» (art. 4, par. 1, Dir. cit.) [2]: tutti interventi [continua ..]


2. L’esdebitazione dell’imprenditore commerciale insolvente

In questa sede ci si occuperà soltanto dell’esdebitazione dell’imprenditore [7]: la quale, in linea di principio, può prescindere dalla ristrutturazione (e dalla esdebitazione) dell’impresa, che la Direttiva riserva ai quadri di ristrutturazione; e, in particolare, ci si interrogherà sulle forme, sui modi e sui limiti nei quali essa è attuata nell’ordinamento italiano. All’esdebitazione il legislatore europeo dedica il titolo terzo della Direttiva (artt. 20-24) che, nel rivolgersi espressamente all’imprenditore [8], nell’art. 2, par. 1, n. 9, reca di tale figura una nozione diversa [9] da quella propria dell’ordinamento italiano e, più precisamente, del Codice civile, giacché, per un verso, vi comprende esclusivamente le persone fisiche e, per altro verso, vi annovera coloro che esercitano «un’attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale» [10]: là dove il riferimento all’attività imprenditoriale appare il frutto, ancora una volta, di una traduzione italiana poco controllata [11], come dimostra la circostanza che le versioni inglese e francese della Direttiva fanno riferimento, in termini più precisi, all’attività industriale. Ai nostri fini, sembra dunque indubitabile che l’intento del legislatore europeo sia quello di estendere l’istituto dell’esdebitazione ben oltre il perimetro normativo dell’imprenditore commerciale e, segnatamente, di quello assoggettato alla liquidazione giudiziale: tuttavia, ci si dedicherà soltanto alla disciplina dettata per quest’ultimo [12], giacché con riguardo a essa il recepimento della Direttiva presenta profili problematici di particolare rilievo [13]. Si tratta di considerare, al riguardo, che il legislatore domestico, nell’attuare le disposizioni europee, avrebbe dovuto prevedere per tutti gli imprenditori (nel senso appena chiarito: quindi anche per quelli commerciali sottoposti a liquidazione giudiziale) risultati insolventi almeno una procedura che contempli, anche alternativamente, la liquidazione del patrimonio esistente o un piano di rimborso [14], alla quale consegua, entro il termine triennale al quale già si è fatto cenno, l’esdebitazione integrale (artt. 20 e 21 Dir. cit.). Da un primo punto di vista, si deve infatti osservare [continua ..]


3. Liberazione dai debiti e interdizioni

Nel disegno tracciato dal legislatore europeo, nondimeno, l’ampia possibilità dell’integrale liberazione dai debiti si accompagna alla previsione di alcune norme volte a permettere all’imprenditore di intraprendere una nuova attività [32]: in questo contesto, assiologicamente molto diverso da quello occupato dall’esdebitazione del debitore civile [33], la liberazione dai debiti rappresenta la premessa sostanziale per rendere effettiva una nuova intrapresa economica del debitore insolvente, la quale tuttavia ha bisogno di essere resa esperibile mediante la rimozione di ogni eventuale vincolo formale all’esercizio di una nuova attività [34]. Assai indicative, in questo senso, sono non solo la circostanza che il tema delle interdizioni, a dimostrazione della sua centralità, contribuisca a formare la rubrica stessa del titolo III della Direttiva, dedicato appunto a «esdebitazioni e interdizioni», ma soprattutto la disciplina dettata dal suo art. 22, a mente della quale gli Stati membri devono provvedere affinché, «qualora l’imprenditore insolvente ottenga l’esdebitazione conformemente alla presente direttiva, qualsiasi interdizione dal­l’accesso a un’attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale e dal suo esercizio per il solo motivo dell’insolvenza cessi di avere effetto, al più tardi, alla scadenza dei termini per l’esdebitazione» [35]. Si tratta di osservare, infatti, che, di là dalla possibilità che la procedura di gestione dell’insolvenza prosegua oltre il termine triennale fissato per l’esdebitazione: eventualità che, come osservato, la Direttiva contempla apparentemente soltanto per le procedure di realizzazione e distribuzione del patrimonio dell’imprenditore; di là da questo, si diceva, all’indomani dell’esdebitazione non soltanto la disciplina europea circoscrive la composizione della massa patrimoniale destinata a essere oggetto di tale realizzazione e distribuzione, ma sembra anche rimuovere ogni residuo vincolo all’operatività giuridica dell’imprenditore: due profili, quelli appena enunciati, che, come si vedrà, sembrano dirompenti per l’ordinamento italiano, tradizionalmente ispirato, al contrario, almeno quando si tratti della procedura fallimentare (e ora di liquidazione [continua ..]


4. Disciplina europea e concordato preventivo: l’esdebitazione

Come si notava, secondo la Direttiva, gli ordinamenti nazionali devono prevedere che l’imprenditore insolvente abbia accesso ad almeno una procedura che conduca all’esdebitazione integrale dei debiti: il che, per quel che riguarda l’imprenditore commerciale, induce innanzitutto a interrogarsi se gli effetti esdebitatori associati al concordato preventivo siano già, di per sé soli, sufficienti a dare attuazione alle previsioni europee, come sembrerebbe potersi affermare, quantomeno, sul piano dei tempi entro i quali tale beneficio deve essere assicurato, ma anche, in definitiva, sul distinto versante del contenuto di siffatta esdebitazione, che appare a ben vedere analoga a quella tratteggiata dalla Direttiva. Del resto, come è noto, nel vigente sistema italiano, lasciando in questa sede da parte le forme di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e le liquidazioni coatte amministrative, sono storicamente due le procedure destinate a regolare l’insolvenza dell’imprenditore commerciale, vale a dire i concordati preventivo [36] e fallimentare e la liquidazione giudiziale, e, a entrambe, l’ordinamento associa effetti liberatori dai debiti di colui che vi sia assoggettato, sebbene mediante forme distinte a seconda che si tratti del primo o del secondo tipo di procedura. Difatti, per quanto solo di recente il legislatore italiano abbia finalmente preso espressamente atto degli effetti esdebitatori conseguenti all’omologazione del concordato [37], la dottrina assegna da tempo anche a tale procedura un’efficacia largamente ascrivibile, almeno sul piano funzionale, ma probabilmente anche da un punto di vista strutturale, a quel che comunemente s’intende per esdebitazione [38]. Si allude, nel dettaglio, alla circostanza, propria già dei concordati contemplati nella legge fallimentare e ora confermata anche in quelli regolati dal Codice della crisi, secondo la quale il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori e la sua efficacia si estende, di norma, anche ai soci illimitatamente responsabili della società debitrice (artt. 117 e 248 c.c.i.). Infatti, sebbene si sia notato che il tenore letterale delle disposizioni, alquanto imprecisamente, fa riferimento a un obbligo per indicare, più esattamente, un effetto negativo, cioè un vincolo [39], rivolto ai creditori anteriori [40], il cui contenuto, [continua ..]


5. (Segue): il piano di rimborso

Così inquadrati gli effetti esdebitatori riconducibili all’omologazione dei concordati, si deve osservare che, per quanto la Direttiva detti una disciplina meno che scarna del piano di rimborso, le poche disposizioni che a esso si rivolgono, tracciando un istituto che si risolve in un «programma di pagamento di determinati importi in determinate date da parte dell’imprenditore insolvente a favore dei creditori, o il trasferimento periodico ai creditori di determinate parti del reddito disponibile dell’imprenditore durante i termini per l’esdebitazione» (art. 2, par. 1, n. 11) [49], eventualmente condizionato a un provvedimento di omologazione da parte di un’autorità giudiziaria (art. 21, par. 1, lett. a) e potenzialmente subordinato al consenso della maggioranza dei creditori (Considerando 74), inducono a interrogarsi se tale fattispecie ricorra già nel concordato preventivo. In quest’ultima procedura, infatti, sembrano emergere i caratteri propri della esdebitazione europea, giacché, come si è potuto notare, l’omologazione del concordato approvato dai creditori segna l’estinzione dei titoli originari delle obbligazioni complessivamente gravanti sul debitore, rendendo così quei debiti non semplicemente inesigibili da parte dei creditori ma, più esattamente, determinandone l’estinzione; né sembra possibile replicare che, il più delle volte, all’estinzione del­l’ob­bligazione originaria consegua il sorgere di una nuova e distinta obbligazione a carico del debitore, dal momento che anche nel quadro tracciato dalla Direttiva è consentito che l’esde­bitazione consegua comunque a una qualche forma di rimborso, sia pure parziale, dei creditori: il quale, d’altronde, potrebbe essere anche successivo e non necessariamente precedente al conseguimento dell’effetto esdebitatorio. In secondo luogo, si tratta anche di rilevare che l’omologazione del concordato preventivo, che deve intervenire nel termine di dodici mesi dalla presentazione della domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza di cui all’art. 40 c.c.i. (art. 113, 2° comma, c.c.i.), e dunque ampiamente entro il termine triennale fissato dalla Direttiva, oltre a generare il predetto effetto estintivo delle obbligazioni originarie, restituisce al debitore la piena gestione [continua ..]


6. L’esdebitazione nella liquidazione giudiziale

Difatti, anche nel caso della liquidazione giudiziale, come per i concordati, il legislatore del Codice della crisi si è posto sul solco tracciato dalla legge fallimentare novellata nel 2006, continuando a disciplinare, agli artt. 278 ss., sotto il capo del­l’esdebitazione, una forma di liberazione dai debiti che opera ex lege, pur se al­l’esito di una verifica giurisdizionale della sussistenza delle condizioni previste dalla legge [54], incidendo, almeno espressamente, sull’esigibilità del credito, vale a dire sul potere del creditore di far valere, nelle forme consuete, la responsabilità patrimoniale del proprio debitore, per lo più rispetto ai debiti originati nell’esercizio dell’attività d’impresa: e anzi, a differenza dell’art. 143 L. Fall., che non si preoccupava di definire l’esdebitazione ma si limitava bensì a disporre che il tribunale, verificata la ricorrenza delle condizioni previste dalla legge, «dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali», l’art. 278, 1° comma, c.c.i., per alcuni in termini ancora più chiari che nel passato [55], dispone che «l’esdebitazione consiste nella liberazione dai debiti e comporta l’inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell’ambito di una procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata» [56]. Nel recente passato, il riferimento all’inesigibilità del credito, vale a dire all’as­senza di forme di tutela dell’interesse del creditore alla soddisfazione della propria pretesa, alimentava l’idea, molto diffusa nel vigore della legge fallimentare novellata, che la liberazione dai debiti si sviluppasse non tanto sul versante della struttura dell’obbligazione, segnatamente determinandone l’estinzione, ma su quello, secondo alcune impostazioni a essa esterno ma non ovviamente estraneo, della responsabilità patrimoniale, la quale del resto si compendia nell’insieme dei poteri attribuiti al creditore, in caso di inadempimento imputabile al debitore della prestazione dovuta, per assicurarsi la realizzazione delle proprie ragioni di credito [57], e che si risolve, essenzialmente, nell’azione esecutiva sui beni del debitore. In particolare, la sottolineatura del momento attuativo del [continua ..]


7. (Segue): l’attuazione della disciplina “europea” e l’esdebitazione liquidatoria: profili problematici

Tralasciando, però, in questa sede i molteplici problemi e, per altro verso, anche i profili più direttamente procedimentali della dichiarazione di inesigibilità [67], si deve osservare che la scelta, come detto di per sé non imprescindibile, di attuare la liberazione dai debiti europea nella liquidazione giudiziale, ha reso necessario modificarne la disciplina prevista dalla legge fallimentare, che, a differenza di quanto disposto dalla Direttiva, per l’attribuzione di tale beneficio non prevedeva un termine diverso, e se del caso anticipato, rispetto alla chiusura della procedura di fallimento [68]. Più in particolare, nel sistema della legge fallimentare novellata, l’art. 143 prevedeva che l’esdebitazione fosse, in ogni caso, successiva alla conclusione della procedura: o perché dichiarata con il decreto di chiusura del fallimento o perché disposta, sempre con decreto, su ricorso del debitore presentato entro l’anno successivo. In quel sistema, perciò, non si dava l’eventualità di alcuna sovrapposizione fra lo svolgimento della procedura e la liberazione dai debiti, se non quella eventualmente originata dalla prosecuzione dei giudizi pendenti alla data di chiusura del fallimento per effetto del compimento della ripartizione finale dell’attivo: ma, in quel caso, la possibilità di una sopravvenienza attiva riceveva la medesima disciplina prevista per la ripartizione di eventuali residui degli accantonamenti e consentiva il relativo riparto a favore dei creditori concorrenti, nonostante l’eventuale esdebitazione intervenuta medio tempore. Invece, l’art. 279, 1° comma, c.c.i., già nella sua versione originaria, ha previsto che il debitore abbia accesso all’esdebitazione di regola alla chiusura della liquidazione giudiziale [69] o, comunque, ed è questo il punto che s’intende mettere in rilievo, entro tre anni [70] dalla sua apertura, indipendentemente dall’avvenuta conclusione della procedura. Il senso di quella previsione, già al momento della sua prima introduzione nell’ordinamento, del resto, poteva essere colto alla luce della proposta di direttiva europea in tema di insolvenza ed esdebitazione, la cui approvazione, a quella data, era ormai prossima, e soprattutto delle indicazioni già confluite nella Raccomandazione 2014/135/UE del 12 marzo 2014 [71], [continua ..]


8. Interpretazione adeguatrice dell’ordinamento interno ed effetti diretti della Direttiva

In questo senso, si capisce il tentativo, da più parti intrapreso come si è riferito, di superare in via interpretativa i molti nodi problematici che si sono appena messi in rilievo e che si frappongono a chi intenda offrire della esdebitazione nella liquidazione giudiziale una lettura di integrale conformità alla liberazione dai debiti europea; ma si tratta di prospettive che, se per un verso possono indubbiamente avvalersi delle intenzioni del legislatore storico, per altro verso si scontrano col complesso, articolato e rigido sistema della formazione, amministrazione e liquidazione del patrimonio sottoposto a liquidazione giudiziale [80] e che, proprio per questo, non presentano la medesima solidità a seconda che ci si riferisca al testo del Codice della crisi precedente alle novelle apportate col D.Lgs. n. 83/2022 [81] o a quello vigente dal 15 luglio 2022. Quanto al primo, infatti, si devono considerare due ordini di ragioni che impediscono una diversa interpretazione del sistema dell’esdebitazione nella liquidazione giudiziale quale descritto sopra: vale a dire, innanzitutto, che né la Raccomandazione, prima, né la Direttiva (UE) 2019/1023, poi, potevano ancora esercitare un effetto innovativo per l’ordinamento interno. Difatti, per un verso, una simile efficacia è esclusa, in linea di principio, per le raccomandazioni [82], ma, per altro verso, nel caso di specie non poteva attribuirsi neppure alla Direttiva, la quale, pur formalmente in vigore dal 16 luglio 2019, non soltanto, in linea generale, prevedeva, come di consueto, un termine ben più lungo per il suo recepimento nell’ordinamento interno, fissato dall’art. 34 al 17 luglio 2021, e prorogabile di un anno [83], ma nemmeno avrebbe potuto aspirare a generare alcun vincolo indiretto, per il medio di un’interpretazione adeguatrice, proprio a motivo di un quadro normativo, quello italiano [84], esplicitamente confliggente con alcune disposizioni della Direttiva e, segnatamente, con quelle relative non tanto ai termini per l’esdebitazione, quanto ai relativi effetti sulla procedura di liquidazione giudiziale eventualmente ancora in corso [85]. D’altra parte, e si viene così al secondo ordine di ragioni, è pure dubbio che il meccanismo dell’esdebitazione delineato dalla Direttiva, di per sé, incida sul piano, distinto, del novero degli effetti [continua ..]


9. (Segue): effetti diretti della Direttiva e procedura di liquidazione giudiziale

Seguendo questa impostazione, si può osservare che, per quanto il legislatore italiano non abbia inteso chiarirlo espressamente, l’eventualità che l’esdebitazione preceda la chiusura della liquidazione giudiziale è destinata a condizionare le operazioni di liquidazione del patrimonio, nel senso, in particolare, che la data della dichiarazione di inesigibilità dei crediti segna anche il momento conclusivo per la definizione della c.d. massa attiva, non anche, invece, per l’inizio della relativa realizzazione e distribuzione, per impiegare la terminologia della direttiva. Per tale ragione, muovendo dalla circostanza, già messa in luce, in forza della quale a mente dell’art. 21, par. 3, della Direttiva «gli Stati membri possono disporre che un’esdebitazione non comprometta la prosecuzione di una procedura di insolvenza che comporti la realizzazione e la distribuzione dell’attivo dell’imprenditore che rientrava nella massa fallimentare di tale imprenditore alla data di scadenza del termine di esdebitazione», si può segnalare che la Direttiva abbia assegnato al legislatore interno la scelta fra far coincidere temporalmente la liberazione dai debiti con la cessazione di ogni attività di liquidazione o, all’opposto, permettere la continuazione della liquidazione ma, al più, solo del patrimonio esistente nella massa attiva al momento della esdebitazione. Ne discende che la previsione dell’art. 281, comma 5, c.c.i., nella parte in cui dispone che «l’esdebitazione non ha effetti sui giudizi in corso e sulle operazioni liquidatorie, anche se posteriori alla chiusura della liquidazione giudiziale disposta a norma dell’art. 234» può essere adesso interpretata, in un’ottica sistematica, come espressiva dell’intento del legislatore italiano di non «compromettere la prosecuzione della procedura» (art. 21, par. 3, della Direttiva) a motivo dell’intervenuta esdebitazione. Nondimeno, l’esigenza di limitare tali attività di realizzazione dell’attivo, al più, a quanto in esso compreso alla data dell’esdebitazione, secondo i confini tracciati nell’art. 21, par. 3, della Direttiva, suggerisce di ritenere che la massa attiva destinata alla liquidazione sia circoscritta al compendio esistente al momento della pronuncia dell’inesigibilità: nel [continua ..]


10. Conclusione

Nondimeno, il ricorso al meccanismo degli effetti diretti della Direttiva sembra poter offrire un più solido fondamento a quelle impostazioni, ispirate senza dubbio a buon senso, che dinanzi alla nuova esdebitazione nella (e nelle more della) liquidazione giudiziale propendono per la formazione di patrimoni separati intestati al debitore e, conseguentemente, per la parziale disapplicazione delle disposizioni in materia di effetti dell’apertura della procedura nei confronti del debitore (artt. 142 ss. c.c.i.). Vale però la pena di rammentare, ancora una volta, che si tratta di un espediente la cui necessità discende dalla circostanza di non aver ritenuto sufficiente, e di voler continuare a farlo, l’esdebitazione offerta all’imprenditore commerciale insolvente nel contesto del concordato preventivo, e di aver perciò inteso operare sull’esdebi­tazione a suo tempo prevista alla chiusura del fallimento e, ora, in quella di liquidazione giudiziale, senza avvedersi fino in fondo degli effetti che tale scelta, operata semplicemente fissando un termine massimo triennale entro il quale consentire al debitore di avvalersi di tale beneficio, avrebbe potuto originare nel più ampio contesto della procedura ancora aperta. Si deve considerare, tuttavia, che il possibile ricorso all’applicazione diretta della Direttiva – oltre a costituire, in linea generale, un’opzione fortemente derogatoria dei princìpi dell’ordinamento interno e, in specie, di una disciplina, quella degli effetti della liquidazione giudiziale sul debitore, caratterizzata da un intenso grado di inderogabilità – dipendendo in definitiva dalla discrezionalità dell’autorità giudiziaria e di quelle amministrative, sollevi più incertezze e dubbi, operativi prima ancora che teorici, di quanti riesca a risolverne, rappresentando in tal modo un ostacolo all’uniforme applicazione delle nuove disposizioni, alla certezza del diritto e alla sicurezza dei traffici economici. Sicché, vi sono sufficienti argomenti per ritenere opportuno un intervento del legislatore, magari già in occasione dell’ennesimo provvedimento correttivo del codice della crisi, che è annunciato come oggetto di un decreto legislativo attualmente allo studio del Ministero della giustizia [99]; un chiarimento, è appena il caso di osservare conclusivamente, che, ove [continua ..]


NOTE