Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Appunti in tema di adeguatezza degli assetti amministrativi, organizzativi e contabili nelle società bancarie e responsabilità degli amministratori (di Valeria Bisignano, Assegnista di ricerca in Diritto bancario nell’Università degli Studi di Messina)


L’articolo affronta il tema del contenuto dell’obbligo di predisposizione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle società bancarie, prendendo in esame le principali scelte normative effettuate dalle Disposizioni di Vigilanza di Banca d’Italia, in aderenza alle indicazioni fornite dalla CRD IV-V, dalle Guidelines EBA. Obiettivo principale del lavoro è quello di operare un raffronto tra lo speciale governo societario delle banche e il diritto societario generale, al fine di indagare il grado di percettività dell’obbligo in parola nel settore bancario e verificare l’eventuale estensione della fattispecie legale degli assetti organizzativi ai cc.dd. assetti societari.

La seconda parte del contributo si concentra quindi sul problema, strettamente connesso, relativo alla responsabilità degli organi di amministrazione della banca per l’inadeguatezza degli assetti in concreto adottati e ai limiti di sindacabilità giurisdizionale delle relative scelte gestionali assunte.

Parole chiave: società – banche – governo societario – responsabilità gestoria.

Notes on the adequate organizational, administrative and accounting structures in banking companies and directors’ liability

This paper regards the duties of directors in setting adequate organizational, administrative and accounting structures in banking companies, and emphasizes the main regulatory choices made by the Supervisory Provisions of the Bank of Italy in compliance with the indications provided by the CRD IV-V, from the EBA Guidelines. Its main purpose is to make a comparison between the characteristics of the banks’ corporate governance and the general issues of corporate law, in order to investigate the intensity of such duties in the Banking sector and to verify the possible extension of the legal structures of banks to the general matters of corporate structures.

The second part of the paper focuses on responsibility of the bank’s administrative bodies for the inadequacy of the adopted corporate structures and on the limits of judicial statements on them (BJR).

Keywords: companies – banks – corporate governance – directors’liability.

SOMMARIO:

1. L’adeguatezza degli assetti nel diritto societario comune quale criterio generale di condotta - 2. Contenuto e adeguatezza degli assetti nelle imprese esercenti attività bancaria - 3. Lo speciale governo societario delle banche: tra derive istituzionalistiche e conflitti “intra-principio” - 4. Adeguatezza organizzativa e adeguatezza corporativa - 4.1. (Segue): adeguatezza organizzativa e meccanismi di imputazione del potere gestorio - 5. Cenni sulla costruzione della responsabilità gestoria - 5.1. (Segue): adeguatezza degli assetti e limiti del sindacato giurisdizionale sulle scelte gestorie - 6. Considerazioni conclusive - NOTE


1. L’adeguatezza degli assetti nel diritto societario comune quale criterio generale di condotta

Il tema dei presidi organizzativi, amministrativi e contabili interni agli enti societari e della loro adeguatezza costituisce una delle materie del diritto commerciale più feconda in termini di produzione normativa. A seguito dell’inserimento, all’interno del Libro V, Titolo V, del Codice civile, dell’art. 2381, 5° comma, si è, come noto, assistito al definitivo riconoscimento normativo del fenomeno di procedimentalizzazione, ovverosia di amministrativizzazione, dell’organizzazione aziendale [1], prevedendosi in capo alle società di diritto comune un generale obbligo di automatico adeguamento di ogni fase della propria attività ai principi di corretta amministrazione, cui: – gli amministratori devono ispirare la conduzione gestoria; – il Collegio Sindacale deve parametrare il controllo e la vigilanza su que­st’ultima. Parimenti, di recente si è da più parti evidenziata l’avvenuta generalizzazione [2] del dovere in parola a qualsivoglia iniziativa imprenditoriale esercitata in forma societaria e collettiva, nonché la sua funzionalizzazione (anche) alla prevenzione e/o alla composizione della crisi (cfr. art. 3 c.c.i.i., ora rubricato “Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa”). In tal modo, l’adozione e la corretta implementazione di assetti adeguati vengono interpretati, nell’ambito del diritto societario comune, quale declinazione dei principi di corretta amministrazione, individuandosi, nel criterio dell’adeguatezza, il parametro di condotta cui gli organi sociali devono adeguarsi nell’attività di loro predisposizione, attuazione, verifica e vigilanza (cfr. art. 2403, 1° comma, c.c., in collegamento con il 3° e 5° comma dell’art. 2381 c.c.). Per tal via, consentendo la continua verificabilità delle procedure (cui sono chiamati appunto a vigilare gli organi di controllo), gli assetti organizzativi rappresentano, nell’intento del legislatore, idonei baluardi a presidio del contenimento dei rischi e, al tempo stesso, di eventuali disfunzioni gestorie [3]. La dottrina tradizionale qualifica il criterio dell’adeguatezza degli assetti come clausola generale, ovverosia quale norma di rango primario connotata da autonoma percettività, destinata a riempire di contenuto tutte le fasi [continua ..]


2. Contenuto e adeguatezza degli assetti nelle imprese esercenti attività bancaria

Pur se, per quanto sin ora evidenziato, caratterizzato quale dovere a contenuto generico, l’obbligo in parola finisce comunque per rappresentare un vincolo al­l’autonomia privata nell’esercizio dell’impresa, ulteriormente compressa in sede di concretizzazione operativa [15] e giudiziale del criterio dell’adeguatezza, tramite l’e­nucleazione di doveri a contenuto specifico che, aggiungendosi a quelli normativamente previsti, per l’appunto, incidono direttamente sulla libertà di iniziativa economica, per quanto attiene specificatamente al come produrre [16]. Come efficacemente notato [17], però, la compressione della libertà di cui all’art. 41 Cost. in tanto può ritenersi legittima solo ove il vincolo sia funzionale alla salvaguardia di altri valori di eguale rango costituzionale [18]; pertanto, la definizione in concreto degli assetti organizzativi e del criterio di adeguatezza, sia da parte del legislatore primario e secondario, sia da parte degli stessi operatori pratici, sia infine (ed eventualmente) da parte del giudice deve pur sempre avere, quale criterio guida, il rispetto del principio di proporzionalità [19]. Così, nell’ambito delle società di diritto comune, il contemperamento che il legislatore direttamente opera tra i contrapposti interessi (da un lato, quello dei soci alla tutela del proprio investimento, dei creditori alla tutela del patrimonio sociale e dei terzi a non subire pregiudizi di diritti fondamentali in conflitto con la libertà di impresa e, dall’altro lato, quello della società alla tutela della propria libertà di iniziativa economica) si traduce in una conformazione minima del contenuto degli assetti, tramite l’introduzione di una clausola a contenuto aperto, il cui “riempimento in concreto” è lasciato pur sempre alla piena discrezionalità (e alla responsabilità) degli amministratori, salvo il successivo ed eventuale controllo, tendenzialmente solo di legalità, svolto in sede giudiziale. E della bontà di tale modus operandi non può certo dubitarsi, trattandosi pur sempre di interessi che ineriscono la sfera interna all’ente e che solo in via mediata possono coinvolgere il contesto economico e sociale in cui l’organismo societario opera [20]. Se così è nelle società di [continua ..]


3. Lo speciale governo societario delle banche: tra derive istituzionalistiche e conflitti “intra-principio”

Innanzi al quadro regolamentare sopra evocato, si ritiene legittimo ipotizzare una declinazione, per così dire ab extrinseco, della corporate governance bancaria rispetto a quella delle altre società, tanto di diritto comune, tanto di diritto speciale ove la governance si limita «ad esprimere le regole del gioco (frutto di un bargain che ha luogo all’incrocio di un nexus of contracts) che si svolge all’interno di organizzazioni complesse non tanto (e non solo) per dimensioni e attività, quanto (prima ancora e soprattutto) per la qualità del capitale di rischio e dunque per le caratteristiche e le capacità di chi – i soci – nella loro posizione di residual claimants è investito del diritto di voto e di esprimere così, quanto meno, alcune decisioni fondamentali» [37]. Ovviamente, anche in tali settori speciali gli amministratori dovrebbero pur sempre essere chiamati all’esercizio del proprio dovere organizzativo nei margini e nello spazio di discrezionalità insopprimibili a loro comunque garantiti: ad orientare la condotta degli amministratori, cioè, dovrebbe soccorrere il principio di proporzionalità [38], sviluppato dalla legislazione speciale proprio nell’ottica di consentire alle banche (a seconda della loro catalogazione dimensionale cui si è fatto cenno) di ottemperare alle prescrizioni cui sono soggette in modo congruente e appropriato rispetto alle loro specificità [39]. Ma, tradizionalmente, l’adozione di tale criterio metodologico viene giustificata nell’ottica della tutela dell’autonomia dei soggetti vigilati, riducendo il loro spazio di discrezionalità solo in merito al “quando” attivare la proporzionalità, ma non anche sul come e su quanto applicarne. Nel caso del governo e dell’organizzazione interna delle società bancarie, al contrario, il criterio di proporzionalità sembra essere utilizzato non solo ex ante, all’atto di predisposizione di standard applicativi comuni, ma anche in una dimensione per così dire ex post, e così nella previsione di regole di dettaglio anche in merito alle modalità concrete di adozione, da parte dei soggetti vigilati, dei suddetti standards, ricollegando in maniera inderogabile l’imposizione di blocchi di doveri al verificarsi di una certa situazione ovvero al superamento [continua ..]


4. Adeguatezza organizzativa e adeguatezza corporativa

Seguendo la linea di indagine sin ora tracciata, invero, pare possibile cogliere una ulteriore e rilevante differenza tra assetti societari di diritto comune, i quali, come sopra evidenziato, costituiscono un momento – seppur principale – dell’or­ganizzazione aziendale e assetti delle società bancarie, in cui, per come si ritiene, essi assumono un ruolo prioritario anche sul piano, diverso, della c.d. governance e della stessa struttura societaria. Al fine di fondare la superiore suggestione, sembra necessario porre nella dovuta considerazione la differenza, esistente anche se molto spesso ignorata [55], tra governance, intesa come insieme di strutture, regole, procedure e processi preordinati a mantenere l’equilibrato svolgersi dell’agire imprenditoriale sul piano societario e organizzazione, intesa quale insieme di strutture, regole, procedure e processi chiamati ad occuparsi di questioni logicamente e cronologicamente anteriori a quelle proprie della governance, essendo esso il presupposto alla base del processo decisionale d’impresa [56]. Sul punto, appare quanto mai necessario evitare – o per lo meno scongiurare il rischio – di sovrapporre o confondere piani di competenza appartenenti a diversi momenti della vita sociale coinvolti nella definizione della complessiva corporate governance: in modo particolare, ci si riferisce al confine tra il profilo dell’orga­nizzazione corporativa, rimessa tradizionalmente all’autonomia convenzionale dei soci, e l’ambito della procedimentalizzazione d’impresa che è, invece, competenza attribuita alle cure degli amministratori [57]. Dal che la clausola generale di adeguatezza degli assetti interni, mentre deve essere nell’ambito delle società di diritto comune opportunamente circoscritta agli atti organizzativi di cui all’art. 2381 c.c., di esclusiva pertinenza dei gestori, nell’ambito bancario si spinge sino a permeare profili che ineriscono al governo della società, finanche a riguardare e influenzare, in extrema ratio se così fosse, le scelte statuarie che intendano adottare i soci.


4.1. (Segue): adeguatezza organizzativa e meccanismi di imputazione del potere gestorio

Tale ultima affermazione ha riflessi di non poco momento nella materia oggetto di indagine, legittimando, per come si ritiene, a sostenere che la fattispecie degli assetti organizzativi nelle banche sia tale da ricomprendere per l’appunto anche gli assetti societari. Ciò che si tenta qui di assumere è che nel contesto della governance bancaria si assista ad una procedimentalizzazione non solo del momento tipicamente aziendale (tramite l’imposizione di regole operative tramite cui la gestione dell’impresa societaria deve venire a svolgersi da parte dei soggetti che possano considerarsi a ciò senz’altro legittimati), ma altresì ad una rigida positivizzatone dei meccanismi di imputazione del potere gestorio, ovverosia dei presupposti entro i quali una tale legittimazione sussiste; presupposti che, fissati ex ante e imposti come obbligatori, garantiscono che l’attività da essi compiuta possa concretamente essere funzionale alla tutela degli interessi ordinamentali di sana e prudente gestione e corporativo [58]. Adeguato insomma, per il legislatore bancario, non deve essere solo il come dell’azione amministrativa, ma anche e ancor prima le modalità di attribuzione del potere gestorio stesso e la conseguente imputazione di dati comportamenti all’orga­nizzazione societaria [59]. Finendo per assoggettare l’autonomia a un limite che può rivelarsi sistematicamente giustificato proprio in ragione della particolare connotazione che presenta il rapporto fiduciario degli amministratori di banca. Questa conclusione trova (doverosa) conferma nella disciplina di settore e, in specie, in alcune “regole”, valevoli unicamente per il settore del credito, che pare utile brevemente rievocare. In primo luogo, le Disposizioni di Vigilanza del 2013, come modificate a seguito del loro 35° aggiornamento, fissano, al Titolo V, cap. 7, un assetto standard [60], in cui sono previste la figura apicale del direttore generale, vero e proprio organo di gestione della banca [61] e tre articolazioni interne rappresentate dalla funzione di controllo dei rischi (risk management), dalla funzione di controllo interno (internal audit) e dalla funzione di conformità alle leggi e ai regolamenti (compliance) [62]. Dall’altro lato, alla luce delle carenze messe in luce dalla crisi finanziaria [63] relativamente alla capacità delle [continua ..]


5. Cenni sulla costruzione della responsabilità gestoria

Se così è, come invero pare, ne consegue che la predisposizione di assetti rilevatesi poi inadeguati non finisce per costituire mera violazione degli standards di diligenza imposti all’amministratore di banca (seppur rafforzati), ma, al contrario, rappresenta violazione di un obbligo specifico, con le conseguenze a tutti note in tema di prova e di scusabilità dell’errore. Quello che si tenta di assumere in questa sede è, in sostanza, che le scelte volte ad assicurare l’adeguatezza dell’assetto dell’impresa bancaria non vadano configurate come scelte gestionali, rimesse alla determinazione discrezionale degli organi che esprimono la funzione imprenditoriale, ma doveri specifici imposti dalla normativa di settore, come tali rientranti tra i doveri ex art. 2392, 1° comma, c.c. In virtù dei fini ordinamentali che la società bancaria deve perseguire [94], il legislatore, come si è ampiamente evidenziato, impone una dettagliata regolazione dell’organizzazione interna, cui fa da contraltare una riduzione del potere discrezionale dei gestori anche nell’ambito di scelte che, nel settore comune, sono tipicamente rimesse all’autonomia contrattuale [95], in primis quelle relative alla gestione del rischio. Come efficacemente sostenuto, tale compressione trova giustificazione nella circostanza per cui è «la sana e prudente gestione a rappresentare il nuovo paradigma per la concretizzazione dell’interesse sociale» delle banche, divenendo quindi tale principio, il vero e proprio limite alla discrezionalità operativa degli amministratori [96]. Si fa riferimento, tra le altre, alle norme contenute nelle Disposizioni di Vigilanza di BI che prescrivono requisiti stringenti in tema di competenza e professionalità di coloro che risultano titolari delle funzioni aziendali di controllo, nonché in punto di separazione delle tre diverse linee riconducibili a tali funzioni e l’affidamento dei vari compiti a soggetti differenti, al fine di garantire autonomia e indipendenza della funzione. L’intensità dei doveri cui sono chiamati gli amministratori di banca finisce, d’altronde, sia per connotare soggettivamente l’ufficio amministrativo, il quale può essere ricoperto esclusivamente da soggetti dotati di specifici requisiti di professionalità, ai sensi dell’art. 26 TUB, [continua ..]


5.1. (Segue): adeguatezza degli assetti e limiti del sindacato giurisdizionale sulle scelte gestorie

Ciò posto, sembra necessario, ai fini del discorso che ci occupa, aggiungere una breve considerazione finale. Invero, in ragione dell’interpretazione, propugnata nel testo, dell’obbligo di predisporre assetti adeguati nelle società esercenti attività bancaria quale dovere a contenuto specifico, nei relativi giudizi volti all’accertamento della presunta responsabilità dei componenti dell’organo di gestione per violazione del suddetto dovere, non vi sarebbe invero alcuno spazio di operatività della business judgment rule; e infatti, essendo in tale contesto – e lo si ribadisce, soltanto in questo – il controllo giudiziario volto a verificare l’osservanza da parte degli amministratori di obblighi specifici, quest’ultimo finirebbe per rappresentare non già una (inammissibile) ingerenza “nel merito”, quanto invece un vero e proprio riscontro di legalità/con­formità [101]. Ciò, per come di ritiene, in perfetta aderenza con le affermazioni di quella giurisprudenza che, sulla scorta di arresti di molto risalenti [102], ha ritenuto che “la distinzione tra controllo di legittimità e controllo di merito conduce ad escludere che gli amministratori possano essere chiamati a rispondere degli errori di gestione. In questa prospettiva, si è sottolineato che discrezionalità vuole dire libertà di identificare le scelte, senza esonerare l’amministratore dall’osservanza del dovere di diligenza. Pertanto, se anche il giudice non può sindacare la scelta in sé, deve però controllare il percorso attraverso il quale essa è stata preferita” [103]. Del resto, in relazione alla distinzione tra obblighi generali e obblighi a contenuto specifico incombenti sugli amministratori, in effetti, anche alla luce degli sviluppi della dottrina nordamericana [104], un ambito di discrezionalità può sussistere soltanto in relazione a scelte stricto sensu imprenditoriali e in relazione a quegli obblighi gestori che, lungi dall’avere contenuto specifico e predefinito, lasciano margini di discrezionalità agli amministratori.


6. Considerazioni conclusive

Giunti a tale punto, sembra doveroso qualche brevissimo cenno alla virtuosità del “sistema” di governo societario che ne esce, così, delineato. Data la centralità che, nel contesto di riferimento, viene assegnata all'esistenza ed alla funzionalità di assetti adeguati, pare corretto affermare che essi finiscono per assurgere ad elemento centrale dell’organizzazione interna [105] e, in definitiva, anche a connotato qualificante di qualsiasi modello di governo societario delle banche. Come tale, l’adeguatezza finisce per rappresentare obiettivo – invero ineludibile e prioritario – della corporate governance bancaria, qui intesa come complesso di regole e principi applicabili in via generale all’imprenditore esercente l'attività creditizia e, quindi, in definitiva come il suo stesso “statuto”. Per tal via, nel settore speciale, il rapporto che intercorre tra gli assetti organizzativi ed il concreto modello di corporate governance adottato si atteggia in modo del tutto inedito e, invero, si ritiene, virtuoso: qui il “modello ideale” di corporate governance, come delineato dalle fonti normative e regolamentari, costituisce un elemento della complessiva organizzazione dell’impresa societaria, concorrendo a qualificarne, in termini oggettivi, la correttezza e la funzionalità ai noti – e più volte citati – obiettivi sistemici.


NOTE