L’ordinanza della Corte offre alcuni interessanti spunti sistematici, perché offre un quadro ricostruttivo del sistema processuale nel quale riconduce le procedure di sovraindebitamento al genus dei procedimenti di giurisdizione volontaria, mutuandone il paradigma procedimentale flessibile, e ravvisa nel succedersi tra tentativo di composizione e liquidazione del patrimonio fasi di un unico procedimento. L’Autore, oltre ad analizzare criticamente le statuizioni della Corte, ne sottolinea le ulteriori conseguenze che potrebbero trarsi in via di interpretazione sia nel campo delle procedure di sovraindebitamento che, più in generale, per le altre procedure collettive regolate dalla legge.
The Court ruling includes some interesting statements, because the judges draw a legal framework for the over indebtedness proceedings characterized by flexible procedural principles and by the unification of voluntary composition and liquidation of the debtor’s assets such as two different stages of a sole proceeding. The Author, while analyzing critically the Court statements, underlines the potential effects that could be derived from the ruling both in the field of over-indebtedness proceedings and, more in general, on all the collective proceedings addressing over indebtedness.
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1. Il caso giudiziario ed i dubbi di costituzionalità - 2. L’insufficienza delle singole censure di costituzionalità e i margini di convertibilità in procedura liquidatoria nella ricostruzione della Consulta - 3. Notazioni sistematiche a margine della decisione - 4. Qualche corollario concreto in tema di procedura di sovraindebitamento - 5. Uno sguardo ai potenziali riflessi oltre il campo del sovraindebitamento - NOTE
A seguito di istanza del debitore sovraindebitato era stato introdotto dinanzi al Tribunale di Lanciano un procedimento volto ad ottenere l’ammissione e la successiva omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti previsto dagli artt. 6, 1° comma, primo periodo, e 7, 1° comma, L. n. 3/2012. La proposta di accordo depositata dal debitore aveva superato il preliminare vaglio giudiziale di ammissibilità, ma non era stata poi approvata dalla maggioranza qualificata dei creditori (ossia da tanti di essi rappresentativi di almeno il sessanta per cento dei crediti), con la conseguenza che l’omologazione, in base all’art. 12, 2° comma, Legge cit., non era stata possibile. Il debitore aveva quindi chiesto la conversione della procedura tesa a raggiungere l’accordo di composizione in quella di liquidazione dei beni di cui agli artt. 14-ter ss. della medesima legge. Tuttavia, a parere del giudice a quo [1], sarebbe stato ostativo il disposto del successivo art. 14-quater, che subordinerebbe l’ammissibilità della conversione al ricorrere delle sole fattispecie tassativamente contemplate dalla medesima disposizione e che non comprenderebbe il mancato raggiungimento dell’accordo. Infatti, la disposizione enumera soltanto quattro casi di conversione della procedura di accordo di composizione della crisi in quella di liquidazione del patrimonio su proposta del debitore, individuando le ipotesi di: a) annullamento dell’accordo (art. 14, 1° comma); b) cessazione degli effetti dell’accordo per mancata esecuzione, da parte del debitore, dei pagamenti alle amministrazioni pubbliche ed agli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie entro novanta giorni dalle scadenze previste (art. 11, 5° comma); c) cessazione degli effetti dell’accordo per il compimento, da parte del debitore, nel corso della procedura, di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori (art. 11, 5° comma); d) risoluzione dell’accordo per inadempimento del debitore, mancata prestazione delle garanzie promesse o impossibilità sopravvenuta per ragioni non imputabili al debitore (art. 14, 2° comma) [2]. La mancata approvazione della proposta d’accordo da parte della maggioranza qualificata dei creditori non sarebbe riconducibile a nessuna di quelle quattro ipotesi e così porrebbe il debitore in [continua ..]
La sentenza della Corte costituzionale non risolve direttamente ed espressamente le questioni pregiudiziali poste, ma prende comunque una posizione che, ragionevolmente, dovrebbe condurre ad un definitivo superamento delle questioni stesse, sebbene la motivazione presenti una chiara ambiguità logica. Infatti, per quanto si pronunci per l’inammissibilità della questione pregiudiziale, nel fissare alcuni punti decisivi delinea un quadro ricostruttivo che, per un verso, oscilla – come giustamente messo in luce [3] – tra conversione della procedura in senso stretto e istanza di apertura di una diversa procedura ma nel contesto di un fenomeno di consecuzione e, per altro verso, chiarisce l’ammissibilità di istanze volte a promuovere sia la compositiva che quella liquidatoria [4]. Il fulcro del quesito posto dal Tribunale di Lanciano stava in una visione rigida della struttura procedurale degli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento che, come accennato, si risolverebbe in una qualificazione di tassatività delle ipotesi di conversione della procedura concordata in quella liquidatoria [5]. Secondo la Consulta, però, il giudice remittente avrebbe trascurato di considerare la natura di giurisdizione volontaria dei procedimenti in questione e il diritto (processuale) vivente secondo il quale nel procedimento camerale “non vigono le preclusioni previste per il giudizio di cognizione ordinario” e, segnatamente, che possono essere finanche “proposte per tutto il corso di esso domande nuove […] in conformità delle direttive dettate dal giudice”, al quale gli artt. 737 e seguenti cod. proc. civ. riservano «ampi margini di discrezionalità». In tal senso, i giudici costituzionali ravvisano adeguato sostegno in recenti sentenze della Corte di Cassazione [6], osservando ad abundantiam che la medesima giurisprudenza civile “attenua” anche le preclusioni, che contraddistinguono il processo di cognizione ordinario, perché la “modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio” [7]. Nel formulare siffatti rilievi in [continua ..]
La Consulta decide per l’inammissibilità della questione sollevata, ma traccia, come accennato, un quadro ricostruttivo del sistema processuale che merita attenzione anche per gli sviluppi ragionevolmente consequenziali. Il giudice delle leggi, per un verso espressamente riconducendo le procedure di sovraindebitamento al genus dei procedimenti di giurisdizione volontaria e mutuandone il paradigma procedimentale flessibile e per altro verso ravvisando nel succedersi tra tentativo di composizione e liquidazione del patrimonio il dipanarsi di due fasi di un unico procedimento, assegna allo strumento di regolazione concorsuale della crisi del debitore non fallibile una connotazione di unitarietà e di modularità che si riflette su svariati profili di disciplina [15]. Pur nella sintesi di queste note, vediamo quelli di maggior rilievo teorico e pratico anche nella prospettiva dell’attuazione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. Innanzi tutto, l’unitarietà procedurale istituisce una continuità tra composizione della crisi ed eventuale liquidazione del patrimonio, che, oltre a salvaguardare gli effetti degli atti e delle attività compiuti nella fase procedimentale precedente [16], conduce anche a mantener fermo il giorno del deposito della domanda di omologazione dell’accordo proposto quale dies a quo per l’applicazione delle disposizioni che riconnettono effetti protettivi – del debitore o dei terzi – all’istanza di avvio della liquidazione del patrimonio. Siffatta impostazione soddisfa l’esigenza che l’inutilità del tentativo di composizione concordata non si rifletta in un pregiudizio per l’efficacia della procedura di liquidazione, la quale, in assenza di esperimento della prima, avrebbe avuto più tempestivamente inizio, nonché previene – almeno in parte [17] – rischi di utilizzazione abusiva dello strumento di composizione concordata da parte del debitore [18]. Il principio generale di efficienza delle procedure di crisi/insolvenza, coerente con l’impostazione della Legge Modello Uncitral alla quale il nostro ordinamento deve ispirarsi in particolare dopo l’entrata in vigore dell’art. 1, 2° comma, L. n. 155/2017 [19] nonché con le recommendations delle principali istituzioni internazionali [20], orienta la ricostruzione del [continua ..]
La ricostruzione dell’articolazione procedimentale composizione/liquidazione in termini di duplicità di fasi di un unico procedimento istituisce un legame tale da far ravvisare nella pronuncia del decreto di cui all’art. 10, L. n. 3/2012 il solo provvedimento di apertura di tale unico procedimento. Da ciò, innanzi tutto, si può trarre la conclusione che senza dubbio detto decreto debba qualificarsi come “decisione di apertura della procedura d’insolvenza” ai sensi dell’art. 19, par. 1, Regolamento UE n. 848/2015 e che, pertanto, con decorrenza da tale momento debbano spiegarsi gli effetti della procedura ai sensi degli artt. 20 ss. in caso di sovreindebitamento transfrontaliero intra-UE, ivi compresa la preclusione di assoggettamento del debitore in altri Stati membri a procedure che non siano a carattere “secondario”. In secondo luogo, anche qualora si dovesse avverare uno iato temporale – ad esempio – tra rigetto dell’istanza di omologazione dell’accordo di composizione o revoca della medesima e pronuncia di “passaggio” alla liquidazione del patrimonio perché il giudice abbia deciso di dar corso ad attività istruttorie o comunque di verifica dell’ammissibilità della liquidazione stessa, la ricostruzione in termini unitari consente di escludere che atti del debitore o azioni dei creditori determinino risultati depauperativi del patrimonio destinato alla liquidazione concorsuale [24]. Infatti, gli effetti di equiparazione del decreto di apertura del procedimento di composizione della crisi ai sensi della previsione dell’art. 10, 5° comma, L. n. 3/2012 finiscono per saldarsi con quelli di cui al successivo art. 14-quinquies, 3° comma, determinando la continuità d’inefficacia – anche nella liquidazione del patrimonio – degli atti di alienazione e disposizione indicati dagli artt. 2913 ss. c.c. Sotto questo profilo il sistema normativo determina una sorta di cristallizzazione del patrimonio del debitore alla data di (prima) apertura dell’unico procedimento, sancendo una forma di insensibilità dello stesso rispetto agli atti depauperativi del debitore ed alle azioni individuali dei creditori. Proseguendo su questa falsariga, un cenno merita la nuova previsione della legittimazione del liquidatore ad esercitare, oltre che “ogni azione prevista dalla legge finalizzata [continua ..]
Come già accennato, l’unitarietà procedurale è suscettibile di giocare un ruolo assai utile altresì nel campo delle start-up innovative, delle imprese agricole e, più in generale, di tutti i soggetti per i quali potrebbe essere in discussione l’assoggettabilità al fallimento. Infatti, riconducendo le procedure di sovraindebitamento al genus camerale, si inseriscono queste nel medesimo insieme che accoglie anche le procedure applicabili ai soggetti fallibili (omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo ed i segmenti procedimentali che conducono a fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria [28]) e con ciò si realizza un’unificazione idonea ad instaurare continuità di percorsi processuali nell’ipotesi che, a fronte della domanda di accesso ad una procedura destinata a soggetto non fallibile, poi si riscontrino i requisiti di fallibilità oppure, al contrario, questi non risultino, ma l’impresa in questione sia interessata ad una regolazione concorsuale della propria situazione di sovraindebitamento. L’unificazione in parola consente il risparmio di attività processuali e introduce una flessibilità di percorsi processuali che può rispondere sia all’interesse del debitore che a quello dei creditori ad una più efficiente e sollecita definizione delle procedure d’insolvenza in linea anche con i citati orientamenti sovranazionali. Non soltanto le esigenze, ma anche le istanze – spesso contrapposte – del debitore e dei suoi creditori trovano più adeguato contenitore processuale in un unico procedimento suscettibile di condurre ad una pluralità di soluzioni alternative, dopo avere ponderato tutti gli interessi in gioco nel contraddittorio con tutti i titolari di essi. La lettura del sistema che si vien d’esporre appare ancor più ragionevole nella prospettiva dell’applicazione del Codice della Crisi. Esso racchiude in un unico plesso normativo quasi tutte le discipline delle forme di regolazione della crisi, dell’insolvenza e del sovraindebitamento (fa eccezione la sola amministrazione straordinaria [29]) ed istituisce un procedimento unitario di accesso alle procedure di regolazione che risponde proprio ad intenti di concentrazione per ragioni sia di economia processuale che di [continua ..]