Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Insolvenza, crisi e continuità aziendale nella riforma delle procedure concorsuali: ovvero la commedia degli equivoci * (di Sabino Fortunato, Professore Senior nell’Università di Roma “Roma Tre”)


Il Codice della crisi e dell’insolvenza (approvato con il d.lgs. n. 14/2019 ma la cui entrata in vigore complessiva è differita al 1° settembre 2021) cerca di introdurre una netta distinzione fra insolvenza e crisi, quali presupposti delle procedure concorsuali e in via esclusiva rispettivamente la prima per l’apertura della liquidazione giudiziale (id est: fallimento) e la seconda per gli obblighi di allerta interna e di eventuale composizione assistita con i creditori presso un organismo non giudiziale.

Tuttavia la nozione di crisi non sembra ripercorrere quella abbracciata dalle scienze aziendali, poiché è costruita sul paradigma dell’insolvenza alla stregua di una “probabilità di insolvenza” che si manifesta soprattutto in termini di crisi finanziaria quale “inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”. Inoltre, taluni indicatori e indici di crisi, cui sembrano collegarsi gli obblighi di segnalazione di allerta a carico di organi di controllo e di revisione, evocano segnali di vera e propria insolvenza, piuttosto che di mera probabilità.

Di contro l’indicatore relativo alla perdita o assenza di prospettive di continuità aziendale, inteso in senso dinamico e non statico e come fonte di obblighi di comportamento degli organi di controllo e gestori dell’impresa in difficoltà (piuttosto che come presupposto dei criteri valutativi del bilancio d’esercizio), potrebbe attivare gli obblighi di segnalazione in maniera più tempestiva rispetto alla ristretta prospettiva temporale del semestre propria di altri indicatori, così favorendo l’emersione anticipata della crisi.

Di qui l’esigenza di una rivisitazione di tali nozioni di vertice e soprattutto della nozione di crisi, dei relativi indicatori e indici nell’ottica di una realistica possibilità di ristrutturazione e recupero delle imprese in difficoltà.

The Crisis and Insolvency Code (approved with Legislative Decree no. 14/2019 but whose overall entry into force is deferred on 1 September 2021) seeks to introduce a clear distinction between insolvency and crisis, as presuppositions of the insolvency and crisis procedures and exclusively respectively the first for the opening of the judicial liquidation (id est: bankruptcy) and the second for the obligations of internal alert and possible assisted settlement with creditors at a non-judicial body.

However, the notion of crisis does not seem to retrace that embraced by the business sciences, since it is built on the paradigm of insolvency in the same way as a “probability of insolvency” which manifests itself above all in terms of a financial crisis such as “inadequate future cash flows to regularly meet planned obligations”. Furthermore, certain crisis indicators, to which the obligations of alert reporting by control and auditing bodies seem to be linked, evoke signs of real insolvency rather than mere probability.

On the other hand, the indicator relating to the loss or absence of business continuity prospects, intended in a dynamic and non-static sense and as a source of behavioral obligations of the control bodies and managers of the company in difficulty (rather than as a prerequisite for the evaluation criteria of the financial statements), could activate reporting obligations in a more timely manner compared to the narrow half-year perspective of other indicators, thus favoring the early emergence of the crisis.

Hence the need to revisit these notions of the top and above all the notion of crisis, the related indicators and indices with a view to a realistic possibility of restructuring and recovery of companies in difficulty.

Keywords: insolvency – Insolvency Code – crisis indicators – business continuity

SOMMARIO:

1. Insolvenza e crisi nei rapporti patrimoniali e nell’impresa: le divergenti concezioni giuridico-aziendalistiche - 2. Esteriorizzazione e irregolare adempimento delle obbligazioni attuali quali elementi distintivi fra crisi e insolvenza? Insolvenza del “debitore” e crisi dell’”impresa”. La crisi come “probabilità di insolvenza” - 3. Indicatori, indici e fondati indizi di crisi nella congerie terminologica del Codice della crisi e dell’insolvenza - 4. Le opzioni interpretative del Documento CNDCEC del 19 ottobre 2019 - 5. Insolvenza attuale e insolvenza prospettica (certa, probabile e possibile) - 6. La continuità aziendale e gli indicatori di crisi - 7. Qualche rapida conclusione - NOTE


1. Insolvenza e crisi nei rapporti patrimoniali e nell’impresa: le divergenti concezioni giuridico-aziendalistiche

L’insolvenza e la crisi costituiscono le nozioni di vertice del sistema delle procedure e degli interventi (negoziali e non) per il risanamento o la ristrutturazione e comunque la liquidazione di un “patrimonio in difficoltà”. In realtà in questa generica accezione non è ancora chiaro se la prospettiva da cui muovere per valutare la sussistenza di tali “presupposti oggettivi” debba essere quella del soggetto (imprenditore, consumatore, professionista o in senso ampio debitore) ovvero quella del patrimonio (garanzia generica per l’adempimento delle obbligazioni) o ancora quella della attività (attività economica o attività di godimento, etc.). Il binomio crisi/insolvenza evoca, infatti, una dialettica concettuale fra nozioni economico-aziendali e nozioni giuridiche, fra tradizione e modernità/postmodernità, fra analisi statiche e analisi prospettiche non sempre agevole da dipanare. Da più parti viene segnalato il mutamento di paradigma che nell’attuale ordinamento delle crisi (genericamente intese) del debitore si viene realizzando: la nozione di insolvenza nasce pur sempre nell’ambito delle concezioni patrimonialistiche del rapporto debito-credito e con l’abbandono delle concezioni puramente soggettive, in cui il rapporto viveva soprattutto nel vincolo individuale che legava il debitore al creditore. La nozione di crisi è invece tributaria delle scienze economico-aziendalistiche ed è legata all’impresa in quanto attività economica. Come ricorda autorevole dottrina, ciò si rende evidente nel passaggio dall’economia mercantile all’economia industriale e quindi all’economia finanziaria dei nostri tempi [1]. L’economia mercantile è fondamentalmente una economia di scambio, in cui prevale il rapporto debito-credito in termini personalistici, una concezione della tutela del credito di tipo individuale che affonda le sue radici negli istituti di più antica tradizione romanistica e che ha attraversato, pur con molteplici adattamenti, secoli di storia giuridica, riflettendosi ancora a fine Ottocento nella sanzione penale per debiti e nel discredito o addirittura nell’infamia sociale. L’economia industriale pone l’accento sul momento produttivo, piuttosto che su quello dello scambio, e comincia a trasformare il rapporto personale in un rapporto [continua ..]


2. Esteriorizzazione e irregolare adempimento delle obbligazioni attuali quali elementi distintivi fra crisi e insolvenza? Insolvenza del “debitore” e crisi dell’”impresa”. La crisi come “probabilità di insolvenza”

Ma allora la crisi in senso aziendalistico coincide con la nozione che ne viene offerta nel Codice della crisi [12]? La risposta non può che essere negativa allo stato della disciplina recata dal Codice e soprattutto se si considera l’esigenza di un early warning che consenta un intervento precoce e tempestivo su quella che gli indirizzi comunitari indicano come una impresa sana ma in difficoltà finanziaria [13]. Ad una prima lettura gli elementi differenziali fra insolvenza e crisi che emergono dalle definizioni del Codice parrebbero ruotare intorno a due profili: (i) la esteriorizzazione o meno dei fatti/indici dell’insolvenza o della crisi; (ii) l’attualità o meno delle obbligazioni disattese. Da un canto, infatti, si pone l’insolvenza, che – come nella sua classica configurazione giuridica – è fondata sulla esteriorizzazione dei “fatti” (innanzitutto l’inadempimento) che ne manifestano il relativo stato nonché sulla irregolare soddisfazione delle “obbligazioni” del debitore, intese quali obbligazioni attuali [14]; d’altro canto si colloca la crisi, che invece individua “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore”, lad­dove quelle difficoltà non vengono ulteriormente declinate per ogni tipologia di debitore ma solo per l’imprenditore (in verità la disposizione parla di “imprese”, come se fossero soggettivate o forse e ambiguamente per tener conto dell’aspetto oggettivo e dinamico dell’attività). Per l’imprenditore quelle difficoltà si identificano nella “inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”, con una evidente accentuazione del solo profilo finanziario [15]. Apparentemente alcun riferimento emerge, nella definizione della crisi, a “fatti esteriori” che la manifestino, ma – quanto all’imprenditore – al solo profilo finanziario a carattere prospettico, che evidentemente può cogliersi solo con analisi interne in termini di “indici”; e inoltre la proiezione verso il futuro riemerge riguardo alla regolare soddisfazione non delle sole obbligazioni (attuali?) ma più estesamente delle “obbligazioni pianificate” [16]. Consentitemi un primo rilievo [continua ..]


3. Indicatori, indici e fondati indizi di crisi nella congerie terminologica del Codice della crisi e dell’insolvenza

Qui occorre aprire una parentesi e districarsi nella congerie terminologica, segnalata da più parti, che sembra aver assalito il legislatore del Codice della crisi. Di indici o indizi non v’è cenno nella definizione di crisi offerta nell’art. 2. In compenso, nella sede dedicata agli strumenti di allerta, e proprio in funzione dell’obbligo di segnalazione e di una eventuale composizione assistita della crisi, quei riferimenti abbondano e peraltro con espressioni sempre abbastanza diversificate [25]. Così nell’art. 12, 1° comma, si parla degli obblighi di segnalazione finalizzati (unitamente agli obblighi organizzativi) alla “tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa”; l’art. 13 si apre con la rubrica denominata “indicatori di crisi”, che peraltro sono declinati nel comma 1 quali “squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e del­l’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività”; ma tali squilibri sarebbero a loro volta “rilevabili attraverso appositi indici”, i quali “diano evidenza” a due elementi prospettici, e cioè (i) alla “sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi” e (ii) alle “prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’eserci­zio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi”. Ma come se non bastasse il secondo periodo del comma 1 rincara la dose, poiché “a questi fini” (quali?) sono “indici significativi” altri due che vengono specificati co­me (i) misura della “sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare”, e come (ii) misura della “adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi” [26]. L’espressione “indicatori di crisi” torna infine nel terzo periodo a qualificare i “ritardi nei pagamenti reiterati e significativi” di cui si è già parlato. Nel 2° comma dell’art. 13, nel definire i compiti affidati al CNDCEC (Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed [continua ..]


4. Le opzioni interpretative del Documento CNDCEC del 19 ottobre 2019

Il documento elaborato il 19 ottobre 2019 dal CNDCEC, e in attesa di approvazione da parte del MiSE [28], offre certamente un pregevole contributo a sbrogliare la intricata matassa terminologica, optando per una interpretazione definita ad albero e gerarchica degli indicatori di crisi nonché per una interpretazione combinata degli indici di crisi. La sequenza fondamentale posta dal Documento CNDCEC è fra indicatori e indici, a loro volta riconducibili con importanti specificazioni alla nozione di “fondati indizi di crisi”, quale presupposto essenziale dell’obbligo di segnalazione per l’allerta interna. Gli indicatori di crisi, che si pongono al vertice del sistema di allerta, sarebbero sostanzialmente tre: (A) i ritardi nei pagamenti reiterati e significativi; (B) la mancanza delle “prospettive di continuità aziendale” per almeno i successivi sei mesi, di cui mi parrebbe far parte l’emersione di un patrimonio netto negativo o inferiore al minimo legale; (C) la non sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi, anche indicata come DSCR (Debt Service Coverage Ratio). V’è una gerarchia anche fra questi indicatori? La questione non è sempre chiara. Certo si afferma che preliminare è la valutazione del Patrimonio Netto negativo o inferiore al minimo legale rispetto al DSCR e – suppongo – anche rispetto ad altri segnali prospettici. È stato peraltro osservato che l’emersione di un “patrimonio netto negativo” si colloca in una fase di crisi conclamata e dunque di insolvenza attuale [29], distonica rispetto all’approccio forward looking cui rinviano l’indicatore del Debt Service Coverage Ratio e forse anche l’assenza di prospettive della continuità aziendale. Ma verrebbe da dire che altrettanto evidente è il rilievo dell’indicatore relativo ai pagamenti ritardati reiterati e significativi, anch’esso espressione di un approccio retrospettivo piuttosto che prospettico. Peraltro la valutazione del DSCR, che invece si muove nell’ottica forward looking, viene espressamente subordinata alla disponibilità dei relativi dati prospettici e comunque alla loro affidabilità, di cui restano giudici gli stessi soggetti su cui fa carico l’obbligo di segnalazione. La valutazione negativa sotto questo profilo (affidata al giudizio professionale degli organi [continua ..]


5. Insolvenza attuale e insolvenza prospettica (certa, probabile e possibile)

Ma torniamo al tema della esteriorizzazione quale requisito distintivo dell’insol­venza rispetto alla crisi. Fra gli indicatori di crisi, s’è detto, sussistono certamente alcuni che rinviano a fatti esteriori; ma anche quelli prospettici, come l’assenza di prospettive di continuità aziendale e la insostenibilità dei debiti per i successivi sei mesi, benché riferibili a valutazioni prognostiche e non a “fatti” in senso stretto, sono spesso pur essi esteriorizzati attraverso il bilancio d’esercizio, la relazione sulla gestione e la nota integrativa di bilancio (art. 2428, 1° e 2° comma; 3° comma, n. 6) [34]. L’elemento della esteriorizzazione è dunque fortemente dubbio come discriminante fra insolvenza e crisi. Forse resta un possibile spazio rispetto al secondo elemento, e cioè che per l’insolvenza si deve trattare di “fatti”, piuttosto che di “valutazioni”, che si traducano in indici di incapacità strutturale a soddisfare obbligazioni attuali, già scadute, piuttosto che pianificate e a scadere. E qui si apre il vero problema che porta alcuni a distinguere fra insolvenza attuale e insolvenza prospettica, e ancora rispetto a quest’ultima fra insolvenza certa, insolvenza probabile e insolvenza possibile. Insomma, la crisi – nata nell’ottica del paradigma dell’attività economica, meglio ancora dell’impresa – si declina in termini giuridici con le categorie dell’insol­venza, legata più all’ottica patrimonialistica delle sfere patrimoniali inidonee a sopportare il peso delle obbligazioni. La nozione di crisi, che nell’impostazione delle riforme del 2005-2007 costituiva il genus di cui la species era rappresentata dalla insolvenza, diventa con il Codice della Crisi apparentemente una species pariordinata alla insolvenza, di fatto una qualificazione della insolvenza che si pone allora come il genus rilevante. Mi sembra un ribaltamento di prospettiva e di paradigma di non poco conto [35]. È in questa ottica che già si muovono le prime interpretazioni giurisprudenziali. Un recente decreto del Tribunale di Milano del 3 ottobre 2019, relatrice la Presidente Paluchowski, affronta con queste categorie una istanza in cui si chiede dichiararsi il fallimento per insolvenza prospettica [36]. Nella specie alcuni obbligazionisti [continua ..]


6. La continuità aziendale e gli indicatori di crisi

Un’ultima riflessione va dedicata alla perdita della continuità aziendale, nozione a mio avviso ambigua e ambiguamente utilizzata nel Codice della crisi. A dire il vero, l’ambiguità si manifesta già nella diversa terminologia utilizzata, posto che nel novellato art. 2086 c.c. si fa riferimento agli assetti organizzativi “anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”, allora ponendo l’obbligo di “attivarsi senza indugio per l’adozio­ne e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. E si badi, nell’art. 3 dedicato ai “principi generali” sui “doveri del debitore” gli adeguati assetti organizzativi sembrano limitati “ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assun­zione di idonee iniziative”, dimenticando che l’art. 2086 (pur richiamato) opera una funzionalizzazione di quegli assetti anche alla tempestiva rilevazione della perdita della continuità aziendale e all’utilizzo degli strumenti per il relativo recupero. Di qui il primo dubbio: sussiste identità fra crisi/stato di crisi e perdita della continuità aziendale? O si tratta di nozioni distinte e separate? E la “perdita” di continuità aziendale individua una situazione statica di cessazione dell’attività, addirittura definitiva e irreversibile? Senonché “l’assenza [42] di prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi” (art. 13, 1° comma, Codice della crisi) costituisce indice di rilevazione degli “indicatori di crisi”, così stabilendosi una relazione fra crisi e “assenza di prospettive di continuità aziendale”. Ma quale relazione? Peraltro qui l’assenza sembra riferita ad un elemento dinamico, alle “prospettive di continuità aziendale” più che alla sua perdita [43]. L’origine di quella nozione – com’è noto – è bilancistica, appartiene cioè ai principi contabili e invero ai postulati che governano la [continua ..]


7. Qualche rapida conclusione

A questo punto cercherò di trarre alcune rapide conclusioni. (i) Il Codice della crisi parte dalla esigenza di una netta differenziazione fra insolvenza e crisi quali presupposti delle procedure concorsuali e non dei debitori e delle imprese in difficoltà soprattutto finanziaria. Al di là della “maschera” universalistica indossata con il riferimento al debitore in generale, il vero nodo riguarda l’impresa in quanto organismo produttivo e la possibilità di distinguere fra insolvenza (irreversibile) e crisi come stato di squilibrio economico, patrimoniale e finanziario suscettibile di interventi di ristrutturazione e di recupero. Questa distinzione, a dire il vero, assume rilievo sostanziale esclusivamente per l’accesso alla li­quidazione giudiziale (insolvenza) e agli istituti di allerta e composizione assistita (crisi), poiché le altre procedure e strumenti di regolazione della crisi e dell’insol­venza sono fruibili tanto che ricorra lo stato di insolvenza quanto che ricorra lo stato di crisi, perpetuandosi per essi – sotto questo profilo – l’attuale regime, benché que­st’ultimo consideri la crisi come il genus comprensivo dell’insolvenza. (ii) La distinzione dovrebbe allora favorire l’emersione anticipata della crisi rispetto all’insolvenza, onde consentire un trattamento tempestivo di quelle difficoltà tramite l’insorgere di obblighi di segnalazione interna ed esterna indirizzati agli amministratori dell’impresa in difficoltà, responsabilizzandoli ad assumere iniziative gestorie che siano in grado di porre rimedio a tali difficoltà e, in mancanza, indirizzandoli verso organismi non giudiziali affinché promuovano una composizione assistita con il ceto creditorio. (iii) Senonché la distinzione non valorizza tanto la nozione aziendalistica di crisi, quanto pur sempre quella di insolvenza, correndo essa fra insolvenza certa/im­minente e insolvenza probabile. (iv) La rilevazione della crisi in quanto probabilità di insolvenza, declinata per le imprese soprattutto come squilibrio finanziario (“inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”), è tuttavia affidata a indicatori e indici dal corto respiro temporale, anticamera di una pressoché sicura insolvenza se non di una insolvenza già [continua ..]


NOTE